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di Stefano Nespor. È la domanda che si sono posti vari quotidiani commentando il fatto che, proprio alla vigilia dello scorso Natale, la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti, l’autorità preposta ai controlli e all’approvazione per l’immissione nel mercato di alimenti geneticamente modificati, ha annunciato il via libera al salmone biotecnologico prodotto da AquaBounty Technologies (anche se vi sarà la possibilità di proporre osservazioni al Rapporto entro 60 giorni dalla pubblicazione e poi di contestare la decisione di fronte all’Autorità giudiziaria).
S tratta di un salmone in cui è stato inserito un gene che lo rende maturo per essere commerciato in diciotto mesi invece che in tre anni, con evidenti vantaggi per ciò che riguarda l’abbattimento dei costi di allevamento anche in termini di riduzione della quantità di cibo necessario (il salmone viene nutrito con altri pesci più piccoli) e quindi di impatto ambientale.
La FDA ha confermato il proprio parere del 2010 secondo cui non vi sono rischi per la salute in quanto il salmone modificato non differisce dai salmoni selvaggi né dai salmoni allevati (dagli allevamenti, siti in Canada, Cile, Norvegia e Scozia, proviene la maggior parte dei salmoni consumati nel mondo, compresi quelli definiti selvaggi )
La FDA ha anche escluso che l’allevamento di salmoni geneticamente modificati possa ragionevolmente  provocare rischi ambientali per effetto della casuale immissione dei salmoni nell’ambiente e del conseguente rischio di alterare la riproduzione della specie. Infatti, i salmoni sono resi sterili e saranno allevati in strutture protette e dislocate a grande distanza dal mare o dai fiumi.
Come sempre più spesso accade, di fronte a questo annuncio il movimento ambientalista si trova di fronte a un bivio: insistere nella tradizionale campagna di opposizione agli organismi geneticamente modificati adducendo pericoli alla salute o all’ambiente (sinora peraltro mai verificatisi nonostante la diffusione che i prodotti agricoli biotecnologici hanno acquisito in gran parte del mondo) oppure privilegiare i vantaggi che la produzione del salmone geneticamente modificato può offrire in termini di protezione del patrimonio ittico naturale, sempre più minacciato dall’overfishing.
Infatti, la domanda di cibo a base di pesce è in continuo e inarrestabile aumento nel mondo. Non solo per l’aumento della popolazione, ma anche per l’aumento del benessere che permette a milioni e milioni di persone nei paesi emergenti di consumare più carne e più pesce.
È vero che il pesce è una risorsa naturale rinnovabile, ma solo se si rispettano i ritmi produttivi delle varie specie. Se questi limiti non vengono rispettati, la specie declina e, una volta superato il limite che ne garantisce la riproducibilità, si estingue.
Il primo fenomeno di overfishing si è verificato nella prima metà del XIX secolo, allorché la domanda di olio per l’illuminazione aveva condotto alla decimazione della popolazione di balene (generalmente considerate insieme ai pesci, ancorché non siano tali), arrestatasi solo per la scoperta del petrolio: è stato paradossalmente il più grande beneficio ambientale offerto dal petrolio.
Nel secolo scorso sono giunti alla soglia dell’estinzione il merluzzo dell’Atlantico, le aringhe e le sardine. Oggi è in stato di emergenza il tonno rosso, anche se l’Organismo internazionale appositamente preposto alla sua conservazione non riesce a imporre una moratoria o un limite alla pesca.
Uno studio della rivista Science apparso nel 2006 ha avvertito che, continuando la pesca con i ritmi attuali, l’intera popolazione ittica mondiale sarà praticamente scomparsa prima del 2050.
Per questo, l’acquacultura ha assunto un’importanza sempre maggiore, sia a livello commerciale che a livello ambientale. La produzione di pesce per mezzo di acquacultura è così aumentata del 5% all’anno tra il 1950 e il 1970, dell’8% all’anno nei due decenni seguenti e di oltre il 10% all’anno in questo secolo. Si tratta del settore produttivo che registra in assoluto la maggior crescita a livello mondiale da molti anni a questa parte. I principali consumatori sono soprattutto Vietnam, Indonesia, Thailandia e Cina: quest’ultima consuma da sola il 32% del prodotto mondiale di acquacultura (sono tutti dati forniti dalla FAO, l’organismo internazionale preposto alla sorveglianza del settore della pesca, che ogni due anni pubblica il rapporto SOFIA, State of World Fisheries and Acquaculture).
Tra i pesci allevati in acquacultura il pesce geneticamente modificato costituirà il settore di maggiore espansione nei prossimi decenni. Ad oggi 50 specie sono state modificate in circa 400 caratteristiche, tra le quali la crescita delle dimensioni, la resistenza alle malattie, la sopportazione delle temperature più fredde, la riduzione della sterilità.
Il salmone è stata la specie sulla quale si sono diretti i maggiori investimenti nelle biotecnologie applicate: Aquabounty Technologies ha prodotto il primo esemplare addirittura nel 1989.
Infatti, il consumo di salmone è in aumento dagli anni Novanta. In particolare, è aumentato del 36% tra il 2002 e il 2009 (raggiungendo i 3 milioni di tonnellate all’anno): dal 1998 la maggior parte è salmone proveniente da acquacultura.
Forse fra qualche decennio si potrà affermare che proprio per merito delle tecnologie genetiche sarà stata evitata l’estinzione del salmone naturale.

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