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Abbiamo bisogno di uno Stato-bambinaia?

di Stefano Nespor. Si intensificano in molti paesi occidentali le iniziative che tendono, con divieti e obblighi, a limitare libere scelte individuali: si va dal diffusissimo divieto di consumare droghe di qualsiasi tipo (tranne l’alcool, che gode tuttora di un’ampia libertà d’uso, salvo limitazioni alla vendita ai minorenni) all’obbligo di indossare il casco in moto o le cinture di sicurezza in auto, alle limitazioni all’uso del tabacco, a proposte di contenere il consumo di bibite gasate o di cibi con troppo contenuto di grasso nelle scuole per combattere l’obesità: è di pochi mesi fa la proposta del Sindaco di New York Bloomberg di vietare la distribuzione di bibite gasate nei luoghi pubblici in contenitori più larghi di un semplice bicchiere (con il sostegno della Commissione sanitaria municipale e con la scontata opposizione dell’Associazione dei produttori di bevande gasate), attirandosi l’ironico attributo di Sindaco-bambinaia. Una proposta analoga è proprio in questi giorni oggetto di dibattito sui quotidiani inglesi.
A coloro che si oppongono a questo intervento dello Stato nella sfera della libertà individuali è facile opporre che le giustificazioni non sono solo di tipo paternalistico – la tutela della vita e della salute dell’individuo anche a costo di limitare le sue scelte – ma affondano in precise ragioni di sanità pubblica e di bilancio.
Tutte queste iniziative di intervento pubblico, infatti, hanno un dato in comune: si propongono di ridurre gli incidenti o le patologie o il degrado fisico dell’individuo, in modo da contenere la spesa della sanità pubblica, in modo da indirizzare le risorse pubbliche verso coloro che non per propria scelta si trovano a dover essere assistiti o curati.
Proprio sotto questo profilo restano comunque aperti molti problemi di carattere etico. L’esempio più scontato è: nella lista di coloro che sono in attesa di un trapianto di fegato, chi si sia volontariamente messo in condizioni di riceverlo per abuso di sostanze alcooliche va trattato come gli altri o va posto in fondo alla graduatoria?
La giustificazione basata sull’interesse pubblico vale da sola ad annullare le proteste di chi si sente leso nella propria sfera di libertà e potrebbe porre fine a questa discussione.
Tuttavia, negli ultimi anni si stanno profilando tra i giuristi, psicologi, economisti e esperti di bioetica posizioni che affermano che, a prescindere da ogni valutazione di carattere pubblico, lo Stato-bambinaia sia perfettamente compatibile con l’idea di uno Stato liberale che tutela le libertà individuali.
Così, molti studi conducono ad affermare che non sia poi così vero il presupposto secondo cui l’individuo è perfettamente in grado di compiere da solo tutte le scelte che attengono alla sua vita e ai modi in cui vuole condurla (ovviamente, senza ledere diritti di altri).
Per esempio, è stato dimostrato che, nell’esercitare le proprie scelte individuali, vi è una tendenza a sopravvalutare benefici immediati e a sottovalutare benefici futuri. Molti poi tendono, in nome della loro libertà di scelta, a rimandare piccoli costi immediati che porterebbero consistenti benefici nel medio o lungo periodo. Un altro elemento che altera la libertà di giudizio è la difficoltà di valutare correttamente le probabilità che un determinato evento si verifichi: la percezione del rischio è infatti estremamente soggettiva, e dipende dall’educazione, dalla cultura e, soprattutto, dall’ambiente circostante. Infine, la maggior parte delle persone è ingiustificatamente ottimista con riguardo alle proprie capacità fisiche o psichiche.
In definitiva, la capacità dell’individuo di scegliere il meglio per sé stesso è un’illusione: le scelte sono spesso il frutto di valutazioni occasionali, approssimative, errate e soprattutto prive di fondamento razionale.
Se si tiene conto di questi elementi, l’intervento pubblico per regolare i comportamenti dei cittadini non appare più così contrario ai principi di uno stato liberale. È quello che si propone di dimostrare un recente libro Against Autonomy: Justifying Coercive Paternalism. L’autrice, Sarah Conly è una filosofa che insegna al Bowdoin College (Cambridge University Press, 2012).E’ un libro utile perché permette di sfatare una lunga serie di luoghi comuni sulla libertà di scelta offrendo una ampia rassegna degli studi e delle ricerche realizzate sull’argomento. Tuttavia, fa però pendere la bilancia troppo dalla parte del diritto dello Stato di introdurre limitazioni di vario tipo sulle scelte individuali, ogniqualvolta ritenga che esse siano fondate su equivoci o valutazioni errate. L’idea della Conly è quella di una bambinaia un po’ troppo autoritaria: entro certi limiti, lasciare libertà di sbagliare può essere utile.

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