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In tema di mutui ipotecari e pratiche commerciali sleali delle imprese, l’articolo 11 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che vieta al giudice del procedimento di esecuzione ipotecaria di controllare, d’ufficio o su istanza di parte, la validità del titolo esecutivo sotto il profilo dell’esistenza di pratiche commerciali sleali e che, in ogni caso, vieta al giudice competente a deliberare nel merito sull’esistenza di tali pratiche di adottare provvedimenti provvisori, come la sospensione del procedimento di esecuzione ipotecaria.

Inoltre, l’articolo 11 della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che non conferisce carattere giuridicamente vincolante a un codice di condotta come quelli indicati all’articolo 10 di tale direttiva.

 

CORTE DI GIUSTIZIA UE Sez. 1^, 19 settembre 2018  Sentenza C‑109/17

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

19 settembre 2018

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – Contratto di mutuo ipotecario – Procedimento di esecuzione ipotecaria – Nuova valutazione del bene immobile prima della vendita all’asta – Validità del titolo esecutivo – Articolo 11 – Mezzi adeguati ed efficaci contro le pratiche commerciali sleali – Divieto posto al giudice nazionale di valutare l’esistenza di pratiche commerciali sleali – Impossibilità di sospendere il procedimento di esecuzione ipotecaria – Articoli 2 e 10 – Codice di buona condotta – Assenza di carattere giuridicamente vincolante di tale codice»

Nella causa C‑109/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Juzgado de Primera Instancia n. 5 de Cartagena (tribunale di primo grado n. 5 di Cartagena, Spagna), con decisione del 20 febbraio 2017, pervenuta in cancelleria il 3 marzo 2017, nel procedimento

Bankia SA

contro

Juan Carlos Marí Merino,

Juan Pérez Gavilán,

María de la Concepción Marí Merino,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da J.L. da Cruz Vilaça, presidente di sezione, A. Tizzano (relatore), vicepresidente della Corte, E. Levits, A. Borg Barthet e M. Berger, giudici

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 febbraio 2018,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Bankia SA, da J.M. Rodríguez Cárcamo e A.M. Rodríguez Conde, abogados;

– per il governo spagnolo, da M.J. García-Valdecasas Dorrego, in qualità di agente;

– per l’Irlanda, da A. Joyce, M. Browne e J. Quaney, in qualità di agenti, assistiti da M. Gray, BL;

– per la Commissione europea, da J. Rius, N. Ruiz García e A. Cleenewerck de Crayencour, in qualità di agenti;

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 21 marzo 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 11 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2005, L 149, pag. 22, e rettifica in GU 2009, L 253, pag. 18).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Bankia SA, da un lato, e i sigg. Juan Carlos Marí Merino e Juan Pérez Gavilán nonché la sig.ra María de la Concepción Marí Merino, dall’altro, in merito a un procedimento di esecuzione ipotecaria.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Direttiva 93/13/CEE

3 L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29, e rettifica in GU 2015, L 137, pag. 13), così dispone:

«Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende».

4 L’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

5 L’articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva è formulato come segue:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

Direttiva 2005/29

6 I considerando 9, 20 e 22 della direttiva 2005/29 così dispongono:

«(9) La presente direttiva non pregiudica i ricorsi individuali proposti da soggetti che sono stati lesi da una pratica commerciale sleale. Non pregiudica neppure l’applicazione delle disposizioni comunitarie e nazionali relative al diritto contrattuale (…)

(…)

(20) È opportuno prevedere un ruolo per i codici di condotta che consenta ai professionisti di applicare in modo efficace i principi della presente direttiva in specifici settori economici. Nei settori in cui vi siano obblighi tassativi specifici che disciplinano il comportamento dei professionisti, è opportuno che questi forniscano altresì prove riguardo agli obblighi di diligenza professionale in tale settore. Il controllo esercitato dai titolari dei codici a livello nazionale o comunitario per l’eliminazione delle pratiche commerciali sleali può evitare la necessità di esperire azioni giudiziarie o amministrative e dovrebbe pertanto essere incoraggiato. Le organizzazioni dei consumatori potrebbero essere informate e coinvolte nella formulazione di codici di condotta, al fine di conseguire un elevato livello di protezione dei consumatori.

(…)

(22) È necessario che gli Stati membri determinino le sanzioni da irrogare per le violazioni delle disposizioni della presente direttiva e ne garantiscano l’applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

7 L’articolo 2 di tale direttiva dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

d) “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(…)

f) “codice di condotta”: un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici;

(…)».

8 L’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto».

9 L’articolo 5, paragrafi 1 e 2, della stessa direttiva dispone quanto segue:

«1. Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2. Una pratica commerciale è sleale se:

a) è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b) falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori».

10 L’articolo 10 della direttiva 2005/29 così prevede:

«La presente direttiva non esclude il controllo, che gli Stati membri possono incoraggiare, delle pratiche commerciali sleali esercitato dai responsabili dei codici né esclude che le persone o le organizzazioni di cui all’articolo 11 possano ricorrere a tali organismi qualora sia previsto un procedimento dinanzi ad essi, oltre a quelli giudiziari o amministrativi di cui al medesimo articolo.

Il ricorso a tali organismi di controllo non è mai considerato equivalente alla rinuncia agli strumenti di ricorso giudiziario o amministrativo di cui all’articolo 11».

11 Ai sensi dell’articolo 11 di tale direttiva:

«1. Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell’interesse dei consumatori.

Tali mezzi includono disposizioni giuridiche ai sensi delle quali le persone o le organizzazioni che secondo la legislazione nazionale hanno un legittimo interesse a contrastare le pratiche commerciali sleali, inclusi i concorrenti, possono:

a) promuovere un’azione giudiziaria contro tali pratiche commerciali sleali,

e/o

b) sottoporre tali pratiche commerciali sleali al giudizio di un’autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere un’adeguata azione giudiziaria.

Spetta a ciascuno Stato membro decidere a quali di questi mezzi si debba ricorrere e se sia opportuno che l’organo giurisdizionale o amministrativo possa esigere che si ricorra in via preliminare ad altri mezzi previsti per risolvere le controversie, compresi quelli di cui all’articolo 10. Il ricorso a tali mezzi è indipendente dal fatto che i consumatori interessati si trovino nel territorio dello Stato membro in cui è stabilito il professionista o in un altro Stato membro.

Spetta a ciascuno Stato membro decidere:

a) se le azioni giudiziarie possano essere promosse singolarmente o congiuntamente contro più professionisti dello stesso settore economico,

e

b) se possano essere promosse nei confronti del responsabile del codice allorché il codice in questione incoraggia a non rispettare i requisiti di legge.

2. Nel contesto delle disposizioni giuridiche di cui al paragrafo 1, gli Stati membri conferiscono all’organo giurisdizionale o amministrativo il potere, qualora ritengano necessari detti provvedimenti tenuto conto di tutti gli interessi in causa e, in particolare, dell’interesse generale:

a) di far cessare le pratiche commerciali sleali o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per ingiungere la loro cessazione,

o

b) qualora la pratica commerciale sleale non sia stata ancora posta in essere ma sia imminente, di vietare tale pratica o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per vietarla,

anche in assenza di prove in merito alla perdita o al danno effettivamente subito, oppure in merito all’intenzionalità o alla negligenza da parte del professionista.

(…)».

12 L’articolo 13 di tale direttiva così recita:

«Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

Diritto spagnolo

Codice di procedura civile

13 L’articolo 695 della Ley de Enjuiciamiento Civil (codice di procedura civile) al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Nei procedimenti di cui al presente capo il debitore esecutato può presentare opposizione solo per i seguenti motivi:

1) estinzione della garanzia o dell’obbligazione coperta da garanzia (…),

2) errore nella determinazione dell’importo dovuto, quando il debito garantito è il saldo risultante dalla chiusura di un conto tra l’esecutante e l’esecutato (…),

3) in caso di esecuzione su beni mobili ipotecati o oggetto di pegno non possessorio, dalla previa esistenza, sul medesimo bene, di un altro pegno, ipoteca mobiliare o immobiliare, o sequestro iscritto precedentemente al debito all’origine del procedimento (…),

4) clausola contrattuale abusiva che costituisca il fondamento dell’esecuzione o che abbia determinato l’importo dovuto».

14 L’articolo 698, paragrafo 1, del codice di procedura civile così dispone:

«Qualunque altro reclamo che il debitore, il terzo possessore o altri soggetti interessati possano formulare e che non sia previsto agli articoli precedenti, compresi quelli riguardanti la nullità del titolo, la scadenza, la certezza, l’estinzione o l’entità del credito, viene deciso nel relativo procedimento, senza che ciò comporti la sospensione o la cessazione del procedimento giudiziario di esecuzione previsto nel presente capo».

Regio decreto legge 6/2012

15 L’articolo 1 del Real Decreto-ley 6/2012 de medidas urgentes de protección de deudores hipotecarios sin recursos (regio decreto legge 6/2012 in materia di misure urgenti di protezione dei debitori ipotecari privi di risorse), del 9 marzo 2012, precisa che esso mira a introdurre misure volte a facilitare la ristrutturazione del debito ipotecario dei debitori che incontrano difficoltà straordinarie nel provvedere al pagamento dello stesso, nonché meccanismi di flessibilizzazione delle procedure di esecuzione ipotecaria.

16 L’articolo 5 di tale regio decreto dispone come segue:

«1. L’adesione al codice di buone pratiche di cui al presente allegato degli istituti di credito o di ogni altro organismo che eserciti a titolo professionale delle attività di concessione di prestiti o mutui ipotecari è volontaria.

(…)

4. Le disposizioni del codice di buone pratiche diventano vincolanti per ogni istituto di credito che abbia aderito a tale codice una volta che il debitore dimostri di trovarsi al di sotto della soglia di esclusione.

(…)

9. Gli istituti che hanno aderito al codice di buone pratiche devono informare adeguatamente i propri clienti circa la possibilità di invocare le disposizioni del codice».

17 L’articolo 6 del suddetto regio decreto recita:

«1. Il rispetto del codice di buone pratiche da parte degli istituti che vi hanno aderito è supervisionato da una commissione di controllo creata a tale scopo.

(…)

4. La commissione di controllo riceve ed esamina i dati trasmessi dalla Banca di Spagna a norma dei paragrafi 5 e 6 e pubblica ogni sei mesi una relazione sul grado di conformità al codice di buone pratiche.

(…)

6. I reclami derivanti dal mancato rispetto del codice di buone pratiche da parte degli istituti di credito possono essere rivolti alla Banca di Spagna. Tali reclami sono trattati allo stesso modo degli altri reclami per i quali la Banca di Spagna è competente».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

18 Il 30 gennaio 2006, i sigg. Marí Merino e Gavilán nonché la sig.ra Marí Merino hanno stipulato con la Bankia un contratto di mutuo garantito da ipoteca per un capitale di EUR 166 000, rimborsabile in 25 anni. Tale contratto fissava a EUR 195 900 il valore «di base d’asta» dell’immobile ipotecato, vale a dire il valore di partenza del bene nel caso di un’eventuale vendita all’asta di quest’ultimo, secondo il diritto spagnolo.

19 Dopo un primo contratto di novazione del 29 gennaio 2009, il contratto è stato nuovamente novato con atto notarile del 18 ottobre 2013. Nell’ambito di tale seconda novazione, il valore di base d’asta dell’immobile in questione è stato ridotto a EUR 57 689 e il termine per il rimborso del capitale di EUR 102 750 ancora dovuto è stato esteso a 40 anni. Inoltre, la vendita stragiudiziale dell’immobile è stata approvata e il contratto precisava ormai che tale immobile era la dimora abituale dei sigg. Marí Merino e Gavilán nonché della sig.ra Marí Merino.

20 Poiché il contratto di mutuo garantito da ipoteca, così novato, costituiva titolo esecutivo, la Bankia ha avviato il procedimento di esecuzione ipotecaria. L’8 marzo 2016, i sigg. Marí Merino e Gavilán nonché la sig.ra Marí Merino hanno proposto opposizione contro tale procedimento rilevando che tale contratto conteneva clausole abusive. Infatti, da una parte, il valore di base d’asta sarebbe stato ridotto a loro danno, poiché l’estensione del termine per il rimborso era servito solo per incoraggiare i debitori ad accettare la novazione del suddetto contratto. Pertanto, la Bankia avrebbe agito in contrasto con le norme di diligenza professionale poiché essa avrebbe approfittato della ristrutturazione del debito per modificare il valore stimato dell’immobile in questione. Dall’altra parte, sussisterebbero le condizioni che permettono ai debitori di evitare l’esecuzione e di liberarsi del debito mediante la datio in solutum dell’alloggio, pur rimanendovi come conduttori, ai sensi del codice di buone pratiche bancarie, e quindi – poiché il codice è vincolante – la Bankia avrebbe dovuto accettare la datio in solutum proposta dai convenuti nel procedimento principale.

21 Il giudice del rinvio si chiede se la condotta della Bankia integri gli estremi delle pratiche commerciali sleali ai sensi della direttiva 2005/29.

22 A tal proposito, detto giudice sottolinea che, in virtù del diritto nazionale, l’opposizione al procedimento di esecuzione ipotecaria può essere fondata unicamente su uno dei motivi previsti tassativamente all’articolo 695 del codice di procedura civile. Orbene, se è vero che l’esistenza di una clausola abusiva nel contratto che costituisce titolo esecutivo è uno di tali motivi, non è questo il caso per l’esistenza di pratiche commerciali sleali che possono essere assoggettate a controllo soltanto mediante un ricorso distinto. Tuttavia, la proposizione di un tale ricorso non comporterebbe la sospensione del procedimento di esecuzione ipotecaria, poiché il giudice di merito non è competente a sospenderlo, conformemente all’articolo 698 del codice di procedura civile.

23 In tale contesto, il giudice del rinvio ritiene che, se il diritto dell’Unione gli consentisse di controllare il comportamento sleale del professionista nel corso del procedimento di esecuzione ipotecaria, così come la direttiva 93/13 gli consente nell’ambito delle clausole abusive, egli potrebbe valutare la validità della novazione del contratto di mutuo garantito da ipoteca effettuata il 18 ottobre 2013. Inoltre, se il codice di buone pratiche bancarie fosse vincolante per gli istituti di credito che lo hanno firmato, i convenuti nel procedimento principale potrebbero effettivamente esigere l’accettazione della datio in solutum, il che metterebbe fine sia all’esecuzione ipotecaria sia alla loro responsabilità personale.

24 È in tale contesto che lo Juzgado de Primera Instancia n. 5 de Cartagena (tribunale di primo grado n. 5 di Cartagena, Spagna) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che il suo articolo 11 osta a una normativa nazionale come quella vigente sull’esecuzione ipotecaria spagnola – articoli 695 e seguenti, in combinato disposto con l’articolo 552, paragrafo 1, entrambi del codice di procedura civile – in cui non è previsto il controllo, né d’ufficio né su istanza di parte, delle pratiche commerciali sleali, in quanto tale normativa rende difficile o impedisce il controllo giurisdizionale dei contratti e degli atti nei quali siano ravvisabili pratiche commerciali sleali.

2) Se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che il suo articolo 11 è contrario a una normativa nazionale, quale l’ordinamento spagnolo, che non garantisce l’effettivo rispetto del codice di condotta se il creditore che procede all’esecuzione decide di non applicarlo (combinato disposto degli articoli 5 e 6 e dell’articolo 15 del [regio decreto legge 6/2012]).

3) Se l’articolo 11 della direttiva 2005/29 debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa nazionale spagnola che non consente al consumatore, durante un procedimento di esecuzione ipotecaria, di richiedere il rispetto di un codice di condotta, in concreto, quanto alla datio in solutum e all’estinzione del debito – paragrafo 3 dell’allegato al [regio decreto legge 6/2012]».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

25 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 11 della direttiva 2005/29 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che vieta al giudice del procedimento di esecuzione ipotecaria di controllare, d’ufficio o su istanza di parte, la validità del titolo esecutivo sotto il profilo dell’esistenza di pratiche commerciali sleali e che, in ogni caso, vieta al giudice competente a deliberare nel merito sull’esistenza di tali pratiche di adottare provvedimenti provvisori, come la sospensione del procedimento di esecuzione ipotecaria.

26 Occorre anzitutto rilevare che, secondo la Bankia, la riduzione del valore stimato del bene ipotecato operata nel procedimento principale non può essere considerata come una «pratica commerciale», ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2005/29, dal momento che non sarebbe «direttamente connessa» alla promozione, vendita o fornitura di un bene o di un servizio al consumatore. In ogni caso, tale riduzione non sarebbe «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva. In tali circostanze, poiché la direttiva 2005/29 non sarebbe applicabile nel caso di specie, non occorrerebbe rispondere alla prima questione pregiudiziale.

27 A tale riguardo, è sufficiente constatare che solo qualora il giudice del rinvio potesse, o anche dovesse, verificare la validità del titolo esecutivo alla luce della direttiva 2005/29 – il che dipende appunto dalla risposta alla prima questione sollevata da detto giudice – quest’ultimo dovrebbe allora verificare se tale direttiva sia applicabile ai fatti di cui trattasi nel procedimento principale.

28 Di conseguenza, si deve rispondere alla prima questione pregiudiziale.

29 A tale riguardo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la direttiva 2005/29 mira al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante un’armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali (v., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország, C‑388/13, EU:C:2015:225, punto 32 e giurisprudenza citata).

30 È proprio allo scopo di conseguire tale livello elevato di tutela dei consumatori che tale direttiva stabilisce un divieto generale delle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico di questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Trento Sviluppo e Centrale Adriatica, C‑281/12, EU:C:2013:859, punti 31 e 32).

31 Tuttavia, discende altresì da costante giurisprudenza che tale direttiva si limita a prevedere, al suo articolo 5, paragrafo 1, che le pratiche commerciali sleali «sono vietate» e che pertanto essa lascia alla discrezionalità degli Stati membri la scelta delle misure nazionali destinate a combattere, ai sensi degli articoli 11 e 13 della direttiva medesima, tali pratiche, purché esse siano adeguate ed efficaci e le sanzioni in tal modo previste siano effettive, proporzionate e dissuasive (v., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország, C‑388/13, EU:C:2015:225, punti 56 e 57 e giurisprudenza citata).

32 Inoltre, ai sensi del considerando 9 della direttiva 2005/29, essa non pregiudica, in particolare, i ricorsi individuali proposti da soggetti che sono stati lesi da una pratica commerciale sleale e non pregiudica neppure l’applicazione delle disposizioni dell’Unione e nazionali relative al diritto contrattuale, comprese, come risulta espressamente dall’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva, le norme sulla validità, formazione o efficacia di un contratto.

33 Pertanto, un contratto che costituisce titolo esecutivo non può essere dichiarato invalido per il solo motivo che esso contenga clausole contrarie al divieto generale di pratiche commerciali sleali dettato dall’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva.

34 Ne consegue che l’effetto utile della direttiva 2005/29 non impone agli Stati membri di autorizzare il giudice del procedimento di esecuzione ipotecaria a controllare, che sia d’ufficio o su istanza di parte, la validità del titolo esecutivo sotto il profilo dell’esistenza di pratiche commerciali sleali.

35 In tale contesto, il giudice del rinvio, facendo riferimento, in particolare, alla sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164), si chiede altresì se l’articolo 11 di detta direttiva – il quale esige, in particolare, che le misure nazionali intese a combattere le pratiche commerciali sleali siano adeguate ed efficaci – osti a una normativa nazionale, come gli articoli 695 e 698 del codice di procedura civile, secondo cui non solo il consumatore non può opporsi al procedimento di esecuzione ipotecaria facendo valere l’esistenza di pratiche commerciali sleali alla base del titolo esecutivo, poiché il giudice dell’esecuzione non è abilitato a esercitare tale controllo, ma in più, a tal fine, egli è inoltre tenuto a proporre un ricorso di merito dinanzi a un altro giudice che non può sospendere il suddetto procedimento di esecuzione ipotecaria.

36 Orbene, contrariamente a quanto sostenuto, in particolare, dalla Commissione europea, la conclusione cui è giunta la Corte in tale sentenza, emessa nell’ambito della direttiva 93/13, non può essere estesa alla direttiva 2005/29, poiché, sebbene queste due direttive mirino a garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, esse tuttavia perseguono tale obiettivo con modalità diverse.

37 Infatti, la direttiva 93/13 prevede espressamente, all’articolo 6, paragrafo 1, che le clausole abusive non vincolano i consumatori.

38 Poiché tale disposizione imperativa tende a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, il giudice nazionale è tenuto a esaminare, anche d’ufficio, la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a porre un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punti 40 e 42 e giurisprudenza citata).

39 È alla luce di tale giurisprudenza che, al punto 59 della sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164), la Corte ha dichiarato che un regime processuale come quello risultante in sostanza dagli articoli 695 e 698 del codice di procedura civile, che prevede l’impossibilità per il giudice di merito – dinanzi al quale il consumatore ha presentato una domanda volta ad eccepire il carattere abusivo, alla luce della direttiva 93/13, di una clausola contrattuale che funge da fondamento del titolo esecutivo – di emanare provvedimenti provvisori atti a sospendere il procedimento di esecuzione ipotecaria o a bloccarlo, allorché la concessione di tali provvedimenti risulta necessaria per garantire la piena efficacia della sua decisione finale, è idoneo a compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva.

40 La situazione è diversa per quanto riguarda la direttiva 2005/29.

41 Infatti, com’è stato rilevato ai punti 32 e 33 della presente sentenza, tale direttiva si limita a vietare le pratiche commerciali sleali.

42 Inoltre, da una parte, l’articolo 11 della direttiva 2005/29 si limita ad imporre agli Stati membri di assicurare che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali; tali mezzi possono consistere in un’azione giudiziaria contro queste pratiche o in un ricorso amministrativo con la possibilità di un controllo giurisdizionale, ove tale azione e tale ricorso avrebbero per scopo di far cessare le pratiche suddette. Dall’altra parte, ai sensi dell’articolo 13 di tale direttiva, gli Stati membri devono prevedere un sistema adeguato di sanzioni nei confronti dei professionisti che ricorrono a pratiche commerciali sleali.

43 Ne consegue che, sulla sola base delle disposizioni della suddetta direttiva, una clausola contrattuale non può essere dichiarata nulla, quand’anche sia stata concordata tra le parti del contratto sulla base di una pratica commerciale sleale.

44 In tali circostanze, la concessione di provvedimenti provvisori – come la sospensione del procedimento di esecuzione ipotecaria da parte del giudice adito con un ricorso di merito riguardo all’esistenza di tali pratiche – non è richiesta dalla direttiva 2005/29 al fine di garantire la piena efficacia della decisione finale di tale giudice. Essa, infatti, non potrebbe, in ogni caso, comportare – unicamente sulla base di tale direttiva – conseguenze sulla validità del contratto in questione e, a fortiori, su quella del titolo esecutivo.

45 Per la stessa ragione, se è vero che non è conforme a quanto disposto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 una normativa nazionale che non preveda la possibilità di sospendere un procedimento di esecuzione ipotecaria in modo tale che, in tutte le ipotesi in cui l’esecuzione immobiliare sul bene ipotecato abbia avuto luogo prima che il giudice del merito pronunciasse la decisione con cui dichiara abusiva la clausola contrattuale che si trova all’origine dell’ipoteca e, di conseguenza, nullo il procedimento esecutivo, una tale decisione consentirebbe di garantire a detto consumatore soltanto una tutela a posteriori meramente risarcitoria (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 60), diverso è invece il caso per quanto concerne i requisiti dell’articolo 11 della direttiva 2005/29.

46 Infatti, poiché tale direttiva, com’è stato ricordato al punto 32 della presente sentenza, non pregiudica i ricorsi individuali proposti da soggetti lesi da una pratica commerciale sleale e nemmeno le norme dell’Unione e nazionali riguardanti il diritto contrattuale, una tutela risarcitoria può essere considerata come uno dei mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali richiesti da tale disposizione.

47 Di conseguenza, una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale non è tale da compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 2005/29.

48 Ciò chiarito, va anche rilevato che, allorché il giudice del procedimento di esecuzione ipotecaria procede al controllo della validità del titolo esecutivo alla luce della direttiva 93/13 – che sia d’ufficio o, come sembra essere il caso nella presente fattispecie, su istanza di parte – egli avrà la facoltà di valutare, nell’ambito di tale controllo, il carattere sleale di una pratica commerciale sulla base della quale tale titolo si è formato.

49 Infatti, sebbene l’accertamento del carattere sleale di una pratica commerciale non sia idoneo a dimostrare automaticamente e di per sé il carattere abusivo di una clausola contrattuale, esso rappresenta un elemento tra gli altri sul quale il giudice competente può basare la sua valutazione del carattere abusivo delle clausole di un contratto, valutazione che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, deve tenere conto di tutte le circostanze proprie al caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C‑453/10, EU:C:2012:144, punti 43 e 44).

50 Naturalmente, l’accertamento del carattere sleale di una pratica commerciale non ha diretta incidenza sulla validità del contratto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 46).

51 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 11 della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che vieta al giudice del procedimento di esecuzione ipotecaria di controllare, d’ufficio o su istanza di parte, la validità del titolo esecutivo sotto il profilo dell’esistenza di pratiche commerciali sleali e che, in ogni caso, vieta al giudice competente a deliberare nel merito sull’esistenza di tali pratiche di adottare provvedimenti provvisori, come la sospensione del procedimento di esecuzione ipotecaria.

Sulle questioni seconda e terza

52 Con le sue questioni seconda e terza, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 11 della direttiva 2005/29 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che non conferisce carattere giuridicamente vincolante a un codice di condotta come quelli indicati all’articolo 10 di tale direttiva.

53 La Bankia e il governo spagnolo sostengono che non è necessario rispondere a tali questioni poiché, in ogni caso, il codice di buone pratiche bancarie di cui trattasi nel procedimento principale non è un codice di condotta ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 2005/29.

54 Occorre rilevare, a tal riguardo, che non spetta alla Corte stabilire se il suddetto codice di buone pratiche bancarie rientri nella definizione di codice di condotta fornita dall’articolo 2, lettera f), di tale direttiva.

55 Poiché i dubbi sollevati al riguardo non sono peraltro tali da invalidare la presunzione di rilevanza che vale per tutte le questioni pregiudiziali (sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 20), occorre rispondere a tali questioni.

56 A tal fine, occorre ricordare che il summenzionato articolo 2, lettera f), definisce il «codice di condotta» come «un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti».

57 Orbene, come risulta dal considerando 20 della direttiva 2005/29, il ruolo conferito da quest’ultima ai suddetti codici è quello di consentire ai professionisti stessi di applicare in modo efficace i principi di tale direttiva in specifici settori economici, di rispettare gli obblighi di diligenza professionale e di evitare la necessità di esperire azioni amministrative o giudiziarie.

58 Certamente, l’articolo 6, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2005/29 dispone che il mancato rispetto da parte del professionista di un codice di condotta può costituire una pratica commerciale sleale. Tuttavia, tale direttiva non impone agli Stati membri di prevedere delle conseguenze dirette nei confronti dei professionisti per il solo motivo che questi ultimi non abbiano rispettato un codice di condotta dopo avervi aderito.

59 In tali circostanze, occorre rispondere alle questioni seconda e terza dichiarando che l’articolo 11 della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che non conferisce carattere giuridicamente vincolante a un codice di condotta come quelli indicati all’articolo 10 di tale direttiva.

Sulle spese

60 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1) L’articolo 11 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che vieta al giudice del procedimento di esecuzione ipotecaria di controllare, d’ufficio o su istanza di parte, la validità del titolo esecutivo sotto il profilo dell’esistenza di pratiche commerciali sleali e che, in ogni caso, vieta al giudice competente a deliberare nel merito sull’esistenza di tali pratiche di adottare provvedimenti provvisori, come la sospensione del procedimento di esecuzione ipotecaria.

2) L’articolo 11 della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che non conferisce carattere giuridicamente vincolante a un codice di condotta come quelli indicati all’articolo 10 di tale direttiva.

Firme

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