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CICLI STORICI NELLO SPECCHIO DELLA PANDEMIA.

CICLI STORICI NELLO SPECCHIO DELLA PANDEMIA

Sergio Benedetto Sabetta

L’attuale pandemia non ha fatto che evidenziare contraddizioni e debolezze già esistenti nel sistema nazionale, quali l’infelice rapporto da varie parti già più volte evidenziato tra le istituzioni centrali e locali, o la nostra debolezza nei rapporti internazionali.

L’attuale fase di contrapposizione tra blocchi che si consolidano, nel superare il precedente modello di globalizzazione estremamente fluido, ci permette di recuperare una certa sicurezza interna, favoriti dal ricostituirsi di alcuni pilastri su cui appoggiarsi.

Vi è in noi la necessità storica di avere saldi fronti esterni su cui muoversi, per evitare la sempre forte tentazione di un litigioso sfaldamento interno per un malinteso esasperato individualismo, senza una precisa voluta memoria storica comune da coltivare.

La fine della guerra fredda, a cui abbiamo partecipato vittoriosamente, ci ha introdotti in un mondo liquido nel quale è necessario un forte collante culturale ed istituzionale, la cui mancanza ci ha precipitati in una serie di convulsioni interne a partire dagli anni novanta del ‘900, tanto da finire commissariati politicamente varie volte.

L’economia stessa ne ha risentito perdendo pezzi importanti, divenendo terra di acquisto e svilendo il territorio, l’attuale riscoperta ecologica sembra potere fare riacquistare importanza e centralità alle bellezze della nostra terra, nella speranza di una nuova coscienza nella popolazione.

La decadenza di queste decenni ha portato con sé un imbarbarimento nei costumi e nei rapporti umani, come del resto evidenziato anche da Mario Revelli nel suo libro “Poveri, noi” ed. Einaudi 2010, con una crescente invidia sociale rancorosa.

Le promesse del post-fordismo e della nascente società dei servizi non sono state mantenute sebbene vi sia il racconto edulcorato dei mass-media, creando instabilità crescente e quindi insicurezza lavorativa, familiare e sociale in generale.

Ha creato divaricazioni progressive nella società secondo un modello risalente alla prima rivoluzione industriale, favorito in questo dall’innovazione tecnologica, è stato evidente l’abbassamento della qualità dell’offerta lavorativa in generale, sia nella tipologia che nei ritmi, rispetto ad una minoranza altamente qualificata e premiata.

Vi era quindi la necessità di un nemico cui compattare la società per evitarne il progressivo sfilacciamento e la pandemia lo ha disvelato, abbattendo il mito dell’amicizia universale, quello settecentesco del “buon selvaggio”, paravento ideologico dietro cui curare i propri interessi di potere e condizionamento, fino a contendere il primato mondiale.

La memoria storica e la necessità del proprio radicamento è stata pertanto progressivamente svilita quale residuato in una società globalizzata, rendendo debole l’individuo e disponibile alle nuove manipolazioni economiche, appiattendo la cultura sulla unidimensionalità della nuova economia neoclassica.

Occorre pertanto recuperare la memoria storica anche quale insegnamento sul rischio del ripetersi di fatti e sentimenti che condussero ad una decadenza dell’Italia dal primato in cui si era consolidata alla fine del ‘400.

La decadenza italiana e la contestazione del potere spagnolo

La costosa e sanguinosa serie delle guerre d’Italia si era conclusa con la cacciata della Francia dalla penisola e con il pieno trionfo della Spagna.

Dopo il 1559 i Francesi conservavano ancora delle guarnigioni a Torino (fino al 1563), mantenendo in Piemonte una presenza modesta ma strategicamente importante: le fortezze di Pinerolo, Chivasso, Chieri e il Marchesato di Saluzzo oltre al controllo della Val Varaita e della Valle del Chisone.

Questa presenza in Italia risulta molto apprezzata dalla diplomazia francese, tuttavia il giovane re di Francia Enrico III di Valois nel 1573 ritornando dalla Polonia sulla via del ritorno regala per amicizia al duca Emanuele Filiberto la fortezza di Pinerolo.

Sul finire del secolo nel 1588 il Duca Carlo Emanuele, figlio di Emanuele Filiberto, scontento nel vedere la Francia che protegge Ginevra, a lui ribellata, con l’aiuto di Berna e degli altri Cantoni svizzeri, si allea con Filippo II di Spagna e sfruttando le difficoltà della Francia in lotta con la Spagna, si impadronisce con un colpo di mano del Marchesato di Saluzzo.

Alla pace di Vervins si rimanda la questione di Saluzzo ad uno speciale arbitraggio del Papa, ma questi non può attuare l’arbitraggio ed Enrico IV di Francia decide di regolare la questione senza indugi, intima la restituzione di Saluzzo e muove da Parigi con un grosso esercito installandosi a Lione, pronto a invadere la Savoia. Una congiura ordita contro il duca di Savoia Carlo Emanuele I lo mette in pericolo di morte, Enrico IV ne approfitta , supera il confine, occupa la Savoia mettendo a sacco il territorio.

Papa Paolo IV intervenuto tra i due contendenti media ed ottiene la pace di Lione, 1601, in cui Enrico IV rinuncia al Marchesato di Saluzzo considerando realisticamente impossibile una politica di intervento in Italia, in cambio ottiene dal duca di Savoia tutti i territori a nord di Lione, tra la Savoia e la Borgogna, oltre a tutte le terre dei Savoia al di là del Rodano, con una decisione che non soddisfa a corte i sostenitori della vecchia politica di intervento in Italia.

Il duca di Savoia, dopo il trattato di Lione, rivolge tutte le sue attenzioni al Monferrato e alla Liguria in senso antispagnolo, questa politica nel metterlo in urto con la Spagna lo costringe a rivolgersi alla Francia e stringere con essa nel 1610 il trattato di Bruzolo in Val di Susa.

Il Duca ed Enrico IV avrebbero attaccato insieme la Spagna, Carlo Emanuele ottenuta la Lombardia e il Monferrato avrebbe ceduto tutta la Savoia alla Francia e le terre al di là del crinale delle Alpi, la teoria del re di Francia anticipava il nazionalismo del XIX secolo: chiunque parlasse francese avrebbe dovuto essere suddito del re di Francia.

Tuttavia ad un mese dal trattato di Bruzolo Enrico IV muore pugnalato a Parigi e comincia così il difficile periodo della reggenza di Maria de’Medici dal quale la Francia uscirà ad opera del Cardinale di Richelieu, Carlo Emanuele I si trova pertanto solo ad affrontare la Spagna da cui lo salva solo la mediazione di Venezia.

Nel 1612 alla morte di Francesco II Gonzaga duca di Mantova, Carlo Emanuele I avanza i suoi diritti sull’eredità dei feudi appartenenti ai Gonzaga: Casale, Alba, Nizza, Acqui, Cortemiglia.

Si può scorgere facilmente come questi fossero indispensabili all’economia e alla sicurezza del Piemonte, pertanto il duca di Savoia tenta di occupare il Monferrato ma è rapidamente sconfitto dalla Spagna, tanto che nel 1617 deve firmare il trattato di Madrid e cedere a Filippo III di Spagna tutto il Monferrato.

Dopo questa infelice guerra il Duca stringe rapporti più stretti con la Francia e nel 1619 Cristina di Francia, sorella di Luigi XV sposa Vittorio Amedeo il Principe ereditario.

Durante la guerra dei trenta anni il Cardinale di Richelieu inizia un aperto conflitto con la Spagna e Carlo Emanuele I scende nuovamente in lotta a fianco della Francia, 1623; tenta con un colpo di mano di occupare Genova e invadere la Liguria, ma la Repubblica di Genova reagisce e il comandante Spinola si spinge in Piemonte minacciando Torino.

Intanto dalla Lombardia truppe spagnole e imperiali invadono lo stato dei Savoia, dilagando per il Piemonte, solo gli accordi diretti tra Francia e Spagna del 1626, accordi di Monzon, salvano il ducato.

Improvvisamente nel 1627, senza eredi, muore il duca di Mantova Vincenzo II Gonzaga, immediatamente Carlo Emanuele di Savoia avanza i suoi diritti sul Monferrato, tuttavia l’eredità di Mantova e del Monferrato spettano a Carlo Gonzaga di Nevers, ramo cadetto da un secolo stabilito in Francia.

Il Cardinale di Richelieu intuendo immediatamente l’importanza della posta in gioco , con un infiammato discorso al Consiglio della Corona rilancia la politica tradizionale delle “guerre d’Italia”, essendo il Monferrato – Casale e Mantova elementi determinanti per un’eventuale riscossa antispagnola in Italia.

Il Cardinale prevede infatti una guerra che investa tutta l’Italia settentrionale, al fine di un controllo della Francia su tutta la penisola.

Al termine della guerra il trattato di Cherasco, 1631, riconosce il trionfo della Francia, tuttavia il duca di Savoia Vittorio Amedeo I in cambio dei feudi di Alba e Trino nel Monferrato deve cedere la fortezza di Pinerolo e la Val Perosa non lontana da Torino, importante per il passaggio tra il Delfinato e la Savoia.

Il Cardinale di Richelieu per addolcire lo stato di sudditanza del Duca nei confronti del regno di Francia lo sollecita a porre le sue mire nei settori italiani promettendogli tutta la Lombardia in cambio della Savoia e incoraggiando le sue mire sulla Liguria.

Si stringe il patto di Rivoli e si fonda la Lega di Mantova tra Savoia, Mantova e Parma a cui aderiscono in senso antispagnolo gli Estensi di Modena e i Medici di Firenze.

Gli agenti segreti della Francia sono attivi anche a Roma e nell’Italia meridionale dove il duca di Guisa a Napoli e l’ambasciatore di Francia a Roma tramano congiure e sobillano sommosse, ma la Spagna reagisce violentemente ristabilendo la sua autorità nella penisola.

La politica di intervento sistematico mandato avanti da Richelieu è continuata dal successore, il Cardinal Mazarino che conta di mettere sul trono di Napoli un principe francese.

Mazarino attacca la Spagna in tutte le direzioni e progetta l’annessione della Catalogna, della Navarra, dei Paesi Baschi fino ad una grande impresa navale sui porti di Napoli e Palermo.

Il trattato dei Pirenei, 1659, segna il trionfo francese con il matrimonio tra il giovane Delfino, futuro Luigi XIV, e l’Infanta di Spagna Maria Teresa. Il contratto di nozze comprende clausole così gravose per la corona spagnola che da questa data la Spagna risulta sconfitta dalla Francia.

Infatti la Spagna non avrebbe mai potuto pagare la somma astronomica prevista come dote per la Principessa spagnola, la non solvibilità spagnola si traduce in una ipoteca sulla Spagna stessa.

Con il nuovo re Luigi XIV l’Italia perde la sua centralità nella politica estera francese ma la Francia conserva una forte influenza sul nord della penisola mediante Torino, dove Cristina duchessa di Savoia regna sino al 1663 e con una reggenza francese, Jeanne de Nemours, inizia il regno di Vittorio Amedeo II.

Luigi XIV più che all’espansione territoriale tende ad assicurarsi dei punti strategici che ribadiscano il suo prestigio imponendo la sua volontà, in caso di resistenza opera tutti gli sconfinamenti che ritiene opportuni ed usa la forza tanto da costringere nel 1681 il duca di Mantova e del Monferrato a cedergli Casale, necessario al controllo della pianura Padana.

In Liguria l’ambasciatore di Luigi XIV, Pidou de Saint Clou, si sforza di staccare il Senato genovese dalla Spagna, al rifiuto il re Sole interviene sottoponendo Genova ad un duro bombardamento navale, costringendo il Doge di Genova a chiedere umilmente scusa a Parigi.

Con il Vaticano non esita ad intervenire al rifiuto di Papa Innocenzo XI di riconoscere le prerogative gallicane, occupando Avignone e minacciando un nuovo concilio nel Parlamento di Parigi, 1688, questo nonostante la scomunica dell’ambasciatore a Roma, Lavardin, e l’interdetto alla Chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma.

Nel 1690 Vittorio Amedeo II di Savoia tenta di emanciparsi dalla tutela francese schierandosi con l’Impero, ma viene sconfitto e costretto a firmare la pace di Torino, 1696, che lo lega ancor più alla Francia.

La guerra di successione spagnola che termina nel 1713 con il successo di Luigi XIV permette tuttavia all’Impero di entrare in Italia, una presenza austriaca destinata a durare per tutto il secolo XVIII, il ducato di Savoia esce dalla tutela della Francia divenendo lo stato più importante della penisola.

E’ ormai luogo comune la constatazione che il ‘600 rappresenta uno dei momenti di massima depressione della nostra storia nazionale, ma è anche il momento in cui si creano per le premesse culturali e scientifiche necessarie alla sua riscossa, come ben ha evidenziato Benedetto Croce nel suo celebre libro “Storia dell’età barocca in Italia”, situazione analoga ad alcuni dei nostri recenti o attuali periodi storici.

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