ingiustizia riforma legge diritto
12 minuti

di Carlo Rapicavoli

Attesa da anni, l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata ha acceso il dibattito politico, che appare però più una contrapposizione tra tifoserie calcistiche anziché frutto di approfondimento concreto sui contenuti.

Un primo aspetto: la legge approvata attua una norma costituzionale: l’art. 114 comma 3; nessuna “rottura istituzionale” quindi.

L’elenco delle garanzie contenute nella legge appena approvata è talmente ampio da essere addirittura forse inutilmente ridondante, ma tuttavia tale da vincolare ogni scelta attuativa che, in caso di violazione di tali principi, risulterebbe illegittima: l’art. 1 si preoccupa di precisare che la legge è emanata … “nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei princìpi di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione…”. “L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, (…) dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali, che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale (…). Tali livelli indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali e per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”.

L’art. 2 disciplina tutto il complesso iter di approvazione delle intese, con tutti i pareri da acquisire e l’art. 3 concede al Governo 24 mesi “per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP)”.

L’art. 4 ulteriormente si preoccupa di stabilire che “Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio. Qualora dalla determinazione dei LEP di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni, coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”.

L’art. 9: “Per le singole Regioni che non siano parte delle intese approvate con legge in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è garantita l’invarianza finanziaria nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’articolo 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione. Le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l’entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, anche in relazione ad eventuali maggiori risorse destinate all’attuazione dei LEP di cui all’articolo 3. È comunque garantita la perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante” e l’art. 10 prevede le misure perequative “anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese” “Al fine di garantire l’unità nazionale, nonché la promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, dell’insularità, della rimozione degli squilibri economici e sociali”, descrivendole nel dettaglio.

Perché temere l’attuazione dell’autonomia regionale differenziata?

Esistono indubbiamente e sono radicati squilibri territoriali nel nostro Paese. Come superarli? Mantenendo lo status quo?

Le ragioni profonde della “disarticolazione” del Paese non vanno ricercate nel decentramento o nelle autonomie; le disparità nel Paese, indubbie, gravi e rilevanti, sono frutto non dell’autonomia differenziata, finora mai attuata, ma della gestione centralistica, che ha caratterizzato la vita repubblicana e, purtroppo, anche dalla non efficiente gestione delle risorse in varie zone del Paese.

È una grande occasione di modernizzazione del Paese, da non sprecare, purché si superino egoismi territoriali e interessi di parte, si scongiurino nuovi centralismi regionali e si rafforzi la capacità dei territori di fare sistema.

Più si avvicinano al cittadino i livelli di governo, più si attua il principio di responsabilità ed un effettivo controllo democratico dell’azione amministrativa e di governo.
L’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione sul regionalismo differenziato non può prescindere pertanto dall’essere considerata nel quadro di una attenta e sempre maggiore valorizzazione dei principi di autonomia e responsabilità previsti negli articoli 5, 114, 118 e 119 della Costituzione per il complesso degli enti autonomi territoriali, di Comuni, Province e Città Metropolitane.

La Regione sarà chiamata a interpretare la rinnovata dimensione delle competenze legislative in una prospettiva che deve vedere la piena attuazione del principio di sussidiarietà, sul piano delle competenze amministrative e delle connesse risorse finanziarie, con conseguente piena valorizzazione del ruolo dei Comuni, delle Province e delle Città Metropolitane attraverso l’attribuzione diretta dei compiti di amministrazione e gestione.

Ed è evidente che, in tale contesto di valorizzazione delle autonomie, non è più differibile la ripresa dell’iter parlamentare per il superamento della Legge Delrio e l’approvazione delle nuove norme sul ripristino della rappresentatività diretta di Province e Città Metropolitane ed il riordino e rafforzamento delle funzioni attribuite e delle correlate risorse finanziarie e umane per garantire servizi e investimenti.

Adesso va affrontata la questione istituzionale di primaria importanza, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, visto che finora il dettato costituzionale è rimasto inattuato su un punto dirimente.

L’art. 117, comma 2, lett. m, ha attribuito allo Stato la legislazione esclusiva nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Competenza non pienamente attuata dopo 23 anni.
La definizione dei LEP rappresenta una partita cruciale per il nostro Paese e per i cittadini, perché risponde a due esigenze fondamentali:
1. individuare, per ciascuna materia uno standard adeguato di prestazioni e servizi che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale;
2. dove necessario, garantire a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni le risorse necessarie per erogare i servizi oggetto di LEP.
La giurisprudenza costituzionale ha chiarito inoltre che i LEP indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, nonché il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivi tali diritti. (sentenza n. 220 del 2021).

L’art. 20, comma 2, della legge n. 42 del 2009 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale) ha stabilito che la legge statale disciplina la determinazione dei LEP. La crisi economica globale degli anni immediatamente successivi ne ha di fatto bloccato l’attuazione.

La Legge di Bilancio 2023 ha approvato delle norme relative all’accelerazione del processo di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Oggi i Livelli essenziali rappresentano una pre-condizione per avviare la cosiddetta autonomia differenziata.

È l’occasione buona? Non lo so. Ma adesso una legge dello Stato ha fissato tempi e modalità; nei 24 mesi previsti si vedrà.

È ampiamente documentato lo squilibrio di spesa pubblica tra un territorio e l’altro e – si faccia attenzione – non semplicisticamente o almeno non solo come strumentalmente si vuole fare credere – tra Nord e Sud del Paese, ma anche tra aree metropolitane e aree interne.

Il principio di responsabilizzazione che deriva dall’attribuzione di funzioni e il vincolo insuperabile di operatività legato alla realizzazione dei nuovi livelli essenziali di prestazione (LEP), è una grande opportunità per rimuovere il vincolo della spesa storica che tanto danno ha arrecato in molti territori e nelle aree interne del Sud come del Nord.
Una responsabilizzazione che non può che passare dalle pratiche della spesa assistenziale ad una gestione oculata ed efficiente delle risorse.

La valorizzazione delle identità, delle vocazioni e delle potenzialità regionali determina infatti l’inserimento di elementi di dinamismo nell’intero sistema regionale e, in prospettiva, la possibilità di favorire una competizione virtuosa tra i territori.

Perché il sistema funzioni non si può prescindere da due questioni: il superamento degli squilibri socio-economici territoriali che impediscono l’eguaglianza dei punti di partenza tra i sistemi regionali e adeguati meccanismi perequativi che, ai fini del finanziamento delle funzioni attribuite alle Regioni, compensino adeguatamente i differenziali di capacità fiscale alla luce del principio di solidarietà.

In ogni caso, nel rispetto del dettato costituzionale, va assicurato l’integrale finanziamento delle funzioni connesse ai livelli essenziali delle prestazioni, in modo da garantire un livello minimo di servizi su tutto il territorio nazionale con riferimento ai diritti civili e sociali fondamentali.

Sulla questione infine delle 23 materie possibile oggetto di intesa, innanzitutto va ricordato che soltanto per 9 di esse è possibile avviare la trattativa tra le Regioni interessate – va detto tutte le Regioni d’Italia – e lo Stato. Per le rimanenti 14 bisogna attendere la fissazione dei LEP.

Inoltre è altamente probabile che non saranno soltanto i LEP a determinare i limiti alla differenziazione, ma in varie materie potrebbero con alta probabilità ravvisarsi ulteriori princìpi costituzionali che ne impongono o consigliano una gestione unitaria.

È facile giungere a tale conclusione solo considerano l’elencazione ampia delle materie elencate dall’art. 116 comma 3 della Costituzione, per alcune delle quali – si pensi alla «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» o al «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», al «commercio con l’estero», ai «porti e aeroporti civili» – risulta impraticabile e poco coerente pensare che possano essere interamente devolute alle Regioni

Non è un percorso semplice, va delineato con chiarezza l’assetto delle competenze per evitare conflitti e sovrapposizioni. Va affrontato il tema cruciale delle risorse finanziarie in un contesto nel quale la gestione delle risorse pubbliche deve fare i conti – è il caso di dirlo – con il fardello enorme del debito pubblico e dei reintrodotti vincoli europei.