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di Daniela Di Paola – Il Ministero della Giustizia ha novanta giorni di tempo per istituire la banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione, prevista dall’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 e dai decreti ministeriali n. 91 e n. 15025 del 2004. Lo ha deciso il TAR Lazio, con sentenza del 1° ottobre scorso, che ha accolto il ricorso intentato dall’Associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi.), la quale, azionando il rimedio previsto dal D.Lgs. 198/2009 in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici (c.d. “class action pubblica”), aveva evidenziato come il Ministero non fosse andato oltre l’adozione dei soli atti prodromici alla creazione della banca dati, nonostante l’art. 40 della L. n. 149/2001, ne avesse previsto la concreta operatività entro 180 giorni dall’entrata i in vigore della legge medesima.
La banca dati nazionale dovrebbe non solo permettere di trovare più facilmente una casa a quei bambini che non sono facilmente accolti (portatori di handicap, adolescenti,…), ma anche sveltire i tempi della loro adozione. Dovrebbe inoltre garantire maggiore trasparenza alle adozioni.
Per i minori dichiarati adottabili, la banca dati dovrebbe contenere i seguenti dati personali:
–  dati anagrafici
–  condizioni di salute
–  famiglia di origine ed eventuale esistenza di fratelli, fermo restando quanto previsto dall’articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184, come modificato dall’articolo 24 della legge 28 marzo 2001, n. 149
–  attuale sistemazione
–   precedenti collocamenti
–  provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile
–  dati contenuti nei certificati del casellario giudiziale per i minorenni
–   ogni altra informazione idonea al miglior esito del procedimento
Per i coniugi o per le persone singole disponibili all’adozione:
–   dati anagrafici
–   residenza, domicilio, recapito telefonico
–   stato civile
–   stato di famiglia
–   dati anagrafici dei genitori della coppia o della persona singola aspirante all’adozione
–   condizioni di salute
–   caratteristiche socio-demografiche della famiglia
–   motivazioni
–   altri procedimenti di affidamento o di adozione ed il relativo esito
–    dati contenuti nei certificati del casellario giudiziale
–    ogni altra informazione idonea al miglior esito del procedimento.
L’accesso alle informazioni è riservato ai tribunali per i minorenni e procure presso i tribunali per i minorenni nonché ai magistrati degli altri uffici della giurisdizione minorile; l’accesso è anche consentito al personale appartenente agli uffici della giurisdizione minorile previa autorizzazione del capo dell’ufficio.
È altresì consentito ai diretti interessati con riferimento ai rispettivi dati personali solo per il tramite dei tribunali per i minorenni e delle procure presso i tribunali per i minorenni.

La perdurante inerzia dell’amministrazione rispetto ad uno strumento che si rivelerebbe utile, tra l’altro, a sottoporre tutti i minori adottabili all’attenzione degli operatori, nonché a  garantire l’adozione nel più breve tempo possibile,  ha indotto l’Ai.Bi. a ricorrere al giudice amministrativo.
Il TAR, nella decisione n. 8231/2012, si sofferma preliminarmente sui requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dal d.lgs. n. 198/2009 per l’azionabilità della cd. class action pubblica.
L’art. 1 del menzionato decreto legislativo individua tre distinti e tassativi presupposti necessari per la proposizione dell’azione:
– la violazione di termini o la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento (ipotesi in cui rientra la fattispecie azionata dall’Ai.Bi.)
– la violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi
– la violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e per le pubbliche amministrazioni coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

Con riferimento, poi, alla legittimazione ad agire, il Tar evidenzia che la class action per l’efficienza della pubblica amministrazione è  normativamente delineata quale strumento di tutela di interessi diffusi collettivi – dovendo le situazioni giuridiche rilevanti essere ‘plurali ed omogenee per una pluralità di utenti e consumatori’ ed essendo conseguentemente la situazioni giuridica protetta quella pluralistica – azionabile sia da parte del singolo soggetto, titolare dell’interesse indifferenziato relativo ad un bene della vita omogeneo per tutti gli appartenenti alla pluralità, che abbia subito una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi – così elevando gli interessi diffusi ad interessi individualmente azionabili – sia da parte di associazioni o enti rappresentativi di tali interessi.

Infine, a mente dell’art. 1 comma 1 del D.Lgs. n. 198 del 2009 – riproduttivo delle regola processuale generale – la proposizione dell’azione è condizionata alla sussistenza di una “lesione diretta, concreta ed attuale”, derivante dalle ipotesi tipizzate di violazioni od omissioni dell’amministrazione. Con tale previsione il legislatore – richiedendo che sia dimostrata la sussistenza di un interesse che, al di là della sua natura, abbia una sua concretezza e sia stato o sia suscettibile di essere leso dai comportamenti tassativamente enucleati –  ha inteso temperare la portata dell’ampliamento della legittimazione ad agire, al fine di evitare che l’azione in discorso trasmodi in un’azione popolare sino a diventare uno strumento di controllo oggettivo e generalizzato dell’operato della P.A. e quindi un modello alternativo alla funzione di controllo politico-amministrativo.
Qualora l’azione per l’efficienza di cui all’art. 1 del D.Lgs n. 198 del 2009 sia presentata da un ente a tutela di un interesse collettivo l’accertamento della lesività non può, pertanto, che essere compiuto in astratto in relazione all’effettiva capacità di tutela degli interessi della categoria che si assume lesa dall’inefficienza amministrativa ed al nesso della violazione denunciata con le finalità statutarie perseguite dall’ente.

Quanto agli adempimenti preliminari richiesti dal d.lgs. n. 198/2009, l’art. 3, c. 1 del testo nomrativo richiede che la preventiva notifica, al soggetto poi evocato in giudizio, di una diffida ad adottare, entro 90 giorni, gli atti di cui si assume l’omissione.

Il fondamento normativo della banca dati dei minori adottabili è dato dalla L. n. 149 del  2001, che, come detto, ne ha previsto l’istituzione. La disciplina regolamentare è stata dettata con successivo D.M. 24 febbraio 2004, n. 91, il quale stabilisce, all’art. 2, che la banca di dati è costituita presso il Dipartimento per la giustizia minorile e consente qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati,  nonché con D.M. n. 15025 del 14 luglio 2004, con cui vengono stabilite le regole procedurali di carattere tecnico-operativo per la definizione di dettaglio della gestione della banca dati delle adozioni.
Tale disciplina ha finito per rendere maggiormente complesso l’iter di attivazione della banca dati, ma la circostanza non giustifica certamente la mancata osservanza del termine (inutilmente) prefissato da una norma di legge.

In forza dell’accertato inadempimento dell’obbligo nascente dalla più volte richiamata l. n. 149/2001, il TAR ha di conseguenza condannato il Ministero della Giustizia all’attivazione della banca dati entro il termine di 90 giorni.

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