di Ruggero Tumbiolo. Con la sentenza del 29 novembre 2012 (cause riunite C‑182/11 e C‑183/11), la Terza Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha nuovamente affrontato la problematica dell’in house providing, soffermandosi in particolare sul caso dell’affidamento diretto di un servizio pubblico da parte di un ente locale ad una società pubblica, della quale detto ente detiene una partecipazione simbolica.
Come è noto, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, le condizioni perché un’amministrazione aggiudicatrice possa ricorrere legittimamente all’in house providing, e quindi ad un affidamento diretto prescindendo dall’espletamento di procedure concorsuali, sono: l’esercizio sull’entità affidataria di un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi e lo svolgimento da parte dell’affidataria della porzione più importante della propria attività con l’amministrazione o le amministrazioni aggiudicatrici che la controllano.
Risulta dalla lettura della decisione della Corte di Giustizia che due comuni lombardi hanno acquisito un’azione ciascuno di una società pubblica operante nel settore della gestione dei rifiuti urbani e partecipata per la quasi totalità ad altro comune.
Parallelamente, i due nuovi comuni azionisti hanno proceduto, insieme con altri comuni interessati, alla sottoscrizione di un patto parasociale, il quale prevedeva il loro diritto di essere consultati, di nominare un componente del collegio sindacale e di designare, in accordo con gli altri comuni partecipanti al patto di sindacato, un consigliere di amministrazione.
In tale contesto, i due comuni suddetti hanno ritenuto che esistessero i presupposti per l’affidamento in house del servizio di interesse pubblico in questione, dal momento che la società era controllata congiuntamente da vari enti locali.
Di diverso avviso un operatore nel settore della gestione dei rifiuti urbani, il quale ha contestato la sussistenza dei presupposti per procedere all’affidamento diretto ed ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Nell’ambito di tale procedimento il Consiglio di Stato, chiamato ad esprimere il proprio parere, ha dubitato che, nel caso di specie, l’acquisizione di una sola azione e la sottoscrizione di un patto parasociale dai contenuti sopra riportati potessero dar luogo ad un controllo congiunto effettivo sulla società in questione e, conseguentemente, potessero soddisfare il criterio del controllo analogo.
Di qui la decisione di sottoporre alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: «Se il principio di irrilevanza della situazione del singolo ente pubblico partecipante alla società strumentale debba applicarsi anche nel caso in cui, come nella fattispecie, uno dei Comuni associati possegga una sola azione della società strumentale ed i patti parasociali intercorsi fra enti pubblici non siano idonei a dare alcun controllo effettivo della società al Comune partecipante, sicché la partecipazione societaria possa considerarsi solo la veste formale di un contratto di prestazione di servizi».
Nel procedimento così instaurato avanti alla Corte di Giustizia l’Avvocato Generale ha rassegnato le seguenti conclusioni: «Ai fini dell’eccezione in house, è in linea di principio irrilevante che la posizione di un ente pubblico nel capitale della società strumentale cui si intende affidare un servizio sia minoritaria o maggioritaria. Per contro, non può parlarsi di un “principio di irrilevanza” della posizione di detto ente pubblico nel controllo effettivo della società strumentale. In particolare, il ricorso all’eccezione in house non è possibile in una fattispecie in cui, da un lato, ciascuno degli enti affidanti in questione sia titolare di un’unica azione della società strumentale e, dall’altro, i patti parasociali intercorsi fra enti pubblici non conferiscano al Comune partecipante un controllo apprezzabile e proporzionato sulla società strumentale, circostanze queste che devono essere definitivamente acclarate dal giudice nazionale».
Nella decisione del 29 novembre 2012, la Terza Sezione della Corte di Giustizia ha osservato che non vi è dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un’entità comune ai fini dell’adempimento di un servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; tuttavia, il controllo esercitato su quest’ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale del soggetto in questione e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto.
Ne consegue, per la Corte comunitaria, che spetta al giudice del rinvio verificare se la sottoscrizione di un patto parasociale, che conferisce ad alcuni comuni il diritto di essere consultati, di nominare un componente del collegio sindacale e di designare un consigliere di amministrazione in accordo con gli altri enti interessati dal patto suddetto, sia idonea a consentire a tali comuni di contribuire effettivamente al controllo della società in house.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, la Corte di Giustizia ha risposto alla questione sollevata dal Consiglio di Stato affermando il seguente principio: «Quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta».