Di Giulia Gavagnin. La tematica della messa in sicurezza permanente dei siti minerari dismessi è senz’altro da considerarsi “di nicchia” e non trova frequente spazio nelle riviste giuridiche. Tuttavia, non bisogna dimenticare che l’attività mineraria è stata assai intensa sino agli anni Novanta e che il territorio italiano è stato considerato, sin dall’antichità, tra i più ricchi di risorse minerarie in Europa. La progressiva dismissione dei siti minerari, determinata soprattutto dall’evoluzione tecnologica, ha prodotto impatti di natura ambientale i cui effetti non sono ancora stati verificati compiutamente. Questo dato risulta vieppiù allarmante se si osservano i dati relativi all’unico censimento completo dei siti minerari, effettuato da APAT (oggi ISPRA) nel 2006: su 2990 siti censiti soltanto 300 sono con concessione mineraria vigente e 194 attivi . Ciò significa che per un rilevantissimo numero di siti dismessi si pone il problema delle misure da adottare per evitare danni all’ambiente e all’essere umano.
La recente pronuncia del TAR Abruzzo, sebbene più incentrata su questioni di carattere procedurale che sostanziale, ribadisce tuttavia un principio di carattere interpretativo non (ancora) troppo ribadito e perciò non consolidato concernente l’obbligo di messa in sicurezza dei siti minerari dismessi.
Le peculiarità proprie di questi siti, nonché la risalente normativa-quadro in materia, rendono non agevole delineare il percorso di bonifica e di messa in sicurezza di un’area mineraria dismessa. Infatti, le norme previste dalla parte IV, tit. V del D. Lgs. n. 152/06 sono applicabili in via generale ma, dove possibile, debbono essere integrate dal D. Lgs. n. 117/08 attuativo della direttiva 2006/21/CE che disciplina le procedure di gestione dei rifiuti provenienti dall’industria estrattiva. In particolare, si fa riferimento a quest’ultimo testo normativo quando è necessario procedere al ripiano dei ‘vuoti’ determinati dallo scavo di gallerie nel sottosuolo.
Ma prima di analizzare gli aspetti tecnico-giuridici di una messa in sicurezza mineraria è necessario ricordare alcune elementari nozioni in materia di diritto minerario e chiarire quando un’area mineraria è da intendersi ‘dismessa’.
E’ necessario premettere che il risalente RD n. 1443/1927 non dà alcuna definizione di miniera, limitandosi a elencare tassativamente le sostanze minerali di prima categoria i cui giacimenti costituiscono le miniere. Secondo il più illustre studioso contemporaneo del settore giuridico-minerario il quadro normativo del nostro ordinamento delinea il concetto di miniera soltanto sotto il profilo ‘statico’ e lascia all’interprete il compito di integrarlo anche con il suo aspetto ‘dinamico’ che costituisce la ‘causa’ dell’acquisizione statuale del giacimento: è, infatti, soltanto con lo sfruttamento economico del giacimento che si attiva l’interesse alla coltivazione da parte dello Stato che incorpora de jure il bene-miniera nell’ambito del proprio patrimonio indisponibile, generando così un’eccezione al principio di indivisibilità verticale della proprietà fondiaria di cui all’art. 840 c.c. secondo cui “la proprietà del suolo si estende al sottosuolo con tutto ciò che vi contiene. Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo [..] che egli non abbia interesse ad escluderle” .
L’appartenenza del sottosuolo al patrimonio indisponibile dello Stato diviene, dunque, automatica, laddove vi sia un giacimento minerario da sfruttare per il bene della comunità (di cui lo Stato è formalmente garante). L’art. 826 c.c. che ascrive le miniere al patrimonio indisponibile dello Stato è coerente anche con la Costituzione che, come noto, nel dichiarare che la proprietà è “pubblica o privata” non definisce la proprietà collettiva ma disciplina compiutamente solo la proprietà privata, contrapponendola ai beni demaniali secondo la classica bipartizione romanistica tra beni in commercio e fuori commercio . Quindi, l’interesse dello Stato allo sfruttamento del giacimento, elide in radice, solo con riferimento al settore minerario, le tesi di coloro il quali ritenevano che il sottosuolo fosse res nullius o proprietà collettiva.
Nel momento della scoperta del giacimento, pertanto, lo Stato diviene proprietario del sito minerario e ne attribuisce la concessione per la coltivazione a terzi, secondo le norme previste agli artt. 14 e ss. del R.D. 1443/1927. La concessione presuppone il permanere della coltivabilità del giacimento e cessa (artt. 33-44 del citato decreto) per scadenza del termine, rinuncia ovvero decadenza. Nel momento dell’esaurimento della miniera (che può essere fisico, per il venir meno della risorsa mineraria o tecnico, per impossibilità di proseguire la coltivazione) viene a cadere il vincolo minerario e riprende vigore il diritto comune . L’area ritorna nella disponibilità del proprietario del suolo, in via diretta o per accessione, senza necessità di alcun tramite provvedimentale .
La coltivabilità del sito pone rilevanti problemi con riferimento alla sua proprietà perché molte aree minerarie sono state abbandonate anni addietro, quando non esistevano norme in materia di sicurezza e recupero ambientale di siti minerari e non veniva effettuata alcuna verifica sull’esistenza o meno di un giacimento da sottoporre a sfruttamento economico: questa situazione di fatto determina oggi la necessità di mettere in sicurezza aree minerarie nonostante l’incertezza circa l’identità del proprietario (Stato o soggetto privato). Inoltre, il risalente abbandono dei concessionari ha trasferito direttamente i costi degli interventi da adottare sulla Pubblica Amministrazione.
Gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza nel settore minerario sono astrattamente variegati e comprendono sia interventi ovvi e poco dispendiosi, quali il divieto di accesso alle gallerie , sia complesse opere di contenimento emergenziale come il consolidamento dei versanti, delle gallerie e delle discariche .
Gli interventi di ricomposizione ambientale, che possono essere eseguiti sia in via emergenziale che permanente, presentano i problemi tecnici ed interpretativi maggiori, soprattutto quando riguardano gallerie create nel sottosuolo per la coltivazione delle cave e (soprattutto) delle miniere. Infatti, se la realizzazione dell’intervento compositivo è relativamente agevole nelle coltivazioni a cielo aperto, che possono essere ricomposte mediante apporto di terreno vegetale, nelle ipotesi di coltivazioni in profondità i problemi si moltiplicano. Se si escludono le ipotesi di utilizzo di gallerie per finalità diverse rispetto alla coltivazione del giacimento e l’apertura di musei minerari finalizzati al mantenimento del ricordo di attività produttive del recente passato , il sistema più lineare di ricomposizione ambientale del sito consiste nel riempimento delle gallerie con materiale di risulta di altre attività estrattive. Questa attività ha trovato espressa disciplina dapprima con la citata direttiva 2006/21/CE e infine, nel nostro ordinamento, con il D. Lgs. n. 117/2008 “Attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie e che modifica la direttiva 2004/35/CE” che all’art. 10 precisa: “L’utilizzo, a fini di ripristino e ricostruzione, dei rifiuti di estrazione per la ripiena di vuoti e volumetrie prodotti dall’attività estrattiva superficiale e sotterranea è possibile solo qualora: a) sia garantita la stabilità dei rifiuti di estrazione ai sensi dell’art. 11, comma 2; b) sia impedito l’inquinamento del suolo e delle acque di superficie e sotterranee ai sensi dell’art. 13 commi 1 e 4; c) sia assicurato il monitoraggio dei rifiuti di estrazione e dei vuoti di miniera ai sensi dell’art. 12 commi 4 e 5. 2- Il rispetto delle condizioni di cui al comma 1 deve risultare dal piano di gestione dei rifiuti di cui all’art. 5, approvato dall’autorità competente. 3 – Il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall’attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto n. 36/2003, relativo alle discariche di rifiuti .
Le altre tipologie di intervento sono quelle astrattamente disciplinate dall’allegato 3 alla Parte IV, Tit. V, del D. Lgs. n. 152/06 “Criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d’urgenza, operativa o permanente), nonché per l’individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sopportabili” , adattate alle peculiarità del sito da trattare.
E’ importante osservare che nei giacimenti di minerali metallici i valori di fondo naturale sono normalmente molto più elevati rispetto ad un sito in cui è stata esercita altra attività industriale. Astrattamente, gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza permanente potrebbero determinare condizioni ambientali e paesaggistiche del contesto territoriale non sostenibili e/o non praticabili. Pertanto, detti interventi non possono prescindere da una comparazione tra i valori di concentrazione di contaminanti del centro di pericolo e quelli del fondo naturale: soltanto dopo aver determinato il fondo naturale, si potranno stabilire i valori di riferimento. Per esemplificare, se i valori del fondo naturale sono sempre superiori a quelli delle colonne A e B della tabella 1, all. 5 alla parte IV., titolo V del T.U. ambientale le concentrazioni del fondo naturale costituiscono valori di riferimento; se, invece, per uno o più contaminanti i valori di fondo naturale sono inferiori a quelli delle tabelle, i valori di riferimento dovranno essere costituiti, per questi soli contaminanti, utilizzando le concentrazioni delle tabelle citate.
La necessità di provvedere ad interventi restaurativi, emergenziali e conservativi dei siti minerari ha portato le regioni più virtuose ad emanare apposite leggi volte alla valorizzazione del patrimonio dismesso . Si tratta di leggi volte innanzitutto al censimento dei siti, alla promozione di interventi di valorizzazione a fini scientifici, turistici e culturali e alla formazione di parchi geominerari. Tra gli interventi perseguiti dalle regioni vi è sempre l’individuazione e la programmazione degli interventi di messa in sicurezza e di recupero ambientale in via prodromica rispetto alle iniziative da intraprendersi successivamente. Gli esperti del settore auspicano una pronta attuazione di questi propositi.