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ALLE RADICI DELLO STATO MODERNO.

ALLE RADICI DELLO STATO MODERNO

Sergio Benedetto Sabetta

La Chiesa è parte della costruzione europea dello Stato moderno, tanto da potere affermare che la riforma tridentina partecipa alla fondazione dello Stato in età moderna costituendolo quale ordine giuridico e, al contempo, conferendogli una propria sacralità, di cui massima espressione ne è l’idealismo hegeliano e fichtiano.

Si creano le premesse dello Stato assolutista moderno e se ne elaborano gli strumenti, quali le ispezioni, l’istituzione dello stato civile e le scuole burocratiche di cui esempio massimo è la sintesi tra Chiesa riformata e Stato assoluto operata nel XVII secolo in Francia dai Cardinali Richelieu e Mazzarino, i quali passano dalla monarchia feudale alla monarchia assoluta.

Il cardinale Bellarmino nel sistematizzare i contenuti conciliari distingue preliminarmente tra il “corpus mysticum” della comunità ecclesiale e il “corpus mysticum” della comunità civile, per giungere al contenuto reale dell’appartenenza al corpo imperniato sulla gerarchia ecclesiale, quale elemento di una disciplina unificante e necessaria da collegare sia alla identica professione di fede che alla partecipazione agli stessi sacramenti, tanto da paragonarla alla comunità del popolo romano, alla Repubblica di Venezia e al regno di Francia.

Il diritto canonico tridentino viene quindi a distinguere tra due società autonome sufficienti e perfette, che alla metà dell’Ottocento si configureranno nella teoria della Chiesa e dello Stato, con due sfere distinte la prima relativa all’etica e al foro interno la seconda all’aspetto relazionale del foro esterno.

Vi è una centralizzazione autoritaria del diritto secondo una gerarchia delle fonti che si contrappone alle categorie oggettive del diritto medievale, in questa visione assolutista della legge vi è un monopolio interpretativo presso gli organi centrali.

Con la Seconda Scolastica e il Suarez viene meno il ruolo creativo della giurisprudenza, se non in supporto alla volontà positiva del legislatore, unico titolare della potestà normativa, e si accentua l’autonomia del diritto canonico dalla teologia secondo l’indicazione tridentina.

Nel rapporto verticistico tra Santa Sede e le Chiese locali si introducono nuovi strumenti di controllo, quali i visitatori apostolici con poteri speciali, l’obbligo di relazionare sullo stato delle diocesi e le nunziature apostoliche con poteri di vigilanza.

A sua volta il Vitoria, nel sostituire le teorie medioevali della sovranità universale con una concezione universalistica del diritto, fondata sull’esigenza naturale di coordinare una comunità internazionale, getta le basi per il moderno diritto internazionale positivo.

Nel riconoscere l’immutabilità del diritto naturale, Soro e Molina ammettono la storicità e quindi la variabilità del diritto positivo, in quanto prodotto essenzialmente dalla ragione.

Su questa via Vasquez, superando il tradizionale sistema razionale tomista, già messo in crisi dalle correnti nominaliste e volontariste, collega il diritto naturale alla pura e semplice natura razionale delle cose in sé, senza alcun riferimento alla lex aeterna di San Tommaso.

Suarez nel recuperare il diritto naturale quale “ius divinum”, sintesi del diritto divino naturale (ius naturale) e del diritto divino rivelato (ius positivum), pone subordinato ad esso lo ius humanum, il diritto canonico, civile e delle genti.

Le leggi del sovrano devono rispettare i principi del diritto divino, naturale e delle genti, dei quali il solo diritto divino è interpretato dalla Chiesa, mentre la legge naturale è promulgata dalla stessa ragione umana e come tale è comune all’intera umanità, ossia è delle genti.

La legge naturale non è di per sé immutabile ma varia a seconda delle circostanze, mantenendo comunque saldi i principi fondanti, vi è in questo l’elemento portante della nascita dei diritti dell’individuo, così come elaborati nel corso del XVIII secolo dagli Illuministi e consacrati nelle dichiarazioni costituzionali delle Rivoluzioni americana e francese.

Lo Stato accentrato diviene, quindi, sia la fonte del diritto che il garante dei diritti fondamentali dell’individuo, ma anche il corpo mistico che incarna la comunità e come tale il soggetto che, in caso di pericolo, sospende provvisoriamente i diritti al fine della salvezza della stesa superiore comunità.

Il recupero nelle comunità protestanti del senso della collegialità propria dei primi secoli del cristianesimo, fa sì che si innesti nella struttura autocratica e burocratica dello Stato assolutistico l’elemento democratico, assumendo il popolo attraverso la sua rappresentanza la potestà legislativa.

Il principio dell’uguaglianza dei diritti individuali innanzi alla legge, non può nascondere i diversi valori che ciascuno possiede e in cui interviene l’interpretazione, con il suo tentativo di favorire una coerenza interna allo Stato – comunità.

Il moderno tentativo novecentesco di trasformare l’uguaglianza giuridica in una sostanziale uguaglianza sociale “assoluta” non ha dato i frutti sperati, diminuendo in un appiattimento assoluto lo spirito creativo umano, fino al collasso istituzionale.

Di fronte al disastro e alla conseguente trionfante globalizzazione, sponsorizzata dal neoliberismo americano, si è parlato prematuramente della morte dello Stato schiacciato tra aziende private globali, istituzioni sovranazionali e interessi particolari, finché l’attuale pandemia ne ha fatto riscoprire la centralità nei momenti di crisi.

Una centralità dello Stato anche contro una lettura della sua disintegrazione nei termini di un maldestro federalismo e di un suo riassorbimento in una ipotetica U.E. paritaria, dove riemergono al contrario gli opposti interessi e i blocchi geoeconomici, tanto da indurre la proposta di inserire nella carta costituzionale il principio dell’interesse nazionale quale garante di una unitarietà d’azione dell’Italia.

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