PER UNA RINNOVATA SOLIDARIETA’ EUROPEA
Enrico Schenato avvocato e magistrato onorario
- INTRODUZIONE
Il tema del futuro della solidarietà europea rimarrà per lungo tempo al centro delle politiche pubbliche.
E’ utile l’accostamento con quanto ha scritto Amartya Sen, con riferimento alla crisi greca e alle erronee misure imposte al governo di quel paese dalle istituzioni europee.
L’innalzamento dell’età pensionabile, affiancato al taglio delle pensioni per i lavoratori con basso reddito, è considerato un errore, così come lo è la perdita di competenze per il Paese, dovuta all’assenza di misure efficaci per combattere la disoccupazione giovanile.
E ancora, sulle organizzazioni sindacali, su quelle europee in particolare, si è riversata l’analisi critica di alcuni studiosi delle scienze sociali.
In particolare, Wolfgang Streeck, uno studioso tedesco che da molto tempo interpreta le vicende del diritto sociale europeo attraverso lenti molto critiche, accusa i sindacati europei di non aver saputo contrastare la trasformazione degli Stati fiscali in Stati debitori.
In questo processo, i sindacati avrebbero perso, gradualmente ma inesorabilmente, la loro capacità di incidere sulle politiche salariali e di contrastare gli effetti negativi della moneta unica.
In altre parole, secondo questa ricostruzione, i sindacati avrebbero subito una influenza negativa da parte delle istituzioni europee.
Sarebbero stati inclusi, dalle stesse, entro logiche tecnocratiche e non avrebbero saputo preservare la loro autonomia, in particolare quella che si esprime attraverso la contrattazione collettiva.
I diritti sociali fanno parte degli ordinamenti costituzionali europei e sono stati progressivamente riconosciuti dai Trattati e dalla Carta dei diritti fondamentali, dotata, dopo la ratifica del Trattato di Lisbona, dello stesso valore giuridico dei Trattati.
La crisi economica ha riportato al centro del dibattito quei peculiari diritti sociali che si esercitano in forma collettiva, quali il diritto di organizzarsi in sindacati, di contrattazione collettiva e il diritto di sciopero.
Proprio i diritti sociali sono tornati alla ribalta nei ricorsi avviati da sindacati e gruppi organizzati per l’impugnazione di alcune misure adottate dai governi dei Paesi più colpiti dalle misure di austerità. I diritti collettivi, dunque, servono e sono azionabili, anche per garantire altri diritti che attengono alla dignità delle persone.
Tuttavia, le criticità sono visibili quando l’esercizio dei diritti collettivi è reso difficile dalla crisi.
Pensiamo soltanto al fenomeno della povertà anche fra chi lavora (working-poor) fenomeno che spesso si affianca alla creazione di nuove divisioni sociali e generazionali.
Le più colpite sono le fasce dei giovani e degli anziani, verso cui le politiche di taglio del debito pubblico provocano effetti talvolta devastanti, poiché non aprono spiragli di crescita ed occupazione.
Uno studio del sindacato europeo rivela che le politiche di austerità hanno inciso proprio nei Paesi maggiormente afflitti da grandi problemi della povertà e della esclusione sociale.
I tagli alla spesa pubblica non hanno tenuto conto della sottostante realtà sociale.
E’ comprensibile la delusione e l’angoscia di tanti cittadini europei, destinatari delle politiche di austerità, quando si percepisce un restringimento delle tutele e, dunque, diviene difficile interpretare la funzione delle organizzazioni che agiscono per difendere gli interessi collettivi.
La riforma della governance europea dovrebbe significare anche questo.
2. RUOLO DELLE ORGANIZZAZIONI SOCIALI
Come si fa a capire se ci sarà un futuro della solidarietà in Europa favorita dai sindacati?
Per rispondere a questo quesito, serve affrontare due questioni.
La prima riguarda le politiche salariali.
La seconda questione, legata alle politiche di austerità, riguarda la solidarietà come tessuto per la coesione sociale e attiene alla posizione dei sindacati nell’accogliere o nel respingere misure di contenimento dei salari o tagli ai trattamenti pensionistici, o altre misure di sicurezza sociale.
Si potrebbe dire che la prima questione riguarda il ruolo proattivo delle organizzazione sindacali, il tradizionale ruolo di spinta verso incrementi salariali, attraverso la contrattazione collettiva.
La seconda questione, invece, attiene a un atteggiamento difensivo dei sindacati.
La banalizzazione di un problema assai complicato, che spesso si percepisce nel dibattito pubblico, si sostanzia nell’affermare che i sindacati proteggono chi ha già diritti.
Si sostiene spesso che la tutela di livelli salariali e la battaglia per un loro incremento contrasta con le zone d’ombra in cui versano i soggetti esclusi dal mercato del lavoro o quanti vivono sotto la soglia di povertà.
Ora, il tema del salario minimo europeo ritorna preponderante al centro del dibattito pubblico.
In Europa i livelli salariali variano molto fra gli Stati membri, così come varia la sede della contrattazione, talvolta accentrata e addirittura affidata a organi tripartiti, talaltra concentrata in settori produttivi o ancora decentrata, a livello territoriale, o di impresa.
Le sedi della contrattazione incidono sui livelli salariali e, dunque, plasmano in modo diverso la solidarietà, quella che nasce dall’essere lavoratori uniti da uno stesso regime retributivo.
Fin dai primi anni novanta dello scorso secolo, in coincidenza con l’avvio delle politiche per l’adozione di una moneta unica, la Commissione ha valorizzato il principio di adeguatezza delle retribuzioni e alcune organizzazioni sindacali hanno tentato il coordinamento delle politiche salariali in paesi limitrofi, per evitare fenomeni di dumping e di competizione sui salari. Questi tentativi non hanno sortito effetti visibili.
E’ certo da evidenziare un dato, all’apparenza contraddittorio. A fronte delle drastiche riduzioni salariali che si sono avute in paesi quali la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, a causa dei vincoli europei, le raccomandazioni che la stessa Commissione ha inviato ad alcuni Stati membri indicano l’opportunità di un progressivo allentamento dei vincoli di bilancio e chiedono di incrementare i livelli salariali.
La Germania, ad esempio, ha preso sul serio dette sollecitazioni e con una abile mossa ha adottato nel 2014 una legge sul salario minimo.
Nonostante gli iniziali giudizi cauti, se non sospettosi, la legge sul salario minimo ha dato risultati positivi dalla sua introduzione, e questo anche secondo le previsioni della Bundesbank, circa una verificata espansione dei contratti di lavoro regolare, cui fa da contraltare la riduzione dei c.d. mini-jobs.
Ebbene, la ricerca comparata mostra che, nell’attuale assetto della governance economica, meglio funzionano le politiche salariali nei paesi in cui i contratti contratti collettivi trovano un sostegno nella legge. Le politiche salariali sono sempre, anche nella crisi, un veicolo di solidarietà e uno strumento di contrasto alla povertà e la legge può funzionare in affiancamento al ruolo delle parti sociali.
L’espansione, piuttosto che il taglio della spesa pubblica, può contribuire a aumentare l’occupazione e la produzione, se è vero che il taglio della spesa pubblica si aggiunge all’insufficienza dei redditi privati.
In Europa, la riduzione del deficit non ha corrisposto a politiche di crescita e ha insinuato confusione nelle priorità da imprimere alle azioni dei governi posti “sotto pressione”.
Nel disegnare il futuro della solidarietà europea, i sindacati dovrebbero essere attori del cambiamento, cioè dovrebbero reinterpretare una loro funzione trainante.
3. NECESSITA’ DI UN SOSTEGNO FINANZIARIO?
L’esercizio dei diritti fondamentali implica la disponibilità di risorse economiche e, dunque, rende i diritti stessi condizionati dalle scelte dei decisori economici o delle imprese private e delle organizzazioni che le rappresentano.
Quando parliamo di futuro della solidarietà europea, dobbiamo pensare anche a programmi europei che comportano lo stanziamento di fondi europei, fra tutti il Fondo Sociale Europeo e le misure di inclusione sociale. Questa ultime, si intersecano con le politiche sociali nel quadro generale delle azioni previste da Europa 2020.
Si tratta di forme di solidarietà redistributiva che non sono mai scevre da tensioni politiche fra gli stati membri e che non appaiono sempre connotate da un vero e proprio spirito altruistico.
Si deve citare anche il Piano per gli investimenti strategici, che prevede il coinvolgimento della Banca Europea degli Investimenti, un progetto la cui attuazione non può essere rapida, proprio perché mirata ad attrarre investimenti anche stranieri in Europa.
Altro progetto di grande impatto si articola intorno alla creazione di una assicurazione europea contro la disoccupazione, per dare un “volto umano” all’Unione Europea.
Questa misura dovrebbe innestarsi sulla nozione di solidarietà che si ricava dal Trattato e che tuttavia deve misurarsi con l’art. 25 TFUE che vieta misure di sostegno indirizzate agli Stati “fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione di un progetto economico specifico”.
Sarebbe, dunque, necessaria una modifica del Trattato ovvero si dovrebbe raggiungere un accordo intergovernativo per supportare misure di sostegno al reddito.
A questo scopo, basterebbe accantonare lo 0,50 del PIL, misura che dovrebbe essere finanziata da datori di lavoro e lavoratori.
Avrebbe dunque natura fiscale, ancorché temporanea, e sarebbe aggiuntiva rispetto a quella già esistente negli stati della zona euro.
Anche l’emissione di euro-bonds consentirebbe di sostituire misure di solidarietà alle misure di austerità, come suggerito anche dalla Francia, che vorrebbe spostare i finanziamenti verso le politiche sociali, tra cui, ad esempio, la salute, l’educazione, il restauro di aree urbane degradate, l’ambiente.
Altra proposta riguarda uno strumento di convergenza degli standards salariali.
L’Europa non può ignorare che le disuguaglianze sono generate anche dai forti divari esistenti nei sistemi retributivi e dalla difficoltà di includere i lavoratori più deboli dentro la cerchia di quanti godono di una retribuzione sufficiente.
Per questo, sarebbe opportuno includere la clausola sugli standards salariali nella riforma delle politiche economiche europee, per contrastare il dumping sociale e frenare la discesa vorticosa dei salari.
4. CONCLUSIONI
Solidarietà può divenire una parola vuota se lasciata in uno spazio indistinto delle politiche europee, priva di fonti di finanziamento e sguarnita di misure correttive della situazione esistente.
Vanno pertanto assecondati comportamenti attivi da parte dei decisori politici, all’interno di una cornice europea, che travalichi le dimensioni nazionali della solidarietà.
In una dimensione laica, i valori della solidarietà divengono il pilastro della convivenza e sempre di più si annodano con gli strumenti della politica.