I singoli ordini di investimento sono validi e non richiedono la forma scritta, che è richiesta dall’art. 23 del t.u.f. solo per il contratto-quadro che disciplina lo svolgimento successivo del rapporto.
Decisione: Sentenza n. 2816/2016 Corte di Cassazione Civile – Sezione I
Il caso.
Una cliente della banca, che aveva acquistato bonds argentini, si era rivolta al Tribunale che aveva dichiarato inammissibile la domanda; aveva quindi proposto successivo appello verso la sentenza del Tribunale, che però è stato respinto.
L’investitrice propone ricorso in Cassazione affidato a ben 12 motivi, ma nessuno viene accolto dalla Suprema Corte.
La decisione.
La Cassazione, dopo aver ripercorso l’iter nei due gradi del giudizio di merito, affronta i 12 motivi, alcuni dei quali riguardanti questioni procedurali: oltre i poteri di rappresentanza in giudizio della persona fisica responsabile dell’ufficio legale della banca ante operazione di fusione avvenuta successivamente ai fatti oggetto di decisione, anche la domanda di nullità del contratto-quadro che era stata sollevata tardivamente con memoria di replica, «quando ormai entrambe le parti avevano prodotto in giudizio il contratto stesso, affermandone per sovrappiù la regolare esecuzione».
Relativamente al terzo motivo di ricorso riguardante la necessità di forma scritta, la Cassazione così si esprime: «Questa Corte ha ormai chiarito che la disposizione dell’art. 23 t.u.f., secondo cui i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento debbono essere redatti per iscritto a pena di nullità del contratto, deducibile solo dal cliente, attiene al contratto-quadro, che disciplina lo svolgimento successivo del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, e non ai singoli ordini di investimento o disinvestimento che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti di forma (Cass. 19 ottobre 2012, n. 18039; 13 gennaio 2012, n. 384; 22 dicembre 2011, n. 28432)».
L’investitrice aveva eccepito anche la asserita violazione di forma scritta convenzionale degli ordini, ma la Suprema Corte ritiene che la censura non possa trovare accoglimento perché nuova: «La censura di violazione dell’art. 1352 c.c., per violazione di una forma scritta convenzionale degli ordini, infine, è nuova, di essa non facendo parola la sentenza impugnata, né avendo la ricorrente dedotto il luogo ed il tempo della precedente deduzione, in modo che questa Corte possa al riguardo apprezzare la censura proposta alla decisione impugnata».
La ricorrente aveva anche lamentato che l’ordine di acquisto era stato impartito verbalmente e non da lei, ma la Cassazione ha ritenuto che l’investitrice lo avesse ratificato con il proprio comportamento successivo: «La corte del merito ha accertato che l’ordine verbale, impartito presumibilmente dal padre dell’attrice, è stato da essa “ratificato” con il proprio comportamento successivo, avendo 1a stessa incassato le cedole, ricevuto gli interessi ed omesso di contestare gli estratti conto; in ogni caso, la banca ha provato di avere ricevuto ordine di acquisto telefonico mediante l’apposito modello sottoscritto dall’operatore e di avere annotato l’operazione sul conto corrente della odierna ricorrente.».
Tra l’altro, la ricorrente rilevava che nella sentenza impugnata il riferimento al padre della stessa non corrispondesse a come si svolsero effettivamente i fatti: la Cassazione, su questo punto specifico, liquida la questione ritenendola inammissibile in questa sede: «costituisce, semmai, un errore revocatorio».
In merito al lamentato inadempimento della banca, la Corte chiarisce poi che «La sentenza impugnata – dopo avere censurato il tribunale, laddove aveva ritenuto automaticamente rinunciato dalla cliente il diritto a far valere gli inadempimenti della banca, e dopo, dunque, avere riesaminato i fatti – ha ritenuto positivamente provato l’adempimento della banca agli obblighi di informare il cliente (previsti dagli art. 21, 28, 94 d.lgs. n. 58 del 1998), di non procedere ad operazioni inadeguate (art. 29 Reg. Consob n. 11522 del 1998) e di non agire in conflitto di interessi (art. 27-29 e 32 del regolamento)».
La Cassazione precisa anche che il contenuto degli obblighi informativi varia in relazione al destinatario: «Né la corte del merito ha affatto reputato l’odierna ricorrente un’operatrice qualificata (nel significato tecnico-giuridico di cui all’art. 31 Reg. Consob n. 11522 del 1998), essendosi limitata ad affermare che essa era abitualmente dedita ad operazioni speculative. Va, al riguardo, ribadito che il contenuto degli obblighi informativi si determina in relazione al loro destinatario, mentre l’investitore ha l’onere di allegare specificamente quali siano gli obblighi rimasti inadempiuti nei suoi confronti, ovvero le specifiche circostanze in cui gli inadempimenti dell’intermediario si sono concretizzate, tali che l’avrebbero indotto, ad esempio, a non acquistare i titoli (fra le altre, cfr. Cass. 25 settembre 2014, n. 20178; 24 maggio 2012, n. 8237)».
E precisa anche la ripartizione dell’onere della prova: «Nel giudizio per risarcimento dei danni promosso dal cliente, grava sull’intermediario l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta (art. 23, ultimo comma, t.u.f.); ma a carico dell’investitore il quale abbia agito in giudizio resta pur sempre l’onere sia di allegare l’inadempimento delle obbligazioni disciplinate dal t.u.f. e dalla normativa regolamentare, sia di provare il danno ed il nesso di causalità che a quell’inadempimento lo lega, mentre compete all’intermediario provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico ed allegate come inadempiute e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773)».
Per la Corte, la ricorrente era un’investitrice abituale di una certa esperienza: «La sentenza impugnata ha accertato il profilo dell’investitrice, da lunghi anni cliente della banca, negli anni effettuando investimenti ad “elevato rendimento, cedole a breve, facile negoziabilità”, tanto da essersi resa acquirente di valori mobiliari esteri ed italiani con rendimento di gran lunga superiore ai titoli di Stato, con conseguente dimostrazione di elevata propensione al rischio, e, dunque, palesandosi un’investitrice abituale di una certa esperienza, in particolare allorché aveva acquistato i titoli argentini, che esprimevano nel 1999 rendimento del 6,61%, ed all’epoca valutati ad un rating medio; in definitiva, essa aveva acquistato i titoli, adeguati al suo profilo, con la piena consapevolezza del rischio ivi insito».
Da ultimo, su questi aspetti, la Cassazione ricorda che gli apprezzamenti di merito esulano dal giudizio avanti alla Corte di Cassazione: «Pur essendo demandato a questa Corte il giudizio d’integrazione della fattispecie cd. elastica con riguardo ai parametri che ne costituiscono la specificazione, in quanto essa si caratterizza per il fatto che il precetto si completa con riferimento alla realtà sociale ed economica (cfr., fra le altre, Cass. 10 novembre 2015, n. 22950), il profilo della cd. adeguatezza dell’operazione d’investimento allo specifico cliente é oggetto di apprezzamento di merito della corte territoriale, non ripetibile in sede di legittimità».
Nello specifico, sugli obblighi d’informazione successiva agli acquisti, la Cassazione si rimette agli accertamenti della corte di merito: «La corte del merito ha escluso che la banca abbia violato gli obblighi d’informazione successiva agli acquisti, perché l’investitrice, mediante gli estratti conto, era in grado di verificare il rendimento dei titoli e valutare se ricollocarli sul mercato con la relativa perdita che ne sarebbe seguita, mentre il default del dicembre 2001 non è stato preceduto da notizie di stampa o altro, e la banca aveva poi prestato assistenza per aderire alla offerta pubblica. Il vizio di violazione di legge denunziato non sussiste, pertanto, avendo la corte del merito, nel proprio giudizio qui non ripetibile, ravvisato da parte della banca l’adempimento anche agli obblighi successivi all’acquisto».
Da ultimo, la Suprema corte affronta i motivi di ricorso afferenti al conflitto di interessi della banca e alle attività di sollecitazione all’investimento con obbligo di prospetto.
Sul punto, la Cassazione così afferma: «La corte di merito ha accertato che non sussiste il conflitto di interessi, avendo la banca acquistato i titoli presso terzi ad essa estranei. La commissione applicata rappresenta il compenso lecito della negoziazione in contropartita diretta, ossia uno dei servizi ammessi per l’intermediario. Ha aggiunto che non si applica alla specie l’art. 91 d.lgs. n. 58 del 1998, perché non è provato che la banca abbia svolto attività di sollecitazione all’investimento con obbligo di prospetto. Dunque, essa si è posta in coerenza con il principio secondo cui le operazioni in contropartita diretta, cioè di acquisto delle obbligazioni (anche in mancanza di un mandato del cliente) e successiva rivendita a quest’ultimo, non generano di per sé un conflitto di interessi, già enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che la negoziazione in questione costituisca uno dei servizi di investimento al cui esercizio l’intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nell’art. 1 t.u.f., essendo essa una delle modalità con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente, con la conseguenza che l’esecuzione dell’ordine in conto proprio non comporta, di per sé sola, l’annullabilità dell’atto ai sensi degli art. 1394-1395 c.c. (Cass. 10 aprile 2014, n. 8462; 19 ottobre 2012, n. 18039; 22 dicembre 2011, n. 28432). Quanto all’assunto secondo cui, in sostanza, la banca avrebbe realizzato una sollecitazione all’investimento, con conseguente obbligo di pubblicazione di un prospetto informativo, correttamente la corte a territoriale ha escluso l’esistenza di tale obbligo, in quanto previsto dagli art. 94 t.u.f. e 29 del regolamento Consob n. 11971 del 1999 solo per l’ipotesi di sollecitazione all’investimento, diversa da quella, in esame, di negoziazione su base individuale».
La Corte ha quindi rigettato integralmente il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite, e al pagamento del contributo unificato in misura doppia.
Osservazioni.
Malgrado i ben 12 motivi di ricorso, la Cassazione non ha accolto le lagnanze dell’investitrice.
Al di là degli aspetti relativi alle questioni procedurali, che anche nella questione sottoposta al vaglio della Magistratura hanno avuto il loro peso, la pronuncia della Cassazione affronta i numerosi motivi di ricorso e chiarisce gli aspetti di legittimità sui quali è ravvisabile la sua competenza, rimandando per il resto alle valutazioni e agli accertamenti già effettuati dalle corti territoriali.
In estrema sintesi, le doglianze della investitrice ricorrente non hanno trovato accoglimento fondamentalmente perché la Cassazione ha ritenuto, sulla base dei fatti accertati dalle corti di merito, che la ricorrente aveva dimostrato un profilo con un’alta propensione al rischio e la piena consapevolezza del rischio insito negli strumenti finanziari acquistati, e un comportamento che poteva ritenersi di “ratifica” per quanto riguarda le operazioni asseritamente effettuate dal padre: aveva incassato le cedole, ricevuto gli interessi e gli estratti conto (che non risultavano contestati), e che consentivano di verificare l’andamento dei titoli e di cederli prima del default.
Disposizioni rilevanti.
Codice Civile
Art. 1394 – Conflitto d’interessi
Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.
Art. 1395 – Contratto con se stesso
E’ annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificatamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi.
L’impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato.
DECRETO LEGISLATIVO 24 febbraio 1998, n. 58
Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria
Art. 23 – Contratti
1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, escluso il servizio di cui all’articolo 1, comma 5, lettera f), e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. La CONSOB, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni . . . o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.
2. E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. In tal casi nulla è dovuto.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.
4. Le disposizioni del titolo VI, capo I, del T.U. bancario non si applicano ai servizi e attività di investimento . . . , al collocamento di prodotti finanziari nonché alle operazioni e ai servizi che siano componenti di prodotti finanziari assoggettati alla disciplina dell’articolo 25-bis ovvero della parte IV, titolo II, capo I. In ogni caso, alle operazioni di credito al consumo si applicano le pertinenti disposizioni del titolo VI del T.U. bancario.
5. Nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell’articolo 18, comma 5, lettera a), non si applica l’articolo 1933 del codice civile.
6. Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.