di Daniela Di Paola – La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 6 settembre 2012, ha precisato i confini entro i quali gli Stati membri possono vietare, o limitare, la coltivazione degli OGM iscritti nel catalogo comune, chiarendo in particolare come sia precluso allo Stato subordinare il rilascio dell’autorizzazione alla messa in coltura di varietà geneticamente modificate all’adozione, da parte delle regioni, delle misure di coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche, potendo tale circostanza tradursi in un mezzo per aggirare le procedure autorizzatorie previste dalla disciplina comunitaria.
Questi i fatti: la Pioneer, società produttrice e distributrice di sementi convenzionali e geneticamente modificate, aveva presentato al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali una richiesta di autorizzazione per la messa in coltura di ibridi di mais MON 810 (iscritte nel catalogo comune), ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 212/2001. Il Ministero comunicava alla Pioneer di non poter procedere all’istruttoria della sua richiesta di autorizzazione, “nelle more dell’adozione, da parte delle regioni, delle norme idonee a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche, come previsto dalla circolare del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali del 31 marzo 2006”.
La Pioneer impugnava la nota ministeriale innanzi al giudice amministrativo; il Consiglio di Stato sospendeva il procedimento, sottoponendo alla Corte la seguente questione pregiudiziale: “Se, qualora lo Stato membro abbia ritenuto di subordinare il rilascio dell’autorizzazione alle coltivazioni di OGM, ancorché iscritti nel catalogo comune, a misure di carattere generale idonee a garantire la coesistenza con colture convenzionali o biologiche, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, …, debba essere interpretato nel senso che, nel periodo antecedente l’adozione delle misure generali:
a) l’autorizzazione debba essere rilasciata, avendo ad oggetto OGM iscritti nel catalogo comune;
b) ovvero, l’esame dell’istanza di autorizzazione debba essere sospeso in attesa dell’adozione delle misure di carattere generale;
c) ovvero, l’autorizzazione debba essere rilasciata, con le prescrizioni idonee ad evitare nel caso concreto il contatto, anche involontario, delle colture transgeniche autorizzate con le colture convenzionali o biologiche circostanti”.
La Corte giunge alla conclusione secondo cui “allo stato attuale del diritto dell’Unione, uno Stato membro non è libero di subordinare a un’autorizzazione nazionale, fondata su considerazioni di tutela della salute o dell’ambiente, la coltivazione di OGM autorizzati in virtù del regolamento n. 1829/2003 ed iscritti nel catalogo comune in applicazione della direttiva 2002/53”.
Al contrario, un divieto o una limitazione della coltivazione di tali prodotti possono essere decisi da uno Stato membro nei casi espressamente previsti dal diritto dell’Unione. Fra tali eccezioni figurano, da un lato, le misure adottate in applicazione dell’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003 (misure d’emergenza) nonché quelle disposte ai sensi degli articoli 16, paragrafo 2 (qualora sia appurato che la coltivazione di tale varietà possa risultare dannosa dal punto di vista fitosanitario per la coltivazione di altre varietà o specie; qualora, si sia constatato che la varietà non produce, in nessuna parte del territorio di tale Stato, risultati corrispondenti a quelli ottenuti con un’altra varietà comparabile ammessa nel territorio di detto Stato membro o se è notorio che la varietà, per natura e classe di maturità, non è atta ad essere coltivata in alcuna parte del territorio di detto Stato membro; qualora sussistano valide ragioni, per ritenere che la varietà presenta un rischio per la salute umana o l’ambiente), o 18 (se è accertato che la coltivazione di una varietà, iscritta nel catalogo comune delle varietà, possa in uno Stato membro, nuocere dal punto di vista fitosanitario alla coltivazione di altre varietà o specie, presentare un rischio per l’ambiente o per la salute umana) della direttiva 2002/53, e dall’altro, le misure di coesistenza prese a titolo dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18.
L’introduzione di misure di coesistenza è tuttavia prevista soltanto come una facoltà per gli Stati membri, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui uno Stato membro si astenesse da qualsivoglia intervento nel settore, un divieto di coltivazione di OGM potrebbe protrarsi per un periodo di tempo illimitato e costituire un mezzo per aggirare le procedure previste agli articoli 34 del regolamento n. 1829/2003 nonché 16, paragrafo 2, e 18 della direttiva 2002/53. Un’interpretazione dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 che consenta agli Stati membri di emanare un tale divieto sarebbe dunque contraria al sistema istituito dal regolamento n. 1829/2003 e dalla direttiva 2002/53, sistema che consiste nel garantire la libera e immediata circolazione dei prodotti autorizzati a livello comunitario e iscritti nel catalogo comune, una volta che le necessità di tutela della salute e dell’ambiente siano state prese in considerazione nel corso delle procedure di autorizzazione e di iscrizione.
In definitiva, quindi, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 può dar luogo a restrizioni, e perfino a divieti geograficamente delimitati, solo per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate in osservanza delle loro finalità. Tale disposizione non consente, pertanto, agli Stati membri di vietare in via generale, nelle more dell’adozione di misure di coesistenza, la coltivazione di OGM autorizzati ai sensi della normativa dell’Unione e iscritti nel catalogo comune.
Vedi la Sentenza per esteso e massimata: CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez. 4^ 06/09/2012 Sentenza C-36/11