La sottoscrizione del Protocollo d’intesa[1] tra il presidente del consiglio Mario Draghi e l’ANAC per l’attuazione della qualificazione delle stazioni appaltanti e delle CUC avvia definitivamente il processo di riduzione delle stazioni appaltanti nel nostro paese.
Tale processo posto in essere molti anni fa ha trovato il suo definitivo avvio con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti[2] il quale, agli articoli 37 e 38, ne ha disegnato i confini, definito i ruoli e funzioni e, inoltre, stabilito la struttura organizzativa. Definito dai più, compreso lo scrivente, come una vera rivoluzione per via del fatto che avrebbe velocizzato le procedure d’appalto grazie alla specializzazione e professionalizzazione del personale preposto, tale processo è stato osteggiato, prima di tutto, dalla politica. Gli amministratori, soprattutto dei comuni piccoli e di medie dimensioni, sono stati colti dalla paura di una potenziale perdita di “potere” nelle fasi di individuazione dei soggetti cui affidare le commesse[3]. Evidentemente questa paura era legata alle procedure quali gli affidamenti diretti e le procedure negoziate con importi inferiori alle soglie comunitarie.
Tale atteggiamento si è reso manifesto nella fase di creazione delle centrali di committenza, divenute obbligatorie ai sensi dell’art. 37 del Codice, composte di due o tre comuni; uno di dimensioni medie ed altri di piccole dimensioni non sempre contigui e magari appartenenti alla stessa area politica di riferimento. In molte di queste esperienze ogni comune ha continuato ad operare per proprio conto senza effettivamente creare una sinergia tra gli uffici tecnici, senza dotare gli uffici appalti di specifiche professionalità e senza mai predisporre un percorso di formazione ed aggiornamenti adeguato alla funzione che avrebbero dovuto svolgere le CUC.
Lo scrivente ha a più riprese “denunciato” questo fenomeno abbastanza diffuso; non supportato da studi ed analisi scientifiche ma frutto dell’osservazione del territorio.
Alla sfiducia della politica, che non ha aiutato tale processo di centralizzazione come si è appena accennato, si è aggiunta la previsione dell’art. 38 in relazione al complesso dei requisiti necessari alla qualificazione delle CUC. Il quadro disegnato dal comma 3 dell’articolo 38, anche per le amministrazioni più volenterose, è apparso troppo impegnativo in relazione all’organizzazione della struttura ed in merito all’investimento in termini economici e di personale da impegnare alla struttura. Nessun comune di medie dimensioni avrebbe potuto far fronte a quanto richiesto costringendo gli enti territoriali ad aderire alle CUC provinciali, ove costituite.
Infine, il colpo di grazia è stato dato dal c.d. sblocca cantieri[4] il quale ai sensi dell’art. 1[5] ha introdotto una deroga[6] all’obbligo del ricorso alle centrali uniche di committenza per gli affidamenti di lavori, servizi e forniture.
Con l’approvazione del PNRR e del DL 77/2021 tale questione è tornata alla ribalta in relazione, appunto, alla necessità di ridurre le Stazioni Appaltanti al fine di semplificare e velocizzare tali procedure; troppo stringenti i tempi di realizzazione delle opere finanziate dall’UE.
È in questo contesto che il presidente Draghi e il presidente dell’Autorità Giuseppe Busia, hanno deciso di stipulare un Protocollo d’Intesa al fine di redigere le Linee Guida per l’attuazione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza.
L’impegno assunto dal Governo in relazione a questo tema è importante al punto che le Linee Guida oggetto del Protocollo dovranno essere emanate entro il 31 marzo e già dalla fine di settembre dovrà essere prodotta una Relazione finale sugli esiti delle attività di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza.
Il compito affidato all’Autorità è di grande importanza per il Governo il quale intende raggiungere tutti gli obiettivi imposti dall’Unione e tra questi quello di riformare il Codice dei contratti e, prima della sua conversone, avere già l’articolato che ha ad oggetto la riduzione delle stazioni appaltanti e la professionalizzazione delle CUC.
Il Protocollo, di soli sedici articoli, si preoccupa in prima istanza di definire l’ambito della qualificazione delle SA stabilendo, all’articolo 3, che tale processo avrà ad oggetto due macro aree: a) capacità di progettazione delle gare e di affidamento; b) capacità di verifica sull’esecuzione e controllo dell’intera procedura.
L’articolo 4, definendo più nel dettaglio quanto già indicato all’art. 38 del Codice, elenca i “requisiti base” che dovranno possedere i soggetti che vorranno iscriversi all’interno dell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti, già AUSA, di cui all’art. 33.ter del decreto legge 179/2012 convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2021 n. 221, nell’apposita sezione delle Stazioni Appaltanti Qualificate.
Il sistema di qualificazione, al fine di evitare rallentamenti e disapplicazione della norma, prevede la definizione di “ipotesi di gravi anomalie” idonee ad incidere sulla capacità di gestione dell’intero processo di acquisizione di lavori, servizi e forniture e che avranno un peso importante sulla valutazione della singola SA. Al tempo stesso, però, sono previsti dei requisiti premianti, individuati all’articolo 5 del Protocollo, dei quali l’Autorità potrà tener conto nella fase di valutazione della domanda di iscrizione all’Elenco. Tra questi spiccano il livello di soccombenza del contenzioso, il possesso di un sistema di gestione della qualità conforme alla norma UNI ENI ISO 90001 ed anche l’applicazione di criteri di sostenibilità ambientale e sociale nell’attività di progettazione e affidamento.
Il Protocollo, pur definendo il periodo di collaborazione in tre anni, si pone come obiettivo quello di giungere alla definizione delle Linee Guida entro e non oltre il 30 settembre e comunque entro l’entrata in vigore del nuovo Decreto Legislativo avente ad oggetto la materia degli appalti pubblici già in discussione al Senato.
[1] Protocollo d’Intesa PCM e ANAC 17 dicembre 2021;
[2] Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Codice dei contratti pubblici. G.U. n. 91 del 19 aprile 2016.
[3] Gli operatori degli uffici appalti sono consapevoli del fatto che, non di rado, l’amministratore indica il nome di un’impresa cui affidare piccoli lavori di manutenzione o di un professionista cui affidare la progettazione di un’opera.
[4] Testo del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 92 del 18 aprile 2019), coordinato con la legge di conversione 14 giugno 2019, n. 55 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici.». (19A03970) (GU Serie Generale n.140 del 17-06-2019)
[5] Il testo dell’articolo 1 così disponeva “Al fine di rilanciare gli investimenti pubblici e di facilitare l’apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche, per le procedure per le quali i bandi o gli avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonche’, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, per le procedure in relazione alle quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte, nelle more della riforma complessiva del settore e comunque nel rispetto dei principi e delle norme sancite dall’Unione europea, in particolare delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, fino al 31 dicembre 2020, non trovano applicazione, a titolo sperimentale, le seguenti norme del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”
[6] La deroga introdotta dallo sblocca cantieri è stata confermata nel DL 76/2020 convertito con legge 120/2020 ed anche nel DL 77/2021 convertito con legge 108/2021.