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Conference “Strengthening transparency and accountability to ensure integrity: United against corruption”

Intervento di Raffaele Cantone
Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione

Sibenik – Croazia 16 ottobre 2018

1. Buongiorno a tutti voi.
Sono molto onorato di intervenire in un’occasione così importante, organizzata dal Governo croato con il supporto del GRECO.
Sono stato interpellato come Presidente di una giovane autorità di prevenzione della corruzione, nata dalla legge 190/2012. L’ANAC è un’autorità amministrativa, che dunque non esercita alcun potere di law enforcement o di repressione in senso stretto.
In passato, l’unica arma utilizzata contro la corruzione era quella repressiva, cioè quella connessa all’applicazione delle norme penali.
Tuttavia, le caratteristiche del reato di corruzione rendono particolarmente complessa l’attività repressiva: infatti esso si traduce in uno scambio di natura illecita fra un privato (il corruttore) e un pubblico ufficiale (il corrotto) che approfitta della propria funzione; integra gli estremi di una condotta plurisoggettiva, definibile anche come “reato contratto”. Richiamo queste sintetiche indicazioni per poter evidenziare uno dei principali problemi che riguarda la lotta a questo male: la difficoltà di fare emergere i fatti corruttivi per poi punirli; non essendoci “conflitto di interessi” fra le parti del rapporto illecito e traendone vantaggio entrambe, nessuna delle due ha interesse a portare alla luce il contratto sottostante. L’inadeguatezza della repressione a colpire il fenomeno senza fermarsi alla punta dell’iceberg, unitamente al suo carattere di intervento comunque postumo rispetto a un fatto già verificatosi, ha spinto da anni gli studiosi della corruzione a ipotizzare forme diverse di intervento che potessero concentrarsi sulla prevenzione.
L’importanza di una prospettiva diversa, di tipo preventivo è, quindi, un tema da anni al centro del dibattito mondiale in materia di lotta alla corruzione. La Convenzione ONU di Merida del 2003 non a caso contiene due parti, l’una rivolta a rafforzare l’azione repressiva e penale, l’altra a potenziare quella preventiva.
Pur avendo l’Italia partecipato ai lavori della Convenzione e avendola ratificata formalmente (sia pure nel 2009), in quell’occasione ad essa non era stata attuazione reale; ciò è avvenuto solo nel 2012, con la legge la n. 190, la cd. “Legge Severino”, la quale al proprio articolo 1 dichiara di voler adempiere all’art. 6 della Convenzione di Merida.
In ossequio a detta disposizione l’ANAC presenta caratteristiche di indipendenza che brevemente rassegno: il suo vertice politico (un Presidente e quattro Consiglieri) è nominato con un procedimento volto a garantire la sua indipendenza funzionale dal Governo, con un mandato non a caso non coincidente con la durata della legislatura: un solo mandato a cinque persone individuate per le loro competenze, la loro integrità e la loro “distanza” dal mondo della politica e dei partiti; quella di ANAC è un’indipendenza garantita poi da una completa autosufficienza finanziaria, nonché dall’attività di un corpo amministrativo competente nelle materie che governa.

2. Quando si parla di “legge Severino” si pensa a un’unica normativa. In realtà, con quell’indicazione si intende far riferimento non solo alla già indicata legge n. 190 ma anche a tre decreti legislativi, emanati con l’obiettivo di completarne la trama normativa. Un primo, emanato nello stesso anno 2012 (n. 235) in materia di incandidabilità e ineleggibilità delle cariche politiche, gli altri due nei primi mesi del 2013 (n. 33 e n. 39), in materia, rispettivamente, di trasparenza e di incompatibilità delle cariche amministrative.
Malgrado il complessivo impianto normativo risenta di una tecnica legislativa non sempre perfetta, è possibile individuare chiaramente i tratti caratterizzanti del sistema della prevenzione nazionale.
In estrema sintesi, sono tre i momenti (i pilastri, potremmo dire con un po’ di enfasi) che caratterizzano la strategia italiana della prevenzione, sia pure in una prospettiva unitaria che resta quella della “corruzione” da contenere ed evitare.
Il primo pilastro della strategia è connesso a un capovolgimento della prospettiva tradizionale. L’esigenza di assicurare la legalità e la corretta cura degli interessi pubblici è un problema al quale i sistemi amministrativi hanno cercato di rispondere soprattutto con la logica del controllo, collegata all’idea di un’amministrazione di cui non ci si può fidare, perché un “luogo a rischio”, un’entità, quindi, da sottoporre a una sorta di tutela.
L’impianto normativo della “Legge Severino” scommette, invece, sulla capacità di ogni amministrazione di poter generare gli anticorpi, partendo da un assunto in astratto difficilmente contestabile: non si può contrastare la corruzione ponendosi contro l’amministrazione e non utilizzando la parte migliore di coloro che la compongono.
Questo capovolgimento di prospettiva si traduce, in pratica, nella innovativa previsione di uno strumento alternativo di controllo, attraverso la riorganizzazione delle procedure, quello dei “piani di prevenzione della corruzione”. I piani di prevenzione si ricollegano sia al sistema di compliance previsto nell’ambito della responsabilità “penale” delle imprese, introdotta in Italia dal d.lgs. n. 231 del 2001, che ai piani di integrità (“integrity plans”) introdotti in molti Paesi stranieri per verificare l’integrità dell’organizzazione e valutare il livello di vulnerabilità degli organismi, ma si muove comunque con una direttrice autonoma.
Il sistema dei piani di prevenzione si articola su un doppio livello: un Piano nazionale (PNA) e uno di ogni singola amministrazione (denominato Piano triennale di prevenzione della corruzione – PTPC); entrambi hanno validità triennale ma devono essere annualmente aggiornati.
Il Piano nazionale deve essere redatto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, sia pure dopo aver sentito altri organi (in particolare un comitato interministeriale e la conferenza unificata Stato Regioni) e nella pratica viene sempre predisposto con un confronto con i rappresentanti delle amministrazioni e previa consultazione pubblica. Con esso vengono fornite alle amministrazioni le indicazioni metodologiche per la redazione del proprio piano, nonché individuate le possibili aree di rischio su cui intervenire e le misure adottabili. Infatti è con il Piano triennale che viene messa in campo la specifica strategia di ogni ente. Tutte le amministrazioni sono tenute ad adottarlo e ad adeguarlo ogni anno, pena una sanzione pecuniaria amministrativa (da 1000 a 10.000 euro) a carico dei soggetti obbligati alla sua predisposizione e approvazione.
I Piani dovranno effettuare la cd. mappatura dei rischi e cioè l’individuazione dei fattori che possono agevolare i fatti di corruzione; quelli esterni, collegati a situazioni ambientali esterne all’ente (quali, ad esempio, l’esistenza di fenomeni di diffusa illegalità) e interni, ricollegati, in particolare, all’attività degli uffici (che si si occupano, ad esempio, di questioni di impatto significativo dal punto di vista economico).
Una volta individuati i rischi, vanno poi indicate le misure organizzative che possono sterilizzarli; a partire dalla rotazione del personale (misura obbligatoria), le altre misure saranno calibrate alle peculiarità dei rischi medesimi e possono consistere, ad esempio,  in controlli aggiuntivi (il visto sulle pratiche o l’istruttoria condotta da parte di più persone), nel destinare maggiori risorse di personale ad alcune attività, nel prevedere rigidi criteri cronologici nell’esame delle pratiche o anche nell’eliminare intralci burocratici che possano essi stessi essere fattori di rischio.
Dal punto di vista procedurale, il Piano è approvato dall’organo di indirizzo politico dell’amministrazione (in un comune la Giunta, in un ministero il Ministro, nell’università il consiglio di amministrazione, ecc.), su proposta però di una figura di nuovo conio, anch’essa fondamentale nella nuova strategia, il Responsabile della prevenzione della corruzione, un dirigente interno dotato di una propria sfera di autonomia, che diventa così il responsabile nell’ente dell’attuazione del Piano.
Il secondo pilastro di questa strategia è nel diverso rapporto che deve intercorrere fra amministrazione e cittadini; sono questi ultimi i “beneficiari” dell’attività dell’amministrazione; i funzionari pubblici, sia quelli elettivi che quelli burocratici, gestiscono il potere nell’interesse della collettività e quindi, in ultima analisi, dei cittadini.
A costoro devono dar conto – è il dar conto che viene espresso in un felice vocabolo, della tradizione anglosassone, “accountability” –  e sono costoro che possono (e devono) chiedere ragione dell’operato dell’amministrazione.
Per strutturare questo diverso e nuovo rapporto amministrazione/cittadini è necessario capovolgere un’idea tradizionale con cui si è mossa fino a ieri l’amministrazione (quantomeno quella italiana) e cioè la riservatezza del suo agire; bisogna, invece, che l’attività amministrativa sia conoscibile dal cittadino in quanto tale e non perché egli sia portatore di uno specifico interesse.
Questa esigenza si traduce, quindi, nella necessità di massima trasparenza dell’azione amministrativa e, di conseguenza, nella piena accessibilità agli atti, ai documenti e alle informazioni in possesso del settore pubblico.
L’Italia ha adottato un proprio ampio statuto della trasparenza attraverso due step; con un primo intervento del 2013, nell’ambito della “riforma Severino”, ha introdotto un regime di pubblicità obbligatoria sui siti istituzionali di tutti gli enti pubblici, di una serie di informazioni; i dati vanno pubblicati in sistema open, sono indicizzabili e scaricabili da chiunque.
Dal 2016 è stato previsto un diritto di “accesso civico generalizzato”, costruito sullo schema del Freedom of information Act (FOIA) di tradizione anglosassone: il cittadino ha diritto di poter ricevere copia degli atti e di tutte le informazioni in possesso delle amministrazioni pubbliche, diversi ovviamente da quelli già obbligatoriamente pubblicati. E’ un diritto che incontra alcuni limiti negli interessi pubblici (alcune categorie di segreto) o nella tutela degli incomprimibili diritti individuali di riservatezza dei dati personali.
Un terzo gruppo di misure rivolge la propria attenzione alla figura del funzionario pubblico, ai suoi doveri e ai suoi comportamenti. L’idea di fondo perseguita è di rafforzare l’imparzialità “soggettiva” dell’amministrazione, e cioè di evitare situazioni di conflitto di interessi che rappresentino un rischio concreto di fatti corruttivi, di favorire l’emersione, anche attraverso la trasparenza, di eventuali interessi privati che possono pregiudicare la migliore cura dell’interesse pubblico e regolare le condotte individuali dei funzionari.
L’approccio della normativa è anzitutto quello di “irrobustire” la distinzione fra politica e amministrazione, attraverso più penetranti regole di incompatibilità (cioè impossibilità di poter rivestire contestualmente due cariche) e inconferibilità (cioè l’impossibilità di ricevere il conferimento di determinate cariche): non potranno essere affidati incarichi dirigenziali o di responsabilità in enti pubblici o in controllo pubblico a chi abbia riportato condanne penali per alcuni reati anche non passati in giudicato o a chi abbia recentemente ricoperto incarichi di tipo politico o di direzione in enti controllanti.
L’imparzialità della pubblica amministrazione viene anche assicurata attraverso la chiara previsione dell’obbligo di astensione in presenza di un interesse in conflitto, l’irrigidimento dell’esclusività del rapporto con l’amministrazione, individuando criteri più rigorosi per poter essere autorizzati a svolgere incarichi diversi o la regolazione dell’uscita dei funzionari dal mondo pubblico (il cd. pantouflage), impedendo cioè che possano assumere incarichi lavorativi presso soggetti privati coloro che avevano svolto attività autoritativa o negoziale nei confronti di questi stessi soggetti privati.
Dell’imparzialità si fanno carico anche i codici di comportamento dei dipendenti, previsti a livello nazionale e obbligatori per ogni amministrazione: essi forniscono una sorta di vademecum del comportamento del funzionario. La loro inosservanza è sanzionabile in via disciplinare.
Sempre nella logica di far emergere eventuali situazioni di conflitto di interessi o comportamenti non corretti nell’amministrazione si spiega uno strumento, già previsto dalla “legge Severino” e di recente (nel dicembre 2017) opportunamente rafforzato in via legislativa: la protezione del cd. whistleblower, la “vedetta civica”, cioè chi dall’interno di un’organizzazione avverte l’esistenza del malaffare e lo denuncia, contribuendo dall’interno a rendere più trasparente l’amministrazione.

3. Nella logica di questa strategia l’Autorità Nazionale Anticorruzione è al centro della nuova funzione di prevenzione; ad essa spetta il compito di costruire una “politica” anticorruzione, grazie, però, alla sinergia con le singole amministrazioni, oltre che con altre istituzioni nazionali non specificamente dedicate.
L’Autorità svolge funzioni di vigilanza sul sistema dell’anticorruzione, anche attraverso attività ispettive che possono essere delegate alla guardia di finanza; ha poteri di regolazione attraverso strumenti di soft law; in alcuni casi ha anche il potere di irrogare sanzioni per l’inosservanza degli obblighi. Dal 2014, all’Autorità Anticorruzione è stato attribuito anche il potere di vigilanza sul settore degli appalti pubblici e le funzioni della stessa in materia sono state ulteriormente aumentate con il Codice dei contratti pubblici del 2016, che riconosce, ad esempio, anche la possibilità di impugnare dinanzi al giudice amministrativo bandi e contratti pubblici che non siano rispettosi del diritto degli appalti.

4. La legge del 2012 dà mandato all’ANAC di esercitare la propria competenza anche sul piano delle relazioni internazionali bilaterali e multilaterali, pure nel quadro delle organizzazioni internazionali ed europee. Dal punto di vista bilaterale, l’ANAC negli ultimi anni ha concluso un buon numero di protocolli d’intesa con agenzie gemelle, dentro e fuori Europa, e ha partecipato attivamente ad iniziative volte al rafforzamento delle capacità tecniche di altre istituzioni (con progetti Twinning o TAIEX).
A livello multilaterale, l’ANAC sostiene e partecipa alle attività di prevenzione all’interno di fori internazionali (ad esempio nel GRECO, come nell’OCSE, nell’OSCE, nelle Nazioni Unite e nell’Unione europea), ed è impegnata a promuovere e stabilire nuove forme di collaborazione, ancora una volta dando adempimento all’art. 6 della Convenzione di Merida.
L’obiettivo di una sempre più stretta cooperazione internazionale tra le agenzie di prevenzione della corruzione non può che risultare rafforzato dall’istituzione di una rete di prevenzione della corruzione che l’ANAC ha proposto agli Stati con i quali costantemente e assiduamente lavora sul fronte della prevenzione della corruzione. Il progetto di costituire una “rete” a ciò dedicata è stato avviato già nel 2015, durante le riunioni per la stesura del rapporto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (redatto dall’allora deputato europeo Prof. Michele Nicoletti) sulla promozione per l’integrità, che al punto 126 recita: “Il Consiglio d’Europa potrebbe fornire una piattaforma per le autorità anti-corruzione in tutti gli Stati membri del GRECO per raccogliere e discutere le buone pratiche e le sfide attuali nella lotta alla corruzione. Potrebbe anche creare una rete a livello europeo“.
Seguendo questa idea iniziale, insieme ad altre agenzie straniere gemelle l’ANAC ha lavorato attivamente per fondare una coalizione che rappresenti un gruppo solido e omogeneo di istituzioni incaricate di prevenire la corruzione, in modo da avviare e approfondire la collaborazione su strategie e strumenti comuni. L’obiettivo di questa rete deve essere il più possibile operativo; ad esempio si potrebbe pensare a scambiare informazioni e/o best practices, ma anche a riportare maggior attenzione sul tema della prevenzione, a dar vita a una voce europea forte e comune sugli strumenti tipici della prevenzione. Si potrà lavorare per elaborare standard comuni in tema di trasparenza, di dichiarazioni patrimoniali, di conflitti di interessi, di whistleblowing, di codici di condotta, in tema di formazione ed educazione, per citarne soltanto alcuni, e anche magari per l’individuazione di indicatori del rischio di corruzione.
La Dichiarazione che sarà firmata oggi segna il primo importante passo in questa direzione.
Vi ringrazio per l’attenzione che mi avete riservato.

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