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di Carlo Rapicavoli

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 168/2018 depositata il 20 luglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 17 “Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonché del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano”.

La legge della Regione Siciliana n. 17/2017, dichiarata incostituzionale, aveva reintrodotto l’elezione diretta «a suffragio universale» del Presidente del «libero Consorzio comunale» (cosiddetta Provincia Regionale) e del Sindaco metropolitano, disciplinandone le modalità.

La motivazione principale cui ricorre la Consulta per dichiarare l’incostituzionalità delle legge regionale è quella di qualificare le disposizioni sulla elezione indiretta degli organi territoriali, contenute nella legge n. 56 del 2014, come “norme fondamentali delle riforme economico-sociali, che, in base all’art. 14 dello statuto speciale per la regione siciliana, costituiscono un limite anche all’esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo”.

La Corte Costituzionale afferma che “i previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi «enti di area vasta» sono, infatti, funzionali al perseguito obiettivo di semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono ad un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all’elezione diretta”.

E, dichiarando incostituzionale anche la previsione della legge regionale di attribuzione di una indennità di carica al Presidente del libero Consorzio comunale ed al Sindaco metropolitano, afferma che “La gratuità nell’esercizio delle funzioni – voluta dalla legge n. 56 del 2014 (che, in coerenza a questo obiettivo, ha fatto coincidere i sindaci metropolitani con i sindaci del Comune capoluogo, già percettori di un emolumento come tali) – costituisce, infatti, un profilo conseguenziale del principio di elezione indiretta degli organi di vertice dei ridisegnati enti territoriali, volto a ridurre la spesa corrente e a razionalizzare i costi degli enti locali; con la conseguenza che la Regione a statuto speciale, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogarvi”.

Pur nel rispetto dell’autorevolezza della Corte, le motivazioni della sentenza non appaiono convincenti.

Tutte le argomentazioni appaiono riferite alla Città Metropolitana: “questa Corte – si legge – ha già avuto occasione di affermare che «il novellato art. 114 Cost., nel richiamare al proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale Città metropolitana, ha imposto alla Repubblica il dovere della sua concreta istituzione…”, estendendo le conclusioni anche alle Province (o, in Sicilia, liberi consorzi di Comuni).

Non va trascurato al riguardo che la Legge 56/2014, all’art. 1, comma 5, dispone espressamente che “I princìpi della presente legge valgono come princìpi di grande riforma economica e sociale per la disciplina di città e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna, dalla Regione siciliana e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, in conformità ai rispettivi statuti”.

Circoscrive, pertanto, l’efficacia della stessa quale legge contenente “princìpi di grande riforma economica e sociale per la disciplina” che prevarrebbero sull’autonomia delle Regioni a Statuto speciale, solo alla disciplina delle Città Metropolitane.

La stessa Legge Delrio, peraltro, non individua le Città Metropolitane della Regione Siciliana, individuate poi con legge regionale.

Con riferimento alle Province, la Legge 56/2014, al comma 51, al contrario, si limita a disporre che “In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le province sono disciplinate dalla presente legge”.

Riforma del titolo V bocciata dal referendum costituzionale del 2016.

L’art. 14 dello Statuto della Regione Siciliana, che ha forza di legge costituzionale, attribuisce alla legislazione esclusiva regionale il “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative” e il successivo art. 15 dispone:
1. Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana.
2. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali (denominati con legge regionale “Province Regionali”), dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria.
3. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali
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La Corte Costituzionale, nel dichiarare la prevalenza della Legge 56/2014 in quanto “norme fondamentali delle riforme economico-sociali” richiama il limite contenuto nell’art. 14 dello Statuto Regionale alla legislazione esclusiva – “senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano” -, che appare assumere valenza ben più circoscritta rispetto all’efficacia che la Corte ne ha inteso dare.

La questione, molto ampia e complessa, riguarda l’autonomia della Regione ed i suoi limiti, che richiede un maggiore e più approfondito esame.

Non si può però fare a meno di valutare criticamente le motivazioni della Corte allorché insistono nel motivare la decisione ricorrendo ad una discutibile assimilazione tra principio di rappresentanza diretta e contenimento dei costi.

Afferma la Corte che “i previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi «enti di area vasta»… rispondono ad un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all’elezione diretta”.

La Corte dei Conti sia nella fase precedente l’approvazione della Legge 56/2014 – audizione in Commissione Affari Istituzionali del Senato della Repubblica del 16 gennaio 2014 – sia recentemente, dopo aver valutato gli effetti della riforma – si veda ad esempio l’audizione del 23 febbraio 2017 in Commissione Parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale – ha attestato il fallimento anche dell’obiettivo di riduzione della spesa perseguito dalla Legge Delrio concludendo con la considerazione che “La mancata conferma in sede di consultazione referendaria del testo di riforma costituzionale, approvato in seconda votazione nella seduta della Camera dei deputati il 12 aprile 2016, ha determinato l’interruzione del processo di riforma, creando una condizione di incertezza sia nella prospettiva del riassetto dei livelli di governo locale, sia nella gestione della situazione esistente, soprattutto per la regolamentazione degli assetti istituzionali e degli aspetti finanziari degli Enti interessati dalla riforma”.

La Corte Costituzionale, nella sentenza in questione, trascura invece che la disciplina dei cosiddetti “nuovi enti di area vasta” trovava la sua motivazione nella volontà – molto discutibile sul piano ordinamentale – di “anticipare” gli effetti della riforma costituzionale in itinere, che si prefissava di eliminare le Province dagli Enti costitutivi della Repubblica di cui all’art. 114 della Costituzione.

La riforma costituzionale non è stata approvata facendo venir meno l’efficacia anticipatrice della Legge Delrio e ponendo un tema, sempre più urgente, della revisione dell’attuale assetto normativo per ripristinare la legalità costituzionale calpestata dalla riforma Delrio.

Ma soprattutto ciò che appare connotato – ci sia consentito – da estrema superficialità è ribadire, quale elemento qualificante della scelta di superare l’elezione diretta degli organi provinciali, il mero risparmio di spesa, talmente qualificante da rendere la riforma “un principio fondamentale” prevalente sull’autonomia costituzionalmente riconosciuta alla Regione, e tale da dichiarare incostituzionale la stessa previsione di una indennità di funzione al Presidente della Provincia o al Sindaco metropolitano.

Se ciò fosse vero, e non si tratti, come riteniamo, di un affrettato sforzo di motivare la limitazione dell’autonomia della Regione Siciliana sull’ordinamento degli Enti Locali, ci si troverebbe ad affermare, con l’autorevolezza primaria del massimo organo di garanzia del nostro Paese, che le esigenze di finanza pubblica prevarrebbero sui principi di democrazia diretta.

E questa appare, in tutta la sua evidenza, come una conclusione inaccettabile.

Gli esiti negativi che hanno registrato i tentativi riformatori della Costituzione negli ultimi dieci anni, non possono infatti non essere letti come una esigenza di consolidare e attuare il sistema affermato con la riforma del 2001, piuttosto che di sottoporlo costantemente a ulteriori e parziali modifiche.

E’ proprio il carattere transitorio del riordino legislativo delle Province, dichiarato esplicitamente dalla stessa Legge 56/2014 a richiedere una profonda rivisitazione dell’impianto normativo affermato dalla Delrio, una volta venuta meno, con la bocciatura referendaria del 4 dicembre 2016, la prospettiva della riforma costituzionale.

Le Province, in quanto istituzioni della Repubblica, devono tornare ad essere nelle condizioni di erogare i servizi loro affidati, potendo contare su: organi politici pienamente riconosciuti; una organizzazione dell’ente e del personale tale da permettere la piena funzionalità della macchina amministrativa; una autonomia finanziaria tale da assicurare le risorse necessarie alla copertura delle spese per le funzioni fondamentali.

Anche per queste ragioni il Governo e il Parlamento dovranno riflettere in modo approfondito su quali organi e quale sistema di elezione siano più idonei a dare un assetto certo alle Province nel loro rapporto con i Comuni del territorio, sul ripristino dell’autonomia finanziaria e organizzativa costituzionalmente garantita, e sulla definizione chiara delle funzioni attribuite.

Anche alla luce dell’ultima pronuncia della Corte, tale intervento legislativo statale è improcrastinabile, non essendo legittimamente percorribili altre soluzioni anche di iniziativa delle Regioni a statuto speciale.

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