Atto di segnalazione n. 2 del 1° febbraio 2017
Proposta di modifica degli articoli 83, comma 10, 84, comma 4 e 95, comma 13, del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50
Approvato dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 48 del 1° febbraio 2017
Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione
Premessa
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito, ANAC), ai sensi dell’art. 213, co. 3, lettere c) e d), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (nel seguito “Codice”) ha il potere di segnalare al Governo e al Parlamento, con apposito atto, fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di applicazione distorta della normativa di settore nonché di formulare al Governo proposte in ordine a modifiche occorrenti in relazione alla normativa vigente di settore.
L’art. 1, co. 1, lett. uu), della legge n. 11/2016 assegna al legislatore delegato il compito di procedere alla: «revisione del vigente sistema di qualificazione degli operatori economici in base a criteri di omogeneità, trasparenza e verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite, introducendo, inoltre, misure di premialità, regolate da un’apposita disciplina generale fissata dall’ANAC con propria determinazione e connesse a criteri reputazionali basati su parametri oggettivi e misurabili e su accertamenti definitivi concernenti il rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti e la gestione dei contenziosi, nonché assicurando gli opportuni raccordi con la normativa vigente in materia di rating di legalità».
Il Codice, all’art. 83, co. 10, prevede che sia istituito «presso l’ANAC, che ne cura la gestione, il sistema del rating di impresa e delle relative penalità e premialità, da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, per il quale l’Autorità rilascia apposita certificazione. Il suddetto sistema è connesso a requisiti valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità dell’impresa. L’ANAC definisce i requisiti reputazionali e i criteri di valutazione degli stessi, nonché le modalità di rilascio della relativa certificazione, mediante linee guida adottate entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice. Rientra nell’ambito dell’attività di gestione del suddetto sistema la determinazione da parte di ANAC di misure sanzionatorie amministrative nei casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi. I requisiti reputazionali alla base del rating di impresa di cui al presente co. tengono conto, in particolare, del rating di legalità rilevato dall’ANAC in collaborazione con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ai sensi dell’art. 213, co. 7, nonché dei precedenti comportamentali dell’impresa, con riferimento al rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti, all’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione del contratto. Tengono conto altresì della regolarità contributiva, ivi compresi i versamenti alle Casse edili, valutata con riferimento ai tre anni precedenti».
Il rating di impresa occupa un ruolo chiave nel processo di trasformazione del mercato dei contratti pubblici: esso è infatti finalizzato a valutare, valorizzare e di riflesso promuovere la performance contrattuale degli operatori economici e, al tempo stesso, la qualità nell’esecuzione dei contratti pubblici e il conseguente efficientamento del mercato di riferimento. Si tratta di obiettivi raggiungibili attraverso la selezione dei più affidabili e corretti perfomer cui garantire l’accesso alla gara proprio tramite il più idoneo utilizzo del rating di impresa, garantendo, in tal modo, qualità, rispetto dei tempi e dei costi in fase esecutiva. Per l’incremento del tasso di efficienza del mercato dei contratti pubblici, infatti, è parimenti rilevante l’abbattimento non solo dei costi di transazione connessi all’affidamento del contratto ma anche di quelli per l’appunto connessi all’esecuzione dell’accordo.
Il rating d’impresa, ai sensi dell’art. 84, co. 4, del Codice, si inserisce quale, quarto pilastro fondamentale, tra gli elementi su cui si è tradizionalmente basato il sistema di qualificazione, venendo giustapposto ai requisiti di moralità di cui all’art. 80, alla capacità tecnico-professionale ed economico-organizzativo di cui all’art. 83 e alla certificazione di qualità.
Come risulta dalla lettura delle due norme riportate in incipit, all’Autorità sono stati affidati dal Codice delicati compiti di regolazione, certificazione e gestione del citato sistema di rating. Ai sensi dell’art. 83, co. 10, infatti, l’Autorità deve definire i requisiti reputazionali, i rispettivi criteri di valutazione, nonché le modalità di rilascio della certificazione, da utilizzarsi ai soli fini della qualificazione degli operatori economici nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
Sin dall’entrata in vigore del Codice, l’Autorità ha dedicato il proprio impegno alla costruzione del modello di rating d’impresa e alla valutazione del suo possibile impatto sul mercato nazionale e dell’Unione europea.
L’ANAC, in adempimento al disposto della norma sopra richiamata, ha avviato una serie di attività propedeutiche alla costituzione del suddetto sistema. In particolare, l’Autorità ha predisposto un documento che è stato posto in consultazione dal 10 al 27 giugno 2016. Sono pervenute numerose osservazioni, dalle quali sono risultate confermate una serie di difficoltà applicative della norma, così come congegnata (il documento di consultazione e le relative osservazioni sono pubblicati sul sito dell’Autorità e sono liberamente accessibili).
Per ricevere ulteriori indicazioni su come superare tali criticità si è svolta, il 30 settembre 2016, una riunione tecnica con rappresentanti delle imprese ed esperti giuridici in materia, che hanno inviato contributi scritti. Successivamente, il 6 ottobre 2016, si è svolto un incontro con esperti economisti che hanno analizzato, tra l’altro, le modalità applicative del rating in realtà estere e nazionali.
In questo percorso, l’Autorità ha operato – e continua a operare – in aperta collaborazione col mondo dell’impresa, delle parti sociali, degli attori istituzionali, nonché con il costante supporto di studiosi ed esperti, in ambito sia giuridico sia economico.
Il risultato emerso da tale attività è la difficoltà di costruire un sistema coerente con la ratio della norma, anche alla luce del principio di legge delega su richiamato, che dia certezza agli operatori economici e alle stazioni appaltanti senza introdurre adempimenti eccessivamente onerosi per la raccolta delle informazioni necessarie alla costruzione del sistema e la successiva elaborazione delle stesse, contravvenendo peraltro al divieto di gold plating.
- Finalità dell’istituto e ambito di applicazione
L’Autorità condivide i principi e le finalità sottese all’introduzione del rating di impresa ritenendo l’istituto un elemento idoneo a innescare un opportuno processo di trasformazione del mercato dei contratti pubblici, in un ottica di efficientamento del sistema e di promozione della qualità degli operatori economici, come in premessa più ampiamente illustrato. L’istituto del rating è, infatti, finalizzato a valutare, promuovere e valorizzare la performance contrattuale degli operatori economici e la correttezza in fase di esecuzione, prevenendo così il rischio di cattiva esecuzione, con l’effetto di un tendenziale innalzamento della qualità e dell’efficienza del mercato dei contratti pubblici, in linea con i principi generali di cui all’art. 30, co. 1, del Codice.
Si tratta di una svolta epocale per la contrattualistica pubblica idonea a porre l’Italia nella condizione potenziale di sviluppare una best practice, cui potrebbero ispirarsi i sistemi di acquisto di altri paesi europei. Infatti, la qualità della performance contrattuale, nell’intuizione del legislatore, si affianca ai requisiti di carattere generale e tecnico, economico e organizzativo come quarto elemento da soppesare ai fini dell’accesso alla gara (ma l’ambito di attività potrebbe essere più ampio, come in seguito si spiegherà), quale elemento indispensabile per una reale garanzia di affidabilità dell’operatore economico.
A fronte di tale condivisibile obiettivo, il lavoro svolto dall’Autorità – successivamente all’emanazione del Codice – ha evidenziato la necessità di diversi interventi di chiarimento, da una parte, e di correzione, dall’altra, al fine di consentire l’effettiva implementazione dell’istituto in perfetta coerenza con la sua precipua natura e la sua ratio.
Rileva innanzitutto segnalare che il collegamento dell’istituto del rating di impresa all’accesso alla gara, soltanto per la qualificazione dei lavori, come sembra emergere dal dato letterale dell’art. 83, co. 10, del Codice e da una lettura sistematica della stessa, in combinato disposto con l’art. 84, co. 4, costituisce, ad avviso dell’Autorità, una limitazione irragionevole del suo impiego in considerazione delle dimensioni dei mercati dei servizi e delle forniture e delle numerose criticità riscontrate nel tempo proprio in ordine alla qualità esecutiva dei relativi affidamenti. Sotto questo profilo occorrerebbe, quindi, rivedere il testo dell’art. 83, co. 10 e, nel contempo, introdurre una norma speculare a quella contenuta nell’art. 84, co. 4, relativamente ai servizi e alle forniture, al fine di tener conto del rating di impresa anche nella qualificazione in gara, come noto, prevista in tali due settori del public procurement.
A differenza di quanto previsto nella legge delega (art. 1, co. 1, lett. uu), legge n. 11/2016), che fa esclusivamente menzione di “misure di premialità”, l’art. 83, co. 10, del Codice, prevede che il rating di impresa sia basato su un sistema di “penalità e premialità”. In disparte ogni considerazione in ordine alla coerenza tra il decreto delegato e la legge delega, ciò che rileva nell’economia della presente segnalazione è evidenziare come un sistema di past performance che sia basato esclusivamente su misure di premialità dovrebbe essere per tale ragione su base volontaria. Viceversa, un sistema che contempla penalità deve necessariamente essere obbligatorio, in quanto nessuno chiederebbe una valutazione che possa penalizzarlo.
Sotto tale profilo il quadro normativo di riferimento non fornisce elementi chiari nel senso della volontarietà, anzi una lettura a sistema delle disposizioni già richiamate, soprattutto avuto riguardo all’art. 84, co. 4, del Codice, sembrerebbe far propendere per l’obbligatorietà dell’istituto.
Ciò, peraltro, inserendosi in un sistema, quello di qualificazione nei lavori, basato su elementi certi e determinati, che già di per sé producono l’effetto di accedere a determinate categorie e classifiche, farebbe funzionare il rating di impresa solo in un numero limitato di casi, come incremento convenzionale premiante. Inoltre, prevedendo che sia la Società Organismo di Attestazione (SOA) ad attestare, tra gli altri elementi, il rating di impresa, rischia di escludere una cospicua quota di mercato, quella al di sotto della soglia di operatività del sistema di qualificazione dei lavori mediante le SOA (contratti di importo inferiori a 150.00 euro).
Coerentemente con la tecnica della premialità, invece, l’accesso al sistema del rating di impresa dovrebbe essere disciplinato – sgomberando in tal senso il campo da qualsiasi equivoco – su base volontaria, il che, peraltro, consentirebbe un suo più consono ed efficace utilizzo in ambiti operativi diversi dal sistema di qualificazione o, più genericamente inteso, dall’accesso alla procedura di affidamento. A tal proposito si ritiene opportuno segnalare che il rating di impresa, così come descritto dalla vigente normativa, vale a dire costruito su un sistema di premialità (e penalità) da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, rischia di risolversi in un notevole aggravio burocratico per le imprese, le stazioni appaltanti e, in ultima analisi, l’Autorità, tenute alla gestione e alla comunicazione di una serie di dati rilevanti, con limitati effetti incentivanti al miglioramento delle performance se si considera che al meccanismo dell’incremento convenzionale premiante delle classifiche cui la singola impresa può aspirare in base ai requisiti strutturali posseduti non può riconoscersi una forza propulsiva sufficiente a far evolvere il sistema.
Una diversa disciplina del rating di impresa, costruito su base volontaria, riferito espressamente ai tre settori (lavori, servizi e forniture), potrebbe far propendere per il suo utilizzo in sede di offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, includendolo tra gli elementi già menzionati dall’art. 95, co. 13, del Codice, in luogo del rating di legalità.
Quest’ultimo, infatti, non solo non può ritenersi proprio pertinente con il mercato degli appalti pubblici – in cui, peraltro, l’affidabilità morale è già ampiamente garantita dalle previsioni dell’art. 80 del Codice dei contratti – ma rischia di creare problemi di compatibilità con il diritto dell’Unione in tema di appalti, se si considera che l’unica apertura che la direttiva ammette in ordine all’inserimento di requisiti soggettivi dell’offerente in seno agli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta riguarda organizzazione, qualifiche ed esperienza del personale incaricato di eseguire l’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto (art. 67, par 2, lett. b), della direttiva 2014/24/UE). Avuto riguardo alla novella normativa introdotta dalla direttiva sul punto, appare molto più coerente, sotto il profilo dell’esperienza, dare rilievo al rating di impresa e non a quello di legalità in sede di offerta economicamente più vantaggiosa.
In ogni caso anche il coordinamento dei due diversi istituti (rating di impresa e rating di legalità) necessita di un correttivo nel rispetto di quanto prescrive la legge delega. Quest’ultima, infatti, all’art. 1, co. 1 lett. uu), impone al legislatore delegato solo di tenere in considerazione il rating di legalità nella revisione del sistema di qualificazione e non anche, come di converso stabilito dall’art. 83, co. 10, di rendere il rating di legalità un indicatore del rating di impresa. Ciò soprattutto tenuto conto del fatto che l’opzione prescelta dal legislatore delegato pone un problema di sovrapposizione tra elementi (richiamati nel rating di legalità) che già sono presi in considerazione da specifiche norme (v. art. 80 del Codice) ai fini dell’accesso alla gara. A ciò si aggiunga, inoltre, l’innegabile limitazione che origina dalla volontarietà del rating di legalità e dalla sua circoscrizione alle imprese italiane e europee con sede in Italia aventi un fatturato minimo di due milioni di euro annui ed iscrizione alla camera di commercio da almeno due anni. Mentre l’utilizzo del rating di legalità non pone problemi nel caso della qualificazione per classifiche per le quali è necessario un fatturato superiore a due milioni di euro, l’utilizzo del rating di legalità per finalità diverse e ulteriori rispetto a quelle per cui è stato istituito impone necessariamente l’introduzione di misure correttive per non svantaggiare i soggetti che non possono avere accesso allo stesso.
- Gli elementi costitutivi del rating di impresa
La norma parla di un sistema di indicatori che misurino la qualità della performance contrattuale mediante indici “qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili” tali da esprimere la capacità strutturale dell’operatore economico e la sua affidabilità. La criticità è quella di individuare indicatori che:
- operino in maniera automatica, così da evitare spazi di discrezionalità e il connesso rischio di aumento del contenzioso;
- non siano già utilizzati ad altri fini (di qualificazione/esclusione, di aggiudicazione, ovvero per la costruzione del rating di legalità).
Qualora si condivida questa impostazione, sia nel caso si utilizzi il rating di impresa ai fini della qualificazione sia nel caso che lo stesso venga considerato come elemento premiante per la valutazione dell’offerta – mutando, come richiesto, in tal senso la norma –, dal testo dell’art. 83, co. 10, del Codice andrebbero espunti tutti quegli elementi spuri, quali il riferimento alla capacità strutturale delle imprese (già oggetto di valutazione in sede di qualificazione, che, peraltro, presta il fianco a trattamenti discriminatori per determinate imprese, avuto riguardo ai diversi modelli adottati e alle differenti strutture possedute), e quello al rating di legalità (ciò che implica l’ingresso nel rating di impresa di elementi soggettivi attinenti alla valutazione della moralità che coincidono sostanzialmente con quelli di cui all’art. 80).
Per converso, andrebbe, invece, individuato un sistema che consenta di prendere in considerazione l’esperienza passata degli operatori economici già presenti sul mercato. La normativa vigente, infatti, in assenza di specificazioni al riguardo, induce a ritenere che la misurazione della performance debba avvenire con riferimento ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del Codice, in quanto non si potrebbe differenziare il trattamento degli operatori economici sulla base di elementi che il quadro normativo vigente al momento dell’esecuzione o non prendeva in considerazione o stimava ad altri fini. Ciò con l’inevitabile risvolto di un azzeramento della storia professionale delle imprese che, in tal modo, ai fini del calcolo del rating verrebbero a trovarsi in una situazione di neutralità all’avvio del sistema. Né, d’altra parte, sarebbe ipotizzabile introdurre con le sole linee guida dell’Autorità una diversa disciplina in grado di tener conto della descritta esigenza, in assenza di chiara e definita indicazione nella fonte di rango primario. In tale prospettiva, nell’attribuire un punteggio per la storia pregressa, si potrebbe ipotizzare di attribuire rilievo positivo all’assenza di elementi con valore penalizzante per il futuro (es. assenza di contenzioso meramente pretestuoso, di risoluzioni contrattuali per inadempimento, di penali oltre una certa soglia, ecc.).
Sotto un diverso profilo non è chiaro il riferimento al potere sanzionatorio dell’ANAC nei casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi. L’ANAC già annota tali fattispecie ai fini della valutazione della moralità delle imprese, rappresentando le stesse una possibile causa di esclusione per grave illecito professionale, ai sensi dell’art. 80, co. 5, lett. l), del Codice. Poiché l’omessa o tardiva denuncia costituisce già una possibile causa di esclusione, per le ragioni sopra indicate, la stessa non dovrebbe essere inclusa nel rating di impresa. Peraltro, non si può sottacere che la norma sembra introdurre un nuovo potere sanzionatorio in capo all’Autorità, senza definire la tipologia delle sanzioni e i limiti edittali delle stesse.
- Proposta di correttivi alla disciplina del Codice
Alla luce delle considerazioni svolte – emerse nei molteplici tavoli di confronto, rappresentati da numerosi attori del mercato dei contratti pubblici e dagli approfondimenti condotti -, tenuto conto anche dell’esigenza di evitare qualunque possibile distonia con il divieto di gold plating, l’Autorità ritiene che l’attuale quadro normativo non consenta la costruzione di un sistema di rating d’impresa di semplice e certa applicazione, coerente con la ratio dell’istituto – così come essa è desumibile anche dal pertinente principio della legge delega – e capace di incrementare il tasso di efficienza del mercato dei contratti pubblici, garantendo qualità delle prestazioni, rispetto dei tempi e dei costi, in fase esecutiva.
L’Autorità, pertanto, esprime piena convinzione che un sistema di rating d’impresa come quello attualmente disciplinato debba essere rivisto in considerazione:
- sia dell’attuale esclusivo collegamento di quest’ultimo alla qualificazione, in luogo del più opportuno suo inserimento tra gli elementi di valutazione dell’offerta qualitativa;
- sia della sua strutturazione, basata su elementi che non possono essere ritenuti, in alcuni casi, chiari indici di past performance, e che, peraltro, recano con sé un aggravio di oneri amministrativi e burocratici al sistema nel suo complesso (imprese, amministrazioni e Autorità);
- sia della necessità di coordinarlo correttamente con il diverso istituto del rating di legalità, che presenta precisi limiti soggettivi ed oggettivi di applicazione.
Indeclinabile si appalesa l’esigenza – anche nel caso di mantenimento dell’attuale opzione di collegamento dell’istituto con la qualificazione degli operatori economici (che deve essere, in ogni caso chiarito nei termini sopra ampiamente illustrati) – di rivedere gli indicatori costitutivi del rating di impresa avendo come obiettivo di individuarne pochi, facilmente misurabili, oggettivi ed effettivamente espressivi della past performance dell’impresa esecutrice.
In considerazione di quanto sopra esposto,
l’Autorità Segnala
la necessità di un intervento di modifica, nei termini sopra illustrati, alle disposizioni di cui agli articoli 83, comma 10, 84, comma 4 e 95, comma 13 del d.lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50.
Approvato dal Consiglio nella seduta del 1° febbraio 2017
Il Presidente
Raffaele Cantone
Depositato presso la Segreteria del Consiglio 1° febbraio 2017
Il Segretario, Maria Esposito