di Carlo Rapicavoli –
Il 22 ottobre prossimo i cittadini delle Regioni Lombardia e Veneto saranno chiamati ad esprimersi, attraverso lo strumento del referendum consultivo, sulla richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Si tratta di un appuntamento elettorale che coinvolge un territorio di circa 15 milioni di abitanti, il 25% della popolazione del nostro Paese.
I quesiti sono formulati in modo diverso: più articolato e tecnico il testo su cui si esprimeranno i cittadini lombardi: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.
Più ampio e generico il quesito del Veneto: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”
Nella stessa giornata i cittadini della Provincia di Belluno si esprimeranno altresì su un ulteriore quesito, in apposito referendum consultivo indetto con decreto del Presidente della Provincia, così formulato: “Vuoi che la specificità della Provincia di Belluno venga ulteriormente rafforzata con il riconoscimento di funzioni aggiuntive e delle connesse risorse finanziarie e che ciò venga recepito anche nell’ambito delle intese Stato/Regione per una maggiore autonomia del Veneto ai sensi dell’art. 116 della Costituzione?”.
Si tratta di un appuntamento che ha soprattutto una valenza politica di indirizzo: non porterà automaticamente ad una maggiore autonomia per Lombardia e Veneto né per la Provincia di Belluno.
Secondo l’articolo 116 della Costituzione, infatti, dopo il voto referendario bisognerà intavolare un negoziato col Governo: se questo andrà a buon fine, occorrerà portare in Parlamento una proposta di legge che dovrà essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, «sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata».
Affrontiamo dunque velocemente gli aspetti più strettamente giuridici e formali.
L’art. 116, terzo comma, della Costituzione sancisce: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
Le materie sulle quali può aprirsi il negoziato con lo Stato, sentiti gli Enti Locali, sono quelle riservate alla legislazione concorrente: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Ed inoltre: norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, giurisdizione limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 118/2015, che ha ritenuto ammissibile il quesito della Regione Veneto contenuto nella L. R. 15/2014 (escludendo gli altri quesiti ivi previsti), dopo aver rilevato che il quesito referendario ripete testualmente l’espressione usata nell’art. 116, terzo comma, Cost. e dunque si colloca nel quadro della differenziazione delle autonomie regionali prevista dalla disposizione costituzionale evocata, afferma che “il referendum consultivo previsto dalla Regione si colloca in una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito all’art. 116 Cost., il quale richiede l’approvazione di una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, con voto favorevole delle Camere a maggioranza assoluta dei propri componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione stessa. Il referendum precede ciascuno degli atti e delle fasi che compongono il procedimento costituzionalmente previsto. Lo stesso atto regionale di iniziativa di cui al citato art. 116, comma terzo, Cost., come la procedura per la sua adozione da parte degli organi regionali competenti, rimane giuridicamente autonomo e distinto dal referendum, pur potendo essere politicamente condizionato dal suo esito. Né d’altra parte la consultazione popolare, qualora avvenisse, consentirebbe di derogare ad alcuno degli adempimenti costituzionalmente necessari, ivi compresa la consultazione degli enti locali”.
Per quanto riguarda la Provincia di Belluno va ricordato che:
a) La Legge 56/2014 (Legge Delrio) riconosce particolari specificità alle Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri disponendo che: 1) le Regioni riconoscono alle stesse forme particolari di autonomia nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione; 2) gli statuti delle Province possono prevedere, d’intesa con la Regione, la costituzione di zone omogenee per specifiche funzioni, con organismi di coordinamento collegati agli organi provinciali senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; 3) tali Province esercitano le seguenti ulteriori funzioni fondamentali: a) cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo; b) cura delle relazioni istituzionali con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti;
b) Lo Statuto della Regione Veneto, all’art. 15, riconosce alla Provincia di Belluno forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa, regolamentare e finanziaria in particolare in materia di politiche transfrontaliere, minoranze linguistiche, governo del territorio, risorse idriche ed energetiche, viabilità e trasporti, sostegno e promozione delle attività economiche, agricoltura e turismo;
c) La Legge Regionale 25/2014, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, conferisce alla Provincia di Belluno le funzioni amministrative in materia di: politiche transfrontaliere, minoranze linguistiche, governo del territorio e tutela del paesaggio, risorse idriche ed energetiche, viabilità e trasporti, foreste, caccia e pesca, sostegno e promozione delle attività economiche, dell’agricoltura e del turismo, nonché in altri settori che potranno essere previsti dalla legislazione regionale.
Da ultimo il TAR Veneto con Ordinanza n. 401/2017 ha respinto l’istanza di sospensione dell’efficacia del decreto del Presidente della Regione di indizione del referendum.
Così delimitato l’ambito giuridico della consultazione – valenza politica di indirizzo che non interferisce, lasciandolo immutato, sull’iter previsto dall’art. 116 comma 3 della Costituzione, ma che lo precede senza condizionarlo giuridicamente, ma solo politicamente – ciò che appare più evidente e stupisce negativamente è l’approccio di molti commentatori, ma anche di una parte di esponenti politici, nazionali e locali, rispetto a questo appuntamento inedito ed anche storico per certi versi.
Quasi a sminuirne la portata, si cerca di relegare la consultazione ad una mera prova di forza di un movimento politico, che cercherebbe in questo modo maggiore legittimazione; si sottolineano i costi a fronte dell’assenza di effetti giuridici immediati e concreti; si trascura di affrontare più profondamente i contenuti e gli effetti, che vanno oltre l’immediato ma che, sulla base dell’esito, condizioneranno in modo irreversibile le politiche del nostro Paese, nel rapporto Stato centrale – autonomie regionali e locali.
L’esito, che appare ampiamente prevedibile sulla prevalenza delle risposte affermative al quesito, riveste particolare importanza in ordine alla partecipazione al voto. Non tanto e non solo per l’esigenza formale di raggiungere il quorum del 50% (previsto solo per il Veneto dall’art. 2, comma 2, della L. R. 15/2014), quanto per l’effettiva e ampia partecipazione al voto; dall’affluenza potrà determinarsi, politicamente, la autentica adesione dei cittadini al tema oggetto di consultazione.
Per questo è estremamente importante informare e coinvolgere i cittadini in modo che possano assumere, con piena consapevolezza, le proprie decisioni.
Il popolo cui appartiene la sovranità (art. 1 Cost.), che la esercita, in modo preminente, attraverso il voto (art. 48), finalmente, dopo anni di sterili discussioni, può esprimersi legittimamente e in modo coerente con l’ordinamento costituzionale. Per questo, al di là degli effetti giuridici immediati, l’esito del voto non può non indirizzare e condizionare le politiche del futuro.
Un simile vincolo – richiamando al riguardo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, anche se riferita agli effetti del referendum di cui all’art. 75 della Costituzione – trova fondamento “alla luce di una interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale, al solo fine di impedire che l’esito della consultazione popolare venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l’effetto utile”.
Non si comprende, pertanto, l’ostilità manifesta da parte di alcuni autorevoli esponenti delle forze politiche o la paura dell’espressione massima della democrazia, quale il voto popolare esercitato nelle forme e nei limiti fissati dall’ordinamento.
Non si comprende perché – fatte le dovute differenze – qualcuno tenti di trasformare l’appuntamento, come è avvenuto con il referendum costituzionale del 4 dicembre, in un plebiscito pro o contro una persona per il ruolo che ricopre, perdendo di vista un dato essenziale: spesso si sottovaluta la maturità e la consapevolezza dei nostri cittadini.
E’ avvenuto il 4 dicembre e, auspico, avvenga il 22 ottobre, qualunque sia l’esito della consultazione.
Chiedere il giudizio dei cittadini attraverso l’esercizio del voto, entro i limiti costituzionali (la sentenza della Corte lo attesta), è esercizio tipico di ogni ordinamento democratico; è sovversivo ritenere strumentale, inutile e costoso l’esercizio degli strumenti della democrazia.
La spinta demagogica degli ultimi anni ha indotto tanti a confondere costi (meglio: sprechi) della politica con i costi della democrazia (essenziali e vitali per l’ordinamento repubblicano) inducendo ad assumere provvedimenti normativi più orientati a soddisfare interessi immediati – il consenso facile in periodo di crisi supportato da commentatori interessati e disinformati – che l’interesse generale. Con il risultato di comprimere la rappresentanza democratica, ridurre gli spazi di partecipazione, determinare la crisi di rappresentanza locale, fonte primaria del rapporto cittadino – istituzioni.
Non è facile prevedere cosa accadrà dopo e l’evoluzione del negoziato con il Governo. L’iniziativa referendaria è comunque un importante passo nell’evoluzione del regionalismo italiano, ancora non pienamente affermato, che ha registrato negli anni alterne vicende, più legate al contingente che ad una visione complessiva.
Già in passato erano state avviate iniziative politiche in Veneto per avviare il negoziato con il Governo. Il Consiglio Regionale, con la deliberazione n. 98 del 18 dicembre 2007, decide di affidare al Presidente il mandato di negoziare con il Governo la definizione di un’intesa ai sensi dell’art. 116, terzo comma della Costituzione, con il coinvolgimento degli Enti Locali.
L’iniziativa non ha avuto esito positivo.
Non v’è dubbio altresì che la concessione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia si scontra con gli equilibri finanziari; senza una reale autonomia finanziaria viene meno lo stesso concetto di autonomia.
E, al riguardo, ogni decisione risulta fortemente condizionata dagli effetti della riforma costituzionale del 2012, che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio nella Costituzione, certamente la riforma costituzionale più incisiva della storia repubblicana ed anche la meno conosciuta nei suoi contenuti e negli effetti che ne derivano, passata quasi sotto silenzio e senza alcun coinvolgimento del popolo, ma che certamente ha già inciso profondamente sul sistema delle autonomie regionali e locali e può avere effetti anche sulla stessa garanzia dei diritti fondamentali in effettiva condizione di eguaglianza.
In ogni caso, pur nelle difficoltà entro le quali il negoziato potrà svolgersi, una chiara espressione della volontà popolare non può certo essere ignorata.
Chi contesta il referendum richiamando il costo della consultazione usa argomenti risibili o, peggio, pericolosi nell’alimentare un sentimento contrario alle Istituzioni e alla partecipazione. Non servono molti argomenti per dimostrare che la tesi dei costi, se sostenuta e spinta oltre, porterebbe ad esiti devastanti per la democrazia stessa.
Il tema in discussione è dunque una visione dell’organizzazione della Repubblica: si intende apprezzare il sentire dei cittadini su un’impostazione che valorizzi il sistema delle autonomie ridimensionando gli ambiti di intervento dello Stato centrale.
Nulla di sovversivo.
“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” (art. 5 della Costituzione).
Il principio autonomistico dunque da modello organizzativo è elevato a principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale sin dalla Costituzione del 1948.
La Repubblica riconosce e promuove; si riconosce un entità che esiste e precede il riconoscimento formale; attesta un modello consolidato e da promuovere.
La riforma del 2001 sviluppa ulteriormente il principio.
“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione” (art. 114 della Costituzione).
Il tema è dunque verificare lo stato di attuazione dei principi costituzionali, verificare il consenso dei cittadini sull’attivazione degli strumenti ulteriori previsti dalla stessa Costituzione esaltando maggiormente i principi già sanciti.
Non va trascurato infine un tema fondamentale: il principio di autonomia, perché sia tale, non può che riguardare l’intero sistema ordinamentale come delineato dall’art. 114.
Non si tratta di trasferire alcune funzioni dallo Stato alla Regione o di sostituire al centralismo statale quello regionale.
Le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, di cui parla l’art. 116, comma 3, riguardano l’intero sistema veneto o lombardo. Non a caso la stessa norma costituzionale impone che il “negoziato” si attivi su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali.
Non si tratta di un mero coinvolgimento formale degli enti locali, ma di una loro partecipazione attiva nel processo di autonomia e decentramento, sia in fase di costruzione che di attuazione. Una partecipazione necessaria e strategica, per il successo dell’iniziativa politica e per un effettivo e reale effetto e radicamento sul territorio.