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Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria da falso in bilancio, i principi contabili sono criteri tecnici generalmente accettati che consentono una corretta appostazione e lettura delle voci del bilancio, dai quali, pertanto, ci si può discostare solo fornendo adeguata informazione e giustificazione.
Decisione: Sentenza n. 29885/2017 Cassazione Penale – Sezione V
Classificazione: Fallimentare, Penale, Societario

 

Il caso.
La Corte di Appello confermava la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto un amministratore colpevole dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, bancarotta impropria da falso in bilancio e bancarotta semplice per avere aggravato il dissesto, non richiedendo il fallimento, in relazione a una SRL, dichiarata fallita di cui era stato amministratore unico, e quale presidente del consiglio di amministrazione ed amministratore di altra SRL beneficiata dalle distrazioni.

Il curatore aveva spiegato che ilcredito vantato dalla fallita verso altra società riconducibile all’imputato era chiaramente inesigibile fin da un paio di anni prima della dichiarazione di fallimento.

L’imputato propone ricorso in Cassazione affidandosi a cinque motivi, ma la Suprema Corte rigetta il ricorso.

 

La decisione.
Il Collegio, dopo aver ripercorso lo svolgimento del giudizio oggetto di impugnazione, affronta la questione della valenza dei principi contabili che il ricorrente aveva sollevato con il secondo motivo di ricorso: la Corte di Appello aveva ritenuto che i crediti avrebbero dovuto essere svalutati del 90% «secondo principi contabili che non sono affatto irrilevanti come sostiene la difesa ma che sono, invece, dei criteri tecnici generalmente accettati che consentono una corretta appostazione e lettura delle voci del bilancio, dai quali, pertanto, ci si può discostare solo fornendo adeguata informazione e giustificazione: Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266803 – aveva consentito alla stessa di proseguire l’attività senza prendere atto che il patrimonio netto era divenuto negativo e che era quindi necessario o provvedere alla sua ricapitalizzazione o alla sua liquidazione (o alla richiesta di fallimento)» .

La mancata svalutazione «aveva consentito alla stessa di proseguire l’attività senza prendere atto che il patrimonio netto era divenuto negativo e che era quindi necessario o provvedere alla sua ricapitalizzazione o alla sua liquidazione (o alla richiesta di fallimento). Così da aggravare il dissesto con gli ulteriori impegni economici assunti. Un aggravamento consentito e dovuto proprie alle false appostazioni di bilancio».

Con la conseguente configurabilità del reato: «Una condotta che trova la sua corretta qualificazione nell’ipotesi contestata ai sensi dell’art. 223, comma secondo n. 1, I. fall., poiché tale norma punisce chiunque cagioni, o concorra a cagionare, commettendo i delitti societari indicati, il dissesto della società, così sanzionando la condotta sia di chi il dissesto – da intendersi come lo squilibrio economico che conduce la società al fallimento – l’abbia interamente cagionato, sia chi ne abbia causato una parte (l’abbia, in altri termini, aggravato) posto che il dissesto, nei suoi termini economici, non costituisce un dato di fatto immodificabile e può pertanto essere reso ancor più grave».

Dopo aver esaminato anche gli altri motivi di ricorso, la Cassazione rigetta il ricorso.

 

Osservazioni.
La Suprema Corte ha ribadito che, ai fini del reato di bancarotta impropria da falso in bilancio, i principi contabili sono rilevanti e vanno intesi quali criteri tecnici generalmente accettati che consentono una corretta formazione e lettura delle voci di bilancio.

Principi contabili dai quali ci si può discostare solo fornendo una adeguata informazione e giustificazione.

Il reato è stato ritenuto configurabile anche perché l’omessa svalutazione aveva consentito di proseguire l’attività senza rilevare il patrimonio negativo e, conseguentemente, si è mancato di provvedere alla sua ricapitalizzazione o alla messa in liquidazione (o alla richiesta di fallimento).

 

Giurisprudenza rilevante.
Cass. 22474/2016 Sezioni Unite

 

Disposizioni rilevanti.
REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 267

Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa

 

Art. 223 – Fatti di bancarotta fraudolenta

Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.

Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:

1. Hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.

2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.

Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216.

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