Inps Istituto Nazionale Previdenza Sociale

 

di Francesco Pizzuto. L’obiettivo primario di un sistema giusto è, prima di tutto, quello di essere funzionale ed efficiente, in grado di mantenere coerenza e razionalità e di garantire la necessaria equità, oltre che (ovviamente) i servizi, tanto tra le connessioni fondanti ed interne, quanto, soprattutto, per le operazioni esterne di estrinsecazione dei servizi medesimi e pur sempre da esso dipendenti.

L’apparato unico e singolare di assistenza e previdenza italiano, più che presentare alcune falle, accomuna strumenti di sostegno al reddito a prestazioni pensionistiche, istituti legati all’invalidità ad incentivi, o ancora a prerogative risalenti, e lo fa nell’ordine di una generale qualificazione di inadatto, incoerente e mal posto.

Come se non bastasse, a complicare ancor di più il quadro opaco e corrotto con il quale ognuno di noi è tenuto a confrontarsi di giorno in giorno, le nuove figure apparse negli ultimi mesi ed in continua proliferazione si aggiungono al ritratto di un sistema che allo stato attuale risulta largamente compromesso, depravato del suo senso edificante e costretto alla continua deriva a causa della reiterazione di errori nel tempo. Errori che si aggiungono ad altri, a volte simili, altre volte completamente differenti, ma tutti basati su un unico ed innegabile presupposto: il legislatore non è a conoscenza della realtà concreta, della vita di tutti i giorni, delle esigenze dei cittadini, dei loro bisogni, delle situazioni fattuali di cui, appunto, non possiede coscienza e conoscenza dirette.

Quello che importa al fine di aggiungere un bonus in più, così come una possibilità di accesso anticipato alla pensione, pare non corrisponda a creare uno congegno idoneo e soddisfacente, effettivamente rispondente alle necessità del potenziale beneficiario, bensì ai “calcoli” di governo e dei soliti poteri forti. Eppure, sebbene questa sia un’opzione a discrezione di tanti, non può essere sottovalutata l’anzidetta incompetenza nelle varie fasi (fino ad arrivare all’effettiva operatività di uno strumento) di chi pone, regolamenta e dispone. Un’incompetenza non di concetti o di sapere, bensì di metodo e di vicinanza al popolo.

Il sistema previdenziale italiano dev’essere svecchiato, in modo tale da ottenere risorse nuove derivanti proprio dall’eliminazione di alcuni meccanismi introdotti ad inizio secolo e gravanti come zavorre sull’impianto attuale. Inoltre devono essere rimossi o rimodulati molti dei meccanismi perversi introdotti quasi indiscriminatamente e senza raziocinio negli ultimi mesi, così come sarebbe opportuno annullare le iniquità che persistono indisturbatamente e con il beneplacito anche di chi continua a patirle ingiustamente da anni.

Un esempio emblematico è rappresentato dal valore dalla pensione minima in rapporto all’assegno sociale, dunque al cosiddetto minimo vitale, nonché all’applicazione delle maggiorazioni sociali, così che: “[…] l’aggiornamento della pensione minima è un atto essenziale non perché sventolato e reclamato senza cognizione di causa da chiunque, ma principalmente per cancellare l’insensata condizione di squilibrio e iniquità che si protrae ormai da troppo tempo, passando pure inosservata. In estrema sintesi, dunque, mentre l’assegno sociale, in quanto prestazione di assistenza dev’essere (com’è) pari al “minimo vitale” da assicurare ad ogni cittadino per il valore di 638 euro al mese (da corrispondere a far tempo dalla stessa età prevista per la pensione di vecchiaia), la pensione minima dev’essere aumentata fino a raggiungere un importo decisamente più alto rispetto al “minimo vitale”, per un assegno pensionistico mensile di almeno 700-800 euro netti (dal momento che anche i 638 euro, in quanto formati da quote di maggiorazione assistenziale, non sono assoggettati a tassazione).” (da “Assistenza e previdenza. Paradossi all’italiana.”, Cacucci 2017).

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