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ANAC: accesso civico generalizzato e consulenza tecnica d’ufficio.

AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE

DELIBERA N. 364 del 5 maggio 2021

 

Oggetto: accesso civico generalizzato ex artt. 5, co. 2 e 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 con riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio (CTU)

 

Riferimenti normativi Regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 Regio decreto 28 ottobre 1940, n. 144 Regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, artt. 5, co.2 e 5-bis

Parole chiave “consulenza tecnica d’ufficio (CTU)” – “accesso civico generalizzato” – “limiti ed esclusioni” – “atti giudiziari”- “linee guida Anac 1309/2016”.

 

Massima La consulenza tecnica d’ufficio (CTU), in quanto mezzo di indagine riconducibile nell’ambito degli atti giudiziari, è esclusa dall’accesso civico generalizzato ex art. 5, co. 2, del d.lgs. 33/2013. L’accesso a tale atto è disciplinato da regole autonome previste dal codice di rito ed in particolare dalla disposizione di cui all’art. 76 disp. att. c.p.c. ai sensi della quale l’accesso agli atti giudiziari è riservato ai difensori e alle parti del giudizio, nonché dalle norme che subordinano il rilascio di copie al pagamento di appositi diritti (cfr. art. 744 c.p.c). Tali disposizioni non possono essere derogate dalla disciplina in materia di accesso civico, che, peraltro, all ́art. 5-bis, co. 3, del d.lgs. n. 33/2013 dispone che l’accesso civico “è escluso nei casi […] di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l ́accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.Visto il regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 «Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici» ed in particolare gli artt. 167, 196, co. 2 sugli accertamenti tecnici disposti dal giudice e l’art. 208 sul rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile; Visto il regio decreto 28 ottobre 1940, n. 144 «Codice di procedura civile» ed in particolare gli artt. 61, 62, 194 e 198, co. 2, sul consulente tecnico;

 

Visto il regio decreto18 dicembre 1941, n. 1368 «Disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura civile e disposizioni transitorie» ed in particolare l’art. 76 sull’accesso delle parti ai fascicoli;

Visto il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» ed in particolare gli artt. 5, co. 2 e 5-bis in materia di accesso civico generalizzato;

Vista la delibera ANAC n. 1309 del 28 dicembre 2016 «Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013»;

Vista la richiesta di parere (prot. n. 20666 del 10.03.2021) con cui il Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) del comune OMISSIS ha sottoposto all’attenzione dell’Autorità la questione relativa all’istanza di accesso civico generalizzato ex art. 5, co. 2, del d.lgs. 33/2013 con riguardo a consulenze tecniche d’ufficio (CTU) redatte in relazione a due controversie pendenti dinanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche-TRAP presso la Corte d’appello di OMISSIS e quindi la richiesta di chiarimenti sulla riconducibilità delle CTU alla categoria degli atti giudiziari per i quali è prevista l’esclusione dall’accesso FOIA, in base alle indicazioni fornite dall’Autorità con la delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016, “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, co.2, del d.lgs. 33/2013”;

Vista l’istruttoria svolta dall’Ufficio PNA e Regolazione Anticorruzione e Trasparenza;

Vista la decisione del Consiglio dell’Autorità del 30 marzo 2021 Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione nell’adunanza del 5 maggio 2021

Ritenuto in fatto

Con nota acquisita al protocollo dell’Autorità n. 20666 del 10.03.2021 il Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) del comune OMISSIS ha sottoposto all’attenzione dell’Autorità la questione relativa all’istanza di accesso civico generalizzato ex art. 5, co. 2, del d.lgs. 33/2013 a due consulenze tecniche d’ufficio (CTU) predisposte in controversie dinanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche-TRAP presso la Corte d’appello di OMISSIS. In particolare, il RPCT ha chiesto chiarimenti sulla riconducibilità delle CTU alla categoria degli atti giudiziari per i quali è prevista l’esclusione dall’accesso civico generalizzato, in base alle indicazioni fornite dall’Autorità al §

7.6. della delibera n. 1309/2016 “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, co.2, del d.lgs. 33/2013

Ritenuto in diritto

Si osserva anzitutto che la competenza di ANAC in materia di accesso civico generalizzato, attribuita dal legislatore, ai sensi dell’art. 5-bis, co. 6 del d.lgs. n. 33/2013, è circoscritta all’adozione di linee guida, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, per fornire indicazioni operative sui limiti ed esclusioni all’accesso in questione. Di conseguenza, l’Autorità, come precisato nel Comunicato del Presidente del 27 aprile 2017, può fornire chiarimenti solo se attinenti a questioni di particolare rilevanza sull’interpretazione delle indicazioni formulate nelle predette linee guida, ivi incluse quindi quelle in materia di accesso ad atti giudiziari richiamati all’art. 76 disp. att. c.p.c. Resta fermo, inoltre, che le richieste di parere rivolte ad ANAC non interrompono in alcun modo i termini stabiliti all’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 per la conclusione del procedimento di accesso civico.

Ciò chiarito, si rammenta che l’art. 5 del d.lgs. 33/2013 ha introdotto l’istituto dell’accesso civico generalizzato a dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e non oggetto di pubblicazione obbligatoria per favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche nonché al fine di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

La regola della generale accessibilità è temperata dalla previsione, all’art. 5-bis del decreto, di esclusioni e limiti. Nelle linee guida di cui alla citata delibera n. 1309/2016, l’Autorità, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, ha affrontato il tema della precisazione dei limiti ed esclusioni dall’accesso civico generalizzato, di cui all’art. 5-bis del decreto trasparenza. Con particolare riguardo ai limiti indicati al comma 1 del citato art. 5 bis, l’Autorità ha dato indicazioni su ognuno di essi.

Con riferimento alla tutela dell’”interesse pubblico relativo alla conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento”, di cui alla lett. f) di tale articolo, ha espresso le seguenti considerazioni: L’interesse pubblico sotteso alla conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento è strettamente connesso alla sicurezza e all’ordine pubblico e all’esercizio di attività giudiziaria”. Per quanto concernele possibili sovrapposizioni con l’esercizio dell’attività giudiziaria, ANAC ha chiarito che l’accesso generalizzato riguarda atti, dati e informazioni che siano riconducibili a un’attività amministrativa, in senso oggettivo e funzionale. Ha pertanto evidenziato che ”Esulano [..] dall’accesso generalizzato gli atti giudiziari, cioè gli atti processuali o quelli che siano espressione della funzione giurisdizionale, ancorché non immediatamente collegati a provvedimenti che siano espressione dello “ius dicere”, purché intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi.

L’accesso e i limiti alla conoscenza degli atti giudiziari, ovvero di tutti gli atti che sono espressione della funzione giurisdizionale, anche se acquisiti in un procedimento amministrativo, sono infatti disciplinati da regole autonome previste dai rispettivi codici di rito. Si consideri, al riguardo, la speciale disciplina del segreto istruttorio, ai sensi dell’art. 329 c.p.p.; il divieto di pubblicazione di atti (art. 114 c.p.p.) e il rilascio di copia di atti del procedimento a chiunque vi abbia interesse, previa autorizzazione del pubblico ministero o del giudice che procede (art. 116 c.p.p.). Per i giudizi civili, ad esempio, l’art. 76 disp. att. c.p.c., che stabilisce che le parti e i loro difensori possono esaminare gli atti e i documenti inseriti nel fascicolo d’ufficio e in quelli delle altre parti e ottenere copia dal cancelliere; pertanto l’accesso è consentito solo alle parti e ai loro difensori. “(cfr. § 7.6 della delibera n. 1309/2016). In merito all’accesso civico ex art. 5, co.2, d.lgs 33/2013 per conoscere atti giudiziari, può essere utile richiamare altresì il provvedimento del Garante della protezione dei dati personali n. 42 del 25 gennaio 2018 che, proprio dopo avere richiamato le predette linee guida Anac, ha osservato, tra l’altro, che “la modalità di rilascio degli atti giudiziali da parte di cancellieri e depositari di pubblici registri, è soggetta a precise regole, che peraltro prevedono anche il pagamento di appositi diritti, contenute nelle pertinenti disposizioni processuali (cfr. art. 51 del Codice) – fra cui l ́art. 744 c.p.c. e l ́art. 76 delle Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie – che, anche alla luce dell ́art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33/2013, non si ritiene possano essere derogate dalla disciplina in materia di accesso civico.

Ciò premesso, con riferimento all’istanza avente ad oggetto consulenze tecniche d’ufficio (d’ora in avanti CTU) redatte in relazione a controversie nell’ambito di procedimenti giudiziari ancora pendenti davanti al Tribunale regionale della Acque pubbliche di OMISSIS, si osserva quanto segue. In via preliminare, va precisato che i Tribunali delle Acque Pubbliche sono stati istituiti dal r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, recante “il Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici “(nel prosieguo T.U. Acque pubbliche), tuttora vigente.

Sono organi giurisdizionali che hanno competenza nelle controversie riguardanti il demanio idrico, distinti in: Tribunali Regionali istituiti presso otto Corti di Appello e composti da una sezione ordinaria della Corte d’Appello designata dal presidente, integrata con tre esperti, iscritti nell’albo degli ingegneri (uno dei quali deve sempre partecipare alle decisioni del collegio) e nominati con decreto del Ministro della giustizia (art. 138 T.U. come modificato a seguito della riorganizzazione ad opera del d.l. n. 354/2003, convertito con l. n. 45/2004) e in un Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche-TSAP (con sede presso la Cassazione, organo di seconda istanza e con cognizione diretta di alcuni ricorsi).

Per quanto concerne i mezzi di indagine di cui tali Tribunali possono disporre, per quel che rileva in questa sede, il T.U. Acque pubbliche contiene diverse disposizioni (artt. 147 e ss.) d’interesse che si ritiene opportuno richiamare. Si fa riferimento, in particolare, all’art. 167 in base al quale normalmente il giudice, ove siano necessari accertamenti tecnici, procede avvalendosi di uno degli esperti che compongono il collegio. Soltanto “in casi eccezionali, il giudice può anche nominare un tecnico (da intendersi esterno) per i rilievi necessari, la descrizione dei luoghi e la constatazione dello stato di fatto”. Va richiamato anche il successivo comma 2 dell’art 196 che prevede la possibilità che il giudice delle acque pubbliche incarichi uno o più funzionari tecnici dello Stato per eseguire “i necessari rilievi tecnici, la descrizione dei luoghi e la constatazione dello stato di fatto”.

Per tutto ciò che non è regolato dalle disposizioni del T.U., l’art. 208 rinvia poi alle norme del codice di procedura civile, dell’ordinamento e del regolamento giudiziario, in quanto compatibili, nonché, per i ricorsi in unico grado dinanzi al TSAP, alle disposizioni del codice del processo amministrativo. Alla luce di tale dato normativo, sono quindi applicabili nel procedimento dinanzi al TRAP anche i mezzi di indagine di cui può avvalersi il giudice in base al codice di rito, tra cui vi rientra appunto la consulenza tecnica d’ufficio. Pertanto, la valutazione dell’accessibilità ex art. 5, co.2, del d.lgs. 33/2012 alla CTU, regolata, per quanto non previsto da norma speciali, dal codice di rito, non può che essere effettuata in base agli orientamenti maturati in dottrina e giurisprudenza sul ruolo e funzioni della CTU, secondo la disciplina procedurale di matrice civilistica.

Ciò al fine di stabilire, in particolare, se a tale atto sia applicabile la disposizione di cui all’art. 76 disp. att. c.p.c., ai sensi della quale l’accesso agli atti giudiziari è riservato ai difensori e alle parti del giudizio. Si premette che la nomina del consulente tecnico rientra nel potere discrezionale del giudice che può ricorrervi, anche senza alcuna richiesta delle parti, quando risulti necessario, per accertare i fatti del procedimento, l’impiego di conoscenze tecniche o scientifiche particolari che vanno al di là della cultura media e delle quali egli non dispone. L’orientamento prevalente della dottrina e della giurisprudenza attribuisce alla CTU la natura non già di mezzo di prova, bensì di strumento di ausilio fornito al giudice nella valutazione della prova. Tale qualificazione è avvalorata dalla considerazione che il codice non disciplina espressamente la “consulenza tecnica”, ma piuttosto la figura del “consulente tecnico”, all’interno della parte dedicata all’istruzione probatoria, prima e fuori da quella dedicata ai mezzi di prova propriamente detti.

Al riguardo, il codice di rito (libro primo – capo III) inquadra il consulente tecnico d’ufficio tra gli ausiliari del giudice. In particolare, ai sensi dell’art. 61 c.p.c.: “Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica“. Il consulente tecnico deve essere, inoltre, normalmente scelto tra le persone iscritte in albi speciali (art. 61, co. 2, c.p.c. e art. 13 e ss. disp. att. c.p.c.). La finalità propria della CTU è quella di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze. Invero, in base alle disposizioni normative, il consulente tecnico, nell’espletamento del mandato ricevuto, compie le indagini che il giudice dispone ex art. 62 c.p.c. e può fornire, in udienza ovvero in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede.

A norma dell’art. 194 c.p.c., tale ausiliario è tenuto ad assistere alle udienze alle quali è invitato dal giudice e può compiere atti di indagine anche fuori dalla circoscrizione giudiziaria. Può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e ad eseguire piante, calchi e rilievi. In via eccezionale, previo consenso di tutte le parti, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa (art. 198, co. 2 c.p.c.). Nell’ambito della disciplina delle attività del consulente tecnico, a seconda dell’incarico affidato, la giurisprudenza distingue due tipologie.

Normalmente al consulente è demandato il compito di valutare i fatti già accertati dal giudice o incontroversi tra le parti (c.d. “consulenza deducente”). In tale caso l’incarico di consulenza presuppone l’avvenuta assunzione dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente dimostrati dalle parti.

La giurisprudenza definisce la CTU cd. “deducente” quale atto processuale, che ha funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti ed elementi acquisiti (cfr. Cass. Civ. ordinanza Sez. VI, 24 giugno 2020, n. 12387). A tale tipologia si aggiunge quella, meno frequente, della consulenza tecnica cd. “percipiente”, nel caso in cui il consulente abbia il compito di accertare determinate situazioni di fatto non ancora dimostrate in giudizio e sia necessario l’ausilio di speciali cognizioni tecniche.

In tale ipotesi, ad avviso della giurisprudenza, la CTU può “costituire essa stessa fonte oggettiva di prova dell’accertamento dei fatti”, purché la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto (cfr. Cass. Civ. ordinanza Sez.VI, n. 12387/ 2020 cit; Cass. Civ. Sez. II, n. 8395/2000). Al riguardo, va invero considerato che l’ampio potere discrezionale del giudice nel disporre la consulenza incontra il limite, tra l’altro, del rispetto del principio dispositivo, sub specie di onere della prova in capo alle parti, che si traduce nel divieto di consulenza esplorativa.

Il suddetto mezzo di indagine quindi assume carattere di complementarietà rispetto alla prova e alle allegazioni della parte e non può essere utilizzato per surrogare attività probatorie che la parte ha l’onere di compiere (cfr. Trib. Benevento Sez. II, 28 gennaio 2021, n.118; Cass. Civ., Sez. VI, 7 settembre 2019, n. 15521; Cass. Civ. 11 marzo 1993, n. 2963; Cass. Civ. 6 giugno 1983, n. 3840; Cass. Civ.10 novembre 1979, n. 1609).

Infine, vale evidenziare che il ricorso all’ausilio di un consulente tecnico implica soltanto un’integrazione delle conoscenze del giudice, il quale non si spoglia dei propri poteri decisori: ed invero “il giudice di merito non può ritenersi vincolato dalle deduzioni tratte dai c.t.u. in base agli accertamenti tecnici, essendo suo precipuo compito trarre autonomamente logiche conclusioni, giuridiche e di merito, sulla base del materiale probatorio acquisito” (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 20 luglio 2001, n. 9922).

L’accertamento dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni resta, infatti, sempre compito del giudice. Le valutazioni conclusive del consulente tecnico, pertanto, debbono intendersi soggette alla regola del “rebus sic stantibus“, e cioè valide a condizione che anche il giudice, valutato il materiale probatorio utilizzato dal consulente tecnico d’ufficio, ritenga condivisibile la ricostruzione dei fatti come compiuta da quest’ultimo, e la faccia propria (per un “manifesto” di tale impostazione, cfr. Cass. Sez. III, n. 6502 del 10/05/2001).

Il rapporto tra accertamento scientifico e accertamento giuridico deve essere tale che il primo sia meramente strumentale e non sostitutivo del secondo (cfr. Tar Campania, Sez. VIII, 9 novembre 2020, n.5066). Tuttavia, recentemente la Cassazione ha precisato, con specifico riferimento alla CTU cd. “percipiente”, che il giudice può disattendere le risultanze della disposta consulenza, ma solo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione, specificando le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 11/01/2021, n.200).

Alla luce di quanto sopra, la CTU, regolata, per quanto non previsto da norme speciali, dal codice di rito, è un atto processuale e quindi elemento del processo di realizzazione della tutela giurisdizionale, come confermato dalla recente giurisprudenza che l’ha espressamente qualificata come “atto processuale, che ha funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti ed elementi acquisiti “(Cass. Civ. ordinanza Sez. VI, n. 12387/2020 cit.), precisando che in alcuni casi può costituire anche “fonte oggettiva di prova”.

La CTU, quale atto contenente accertamenti di carattere tecnico-scientifico, è quindi strumentale a quell’accertamento giuridico cui è tenuto il giudice e che trova poi riscontro nel provvedimento espressione della funzione giurisdizionale. Tenuto conto di tale natura e del fatto che il consulente tecnico è inquadrato dal codice di rito tra gli ausiliari del giudice, l’Autorità aderisce all’orientamento secondo cui la consulenza tecnica sia riconducibile agli atti giudiziari, ossia agli atti processuali o a quelli che siano espressione della funzione giurisdizionale, ancorché non immediatamente collegati a provvedimenti che siano espressione dello ius dicere”, purché intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi.

Da ciò discende che anche per l’accesso alla CTU si applichi la speciale disposizione contenuta all’art. 76 disp. att. c.p.c., sopra illustrata e richiamata nelle linee guida di ANAC. D’altra parte, la prevalenza delle regole civilistiche sulla disciplina generale in materia di accesso civico generalizzato emerge laddove si consideri l’ipotesi di esclusione dall’accesso civico generalizzato stabilita all’art. 5-bis, co. 3, del d.lgs. 33/2013, nel caso in cui l’accesso sia sottoposto a specifiche modalità, limiti o condizioni previste dalla normativa vigente. L’accesso agli atti giudiziari riservato ai difensori e alle parti costituisce, infatti, un peculiare limite alla conoscibilità di tali atti che non può essere derogato, in quanto posto dal legislatore a garanzia del corretto svolgimento del giudizio. Ciò posto,

DELIBERA

la CTU, quale mezzo di indagine riconducibile agli atti giudiziari, è esclusa dall’accesso civico generalizzato ex art. 5, co, 2 del d.lgs. 33/2013;

L’accesso a tale atto è disciplinato da regole autonome previste dal codice di rito ed in particolare dalla disposizione di cui all’art. 76 disp. att. c.p.c. ai sensi della quale l’accesso agli atti giudiziari è riservato ai difensori e alle parti del giudizio, nonché dalle regole che subordinano il rilascio di copie al pagamento di appositi diritti (cfr. art. 744 c.p.c). Tali disposizioni non si ritiene possano essere derogate dalla disciplina in materia di accesso civico, che peraltro all ́art. 5-bis, co. 3, del d.lgs. n. 33/2013 dispone che l’accesso civico “è escluso nei casi […] di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l ́accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

Il presente provvedimento è trasmesso al RPCT del comune OMISSIS. e pubblicato sul sito istituzionale dell’Autorità.

Il Presidente Avv. Giuseppe Busia

Depositato presso la Segreteria del Consiglio in data

Per il Segretario verbalizzante Maria Esposito Rosetta Greco

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