di Luca Palladini – 67 mila persone alcune delle quali ancora in attesa di giudizio e, quindi, considerate non colpevoli costrette a (soprav)vivere all’interno di carceri che ne possono contenere 22 mila in meno. Detenuti obbligati a stare in celle troppo piccole con non più di 3 metri quadrati a disposizione.
Questo il drammatico rapporto sullo stato dei diritti (!) umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattamento per migranti, realizzato nell’anno appena trascorso dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato.
Italia, dunque, ad oggi ancora inadempiente e nuovamente condannata (dopo la sentenza del luglio del 2009) dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per trattamenti disumani ai detenuti in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo il quale «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
La Corte di Strasburgo, infatti, anche in questa occasione ha avuto l’occasione per ribadire che il sopracitato art. 3 impone allo Stato di assicurare che la detenzione abbia luogo in condizioni conciliabili con il rispetto della dignità umana , che le modalità di attuazione del provvedimento non procurino all’interessato uno stato di sofferenza e che, infine, la buona condizione del carcerato sia salvaguardata in maniera appropriata. La lotta a sfavore del sovraffollamento nelle carceri, infatti, è indispensabile per tutelare la salute dei detenuti ed il processo di reintegrazione: l’invivibilità nei penitenziari cagiona o esaspera disfunzioni psicofisiche; genera depressione, insonnia e istiga i detenuti a forme di reazione gravissime quali il suicidio.
All’origine della condanna in esame vi sono i ricorsi di sette carcerati, detenuti negli istituti di detenzione di Busto Arsizio e di Piacenza, attraverso i quali è stata adita la Corte lamentando: sia la violazione dell’art. 27 e, cioè, il principio dell’inviolabilità della vita e dell’integrità psico-fisica del condannato secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»; sia, la violazione delle regole che sono poste alla base della nostra convivenza a seguito degli obblighi internazionali assunti e che impegnano la nostra Repubblica al rispetto dei principi stabiliti dalla Cedu.
Attraverso questo provvedimento, i giudici di Strasburgo si rivolgono alle autorità italiane affinché, per danni morali, sia corrisposto il pagamento di 100 mila euro ai sette detenuti. Ma, soprattutto, la Corte chiama l’Italia a risolvere prontamente il problema del sovraffollamento, attraverso la previsione di pene alternative al carcere ed un sistema di ricorso interno che consenta ai detenuti di rivolgersi ai Tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di (non) vita.