Le disposizioni normative, art. 47-ter, comma 01, della legge n. 354 del 1975 e art. 319, c.p., sono destinate ad operare in settori autonomi dell’ordinamento, ancorché funzionalmente collegati, e perseguono finalità diverse, il che giustifica una disciplina differenziata. E anche volendo riconoscere l’esistenza di un difetto di coordinamento delle due norme, che le renderebbe non sintoniche tra loro, è solo al legislatore che spetta di ricondurre a unitarietà il sistema e di eliminare l’eventuale disarmonia con esclusione di interventi in funzione correttiva da parte dell’interprete. Nella specie, l’ordine di carcerazione di Roberto FORMIGONI per l’espiazione della pena della reclusione di anni 5 e mesi 10 di reclusione per il reato di cui all’art. 319 c.p. è stato legittimamente emesso ed eseguito, non sussiste, quindi, alcuna questione ex art. 670 c.p.p. idonea a giustificare la singolare trasmissione dell’istanza al giudice dell’esecuzione. Non è, di riflesso, rilevante la considerazione che il reato di cui all’art. 319 c.p. sia stato incluso, in epoca successiva alla data del commesso reato, nel catalogo dei reati ostativi di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, inclusione che incide in senso sfavorevole al condannato sia sulla sospendibilità dell’ordine di esecuzione (art. 656, comma 9, c.p.p.), sia sulla concessione della detenzione domiciliare (art. 47-ter ordinamento penitenziario). Priva di rilevanza è, pertanto, ogni questione di legittimità che muova dal presupposto che non può trovare applicazione retroattiva una legge che modifichi in senso sfavorevole al reo la disciplina di istituti che in vario modo incidano sul trattamento penale, tra i quali le misure alternative alla detenzione, ciò in aperto contrasto con il consolidato orientamento della Corte di Cassazione che esclude la riconducibilità di dette misure all’art. 25, secondo comma, Cost. e all’art. 2, primo comma, c.p., argomentando in base alla natura processuale della disciplina di dette misure, che le sottrarrebbe al divieto di irretroattività (Cass. S.U., 30 maggio 2006, n. 24561, Aloi, Rv. 233976). Lo stesso è a dirsi per la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 «nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli ostativi alla fruizione di benefici penitenziari ex art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario senza prevedere una disciplina intertemporale mitigatrice degli effetti dell’immediata applicabilità della novella» che la Corte di Cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata, ma irrilevante nella specie la questione (Cass. VI, 14 marzo 2019, n. 12541).
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
SEZIONE IV PENALE
composta dai magistrati:
dott. Renato BRICCHETTI – presidente
dott. Marina CAROSELLI – consigliere
dott. Antonella LAI – consigliere
ha pronunciato la seguente
O R D I N A N Z A
R i t e n u t o c h e
il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano ha emesso in data 22 febbraio 2019 ordine di carcerazione di Roberto FORMIGONI per l’espiazione della pena della reclusione di anni 5 e mesi 10 di reclusione per il reato di cui all’art. 319 c.p.;
i difensori di Roberto FORMIGONI hanno in pari data presentato al Procuratore Generale istanza di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione per consentire al proprio assistito di presentare al Tribunale di sorveglianza richiesta di detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter, comma 01, della legge n. 354 del 1975 (di seguito, ordinamento penitenziario);
il Procuratore generale ha respinto l’istanza avendo già emesso l’ordine di carcerazione, ma ha trasmesso la stessa a questa Corte, quale giudice dell’esecuzione, qualificandola come questione inerente il titolo esecutivo ex art. 670, c.p.p. (sul presupposto che « ove, pur essendovi tenuto, il pubblico ministero non provveda a sospendere … l’esecuzione dell’ordine di carcerazione …, il richiedente può far valere eventuali doglianze mediante incidente di esecuzione, trattandosi di questione che investe il titolo esecutivo, sia pure limitatamente a un’ipotesi di transitoria inefficacia. E il giudice dell’esecuzione resta investito di un controllo limitato alla verifica del corretto esercizio del potere attribuito al pubblico ministero sotto il duplice profilo dell’osservanza della sommaria valutazione di ammissibilità dell’istanza e dell’esattezza e congruenza delle ragioni poste a base del suo rigetto »: Cass. I, 11 febbraio 1998, n. 852, Valerio, Rv. 210245; Cass. S.U., 27 giugno 2001, n. 29025, p.m. in proc. Iacono, Rv. 219227-01);
i difensori hanno presentato memoria, chiedendo dichiararsi la temporanea inefficacia dell’ordine di carcerazione per consentire la presentazione, entro 30 giorni, di richiesta di concessione della detenzione domiciliare;
all’udienza del 27 marzo 2019, sentiti il Procuratore generale e i difensori, la Corte si è riservata la decisione
c o n s i d e r a t o c h e
la non emissione da parte del Procuratore generale del decreto di sospensione dell’esecuzione era giustificata dall’assorbente rilievo che l’art. 656, comma 5, c.p.p. è dettato per pene detentive da eseguirsi che non superino, anche se residuo di maggior pena, 4 anni (previsione integrata da Corte cost. 2 marzo 2018, n. 41);
la segnalata discrasia tra la mancanza di un limite di pena per l’accesso dell’ultrasettantenne ex art. 47-ter, comma 01, dell’ordinamento penitenziario al regime della detenzione domiciliare e il termine fissato dall’art. 656, comma 5, c.p.p. come condizione legittimante l’intervento sospensivo del pubblico ministero, si risolve, in definitiva, in una critica al legislatore, senza che si possano, quindi, ricollegare ad essa effetti eversivi di una corretta esegesi della norma del codice, la quale riflette una precisa scelta del legislatore stesso, che ha voluto stabilire una soglia sanzionatoria oltre la quale la sospensione dell’esecuzione non è concedibile, ancorché la suddetta misura alternativa si renda astrattamente applicabile. Le due menzionate disposizioni normative sono destinate ad operare in settori autonomi dell’ordinamento, ancorché funzionalmente collegati, e perseguono finalità diverse, il che giustifica una disciplina differenziata. E anche volendo riconoscere l’esistenza di un difetto di coordinamento delle due norme, che le renderebbe non sintoniche tra loro, è solo al legislatore che spetta di ricondurre a unitarietà il sistema e di eliminare l’eventuale disarmonia con esclusione di interventi in funzione correttiva da parte dell’interprete;
l’ordine di carcerazione è stato, pertanto, legittimamente emesso ed eseguito;
non sussiste, quindi, alcuna questione ex art. 670 c.p.p. idonea a giustificare la singolare trasmissione dell’istanza al giudice dell’esecuzione;
non è, di riflesso, rilevante in questa sede la considerazione che il reato di cui all’art. 319 c.p. sia stato incluso, in epoca successiva alla data del commesso reato, nel catalogo dei reati ostativi di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, inclusione che incide in senso sfavorevole al condannato sia sulla sospendibilità dell’ordine di esecuzione (art. 656, comma 9, c.p.p.), sia sulla concessione della detenzione domiciliare (art. 47-ter ordinamento penitenziario);
priva di rilevanza è, pertanto, ogni questione di legittimità che muova dal presupposto che non può trovare applicazione retroattiva una legge che modifichi in senso sfavorevole al reo la disciplina di istituti che in vario modo incidano sul trattamento penale, tra i quali le misure alternative alla detenzione, ciò in aperto contrasto con il consolidato orientamento della Corte di Cassazione che esclude la riconducibilità di dette misure all’art. 25, secondo comma, Cost. e all’art. 2, primo comma, c.p., argomentando in base alla natura processuale della disciplina di dette misure, che le sottrarrebbe al divieto di irretroattività (Cass. S.U., 30 maggio 2006, n. 24561, Aloi, Rv. 233976);
lo stesso è a dirsi per la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 «nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli ostativi alla fruizione di benefici penitenziari ex art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario senza prevedere una disciplina intertemporale mitigatrice degli effetti dell’immediata applicabilità della novella» che la Corte di Cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata, ma irrilevante nella specie (Cass. VI, 14 marzo 2019, n. 12541);
dette questioni potranno, tuttavia, essere prospettate al Tribunale di sorveglianza qualora sia avanzata richiesta di concessione della detenzione domiciliare;
P.Q.M.
la Corte
rigetta l’istanza.
Si comunichi.
Così deciso in Milano il 27 marzo 2019