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APPROVVIGIONAMENTO DI ACQUA MEDIANTE ALLACCIO ABUSIVO ALLE CONDOTTE. – QUOTIDIANO LEGALE
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APPROVVIGIONAMENTO DI ACQUA MEDIANTE ALLACCIO ABUSIVO ALLE CONDOTTE.

giurisprudenza diritto

Giurisprudenza

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. 3^, 01 agosto 2022 (Ud. 06/05/2022), Ordinanza n.23823

Presidente TRAVAGLINO, Relatore PELLECCHIA

 

ACQUA – Approvvigionamento di acqua mediante allaccio abusivo alle condotte – CONDOMINIO – Compiti e obblighi dell’amministratore – Responsabilità per danni – Regolare contratto di somministrazione – Obbligo di vigilare – Disciplina e tutela dello uso di un bene comune – Potere di agire in giudizio – Atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio – Necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini – Esclusione.

 

Un allaccio abusivo, costituisce di per sé un illecito di cui non può non rispondere il soggetto (o i soggetti che anno commesso l’illecito, in specie un condominio) nella sua interezza ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e che tale illecito si configura come illecito permanente produttivo di danni del quale deve rispondere finché non cessa l’illecito. L’amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condomini. Pertanto, allorquando oggetto della lite sia l’abuso della cosa comune da parte di uno dei condomini, deve riconoscersi all’amministratore il potere di agire in giudizio, al fine di costringere il condomino inadempiente alla osservanza dei limiti fissati dall’articolo 1102 del Cc. In tale ipotesi, l’interesse, di cui l’amministratore domanda la tutela, è un interesse comune, in quanto riguarda la disciplina dello uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti. La denuncia dell’abuso della cosa comune da parte di un condomino rientra, pertanto, tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio che spetta di compiere all’amministratore, ai sensi dell’articolo 1130, n. 4, del Cc, senza alcuna necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini. Nel caso di specie il compito dell’amministratore sarebbe stato quello di compiere gli atti idonei ad evitare il perpetuarsi dell’illecito permanente consumato, in modo determinante, attraverso l’impianto condominiale, consistente nel tratto di condotta che diparte dal punto in cui avvenne l’allaccio abusivo e attraverso il quale si è perpetuato l’illecito emungimento dell’acqua dal sistema idrico. Pertanto, ai sensi del 2043 c.c. il Condominio, in persona dell’amministratore, risponde per non aver improntato la propria condotta omettendo di compiere quelle attività che avrebbe dovuto compiere.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 30576/2019 proposto da:
A.B.C. Acqua Bene Comune Napoli Azienda Speciale in persona del Direttore Generale e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma Via Ovidio 10 presso la Dott.ssa Anna Bei (St. Commercialista Rosati), rappresentata e difesa dall’avvocato Massara Carlo Domenico;

-ricorrente –

contro

Condomino Del Fabbricato Sito In Marano Di Napoli Alla Via Marano Pianura N. 211;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1311/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

Rilevato che:

1. Nel 2010, l’A.R.I.N. S.p.a. conveniva in giudizio il Condominio in Marano di Napoli, alla via N’arano Pianura numero 211, per sentire accertare che lo stesso si era abusivamente allacciato alla rete idrica di proprietà dell’A.R.I.N S.p.A., approvvigionandosi il legittimamente di acqua da oltre un decennio, e per la pronuncia della conseguente condanna del predetto convenuto a risarcire la società di tutti i danni subiti ex art. 2043 c.c., da quantificarsi nella misura di euro 15.068,78 e, in subordine, perché fosse accertato l’indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. che il medesimo condominio aveva posto in essere in danno di essa attrice, per aver consumato l’acqua di proprietà della stessa senza corrispondere alcunché.

A fondamento della domanda, l’attrice assumeva che il condominio di via Marano era dotato di impianto idrico condominiale a servizio dei singoli appartamenti e che, nonostante non avesse mai sottoscritto un regolare contratto di somministrazione, si approvvigionava da lungo tempo di acqua, mediante un allaccio abusivo alle condotte di proprietà dell’A.R.I.N.. Tale circostanza era stata constatata nel corso di due sopralluoghi eseguiti congiuntamente ai carabinieri della stazione di Marano.

Nonostante i numerosi solleciti l’A.R.I.N.., al fine di quantificare il danno aveva instaurato dinanzi al Tribunale di Napoli un procedimento per ATP, nel corso del quale il c.t.u. aveva verificato il consumo medio giornaliero di acqua da parte dell’intero condominio.

Il condominio costituito si contestava la fondatezza della domanda ritenendo che l’allacciamento del fabbricato all’impianto di adduzione dell’acqua venne eseguito dal costruttore dell’edificio chi singoli condomini avendo ricevuti gli appartamenti con tutti i servizi funzionanti non avevano mai apportato alcuna modifica la condotta di allacciamento alla rete pubblica. I condomini, secondo la tesi proposta, ignoravano l’esistenza dell’allaccio abusivo e pertanto non potevano ritenersi responsabili dell’illecito. Inoltre il diritto di credito vantato dall’attrice si era estinto per effetto della prescrizione quinquennale, mentre l’azione ex 2041 era inammissibile e infondata.

Il Tribunale di Napoli, ritenuta inammissibile perché tardivamente formulata l’eccezione di prescrizione, accoglieva la domanda e condannava il condominio a pagare in favore dell’A.R.I.N l’importo di euro 15.068 oltre interessi legali e spese processuali.

2. La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza del giudice di primo grado. Ha ritenuto che la pur pacifica e documentata presenza di un allaccio abusivo del fabbricato de quo alla condotta idrica dell’A.R.1.N e di un’unica montante idrica a servizio dei singoli appartamenti, non è di per sé sufficiente per ritenere che l’amministratore del condominio e, quindi, il condominio quale ente di gestione dei beni e servizi comuni, del quale non è stato dedotto e provato in alcun modo il diretto coinvolgimento nella condotta di utilizzo della fornitura, debba rispondere solidalmente del danno cagionato alla società dei singoli condomini.

Secondo la Corte territoriale anche ammettendo che l’amministratore del condominio fosse consapevole dell’illecita fruizione dell’acqua da parte dei singoli condominio stesso non avrebbe mai potuto vietare, per far cessare l’azione illecita, l’utilizzo delle tubature idriche condominiali. Esula dai compiti e dai doveri dell’amministratore, quali sono delineati dal combinato disposto degli articoli 1130 e il 1133 c.c., quello di vietare l’utilizzo di un servizio comune. Pertanto, ha ritenuto che non è ravvisabile nella condotta inerte e tenuta, rispetto all’illecita apprensione di acqua da parte dei singoli condomini, dai vari amministratori succedutesi nel tempo, un fatto illecito, idoneo a fondare, ai sensi dell’articolo 2055 c.c., una responsabilità in solido del condominio. Esula dai poteri dell’amministratore quello di attivarsi per impedire che mediante l’utilizzo di un impianto comune venga commesso un reato.

Inoltre, non ha ravvisato alcun referente normativo che consenta di fondare una responsabilità del condominio, per illecita apprensione di acqua posta in essere dai singoli condomini. Solo nei confronti di quest’ultimi, l’A.R.I.N avrebbe potuto e dovuto indirizzare le proprie istanze.

3. l’A.B.C. — Acqua Bene Comune Napoli Azienda Speciale (già A.R.I.N.) propone ricorso in cassazione con un motivo.

Considerato che:

4. Con l’unico motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la “Violazione e comunque falsa applicazione di norme di diritto e precisamente degli artt. 2043 e 2051 c.c. in relazione all’art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.”.

Denuncia la società A.B.C. che la corte d’appello avrebbe errato dove ha escluso la responsabilità del condominio nonostante abbia ammesso sia la documentata esistenza di un allaccio abusivo del fabbricato alla condotta idrica dell’ABC attraverso un’unica montante idrica, di proprietà condominiale, unitamente alle sue diramazioni fino alle singole unità immobiliari; sia la consapevolezza dell’amministratore dell’illecita fruizione dell’acqua da parte dei singoli condomini.

La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che l’articolo 2043 è applicabile alla fattispecie per il fatto che l’amministratore è stato evocato in giudizio non personalmente ma nella qualità di amministratore di un bene di proprietà condominiale posto nella sua custodia e sotto il suo controllo.

5. Il motivo è fondato.

La Corte d’Appello pur riconoscendo l’esistenza di un allaccio abusivo del fabbricato alla condotta idrica dell’ABC attraverso un’unica montante idrica, di proprietà condominiale, unitamente alle sue diramazioni fino alle singole unità immobiliari e la consapevolezza dell’amministratore dell’illecita fruizione dell’acqua da parte dei singoli condomini conclude affermando che non ravvisa alcun referente normativo che consenta di fondare una responsabilità del condominio per illecita apprensione di acqua posta in essere dei singoli condomini. E solo nei confronti di questi ultimi L’ABC avrebbe dovuto indirizzare le proprie istanze. Ebbene tale motivazione non è condivisibile.

La Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che tale allaccio costituisce di per sé un illecito di cui non può non rispondere il condominio nella sua interezza ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e che tale illecito si configura come illecito permanente produttivo di danni del quale deve rispondere il condominio finché non cessa l’illecito. L’amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condòmini (Cass. n. 25251/2008; Cass. n. 22179/2014).

Allorquando oggetto della lite sia l’abuso della cosa comune da parte di uno dei condomini, deve riconoscersi all’amministratore il potere di agire in giudizio, al fine di costringere il condomino inadempiente alla osservanza dei limiti fissati dall’articolo 1102 del Cc. In tale ipotesi, l’interesse, di cui l’amministratore domanda la tutela, è un interesse comune, in quanto riguarda la disciplina dello uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti. La denuncia dell’abuso della cosa comune da parte di un condomino rientra, pertanto, tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio che spetta di compiere all’amministratore, ai sensi dell’articolo 1130, n. 4, del Cc, senza alcuna necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini (Cass. n. 7874/2021).

Nel caso di specie il compito dell’amministratore sarebbe stato quello di compiere gli atti idonei ad evitare il perpetuarsi dell’illecito permanente consumato, in modo determinante, attraverso l’impianto condominiale, consistente nel tratto di condotta che diparte dal punto in cui avvenne l’allaccio abusivo e attraverso il quale si è perpetuato l’illecito emungimento dell’acqua dal sistema idrico dell’ABC. Pertanto, ai sensi del 2043 c.c. il Condominio, in persona dell’amministratore, risponde per non aver improntato la propria condotta omettendo di compiere quelle attività che avrebbe dovuto compiere.

6. Pertanto, la Corte accoglie l’unico motivo di ricorso, come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla corte d’appello di Napoli in diversa composizione personale.

P.Q.M.

la Corte accoglie l’unico motivo di ricorso, come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla corte d’appello di Napoli in diversa composizione personale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione in data 6 maggio 2022.

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