di Daniela Camici. Con la sentenza n. 3670/2012 del 21/6/2012, la V sezione del Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimi gli atti con i quali il Presidente della Regione Lombardia ha nominato come assessori della Giunta quindici componenti di sesso maschile ed uno solo di sesso femminile.
Il Consiglio di Stato, richiamando la sentenza della medesima sezione V, 27/7/2011, n. 4502, ha ritenuto di annullare i suddetti provvedimenti per violazione del principio delle c.d. “quota rosa” sancito, nel caso in esame, dall’art. 11, comma 3 dello Statuto della Regione Lombardia in base al quale: “La Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo della Regione”.
Il principio, come è noto, è stato confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 5/4/2012, n. 81 in base alla quale gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo.
Secondo i giudici amministrativi di secondo grado quindi la nomina degli assessori della Regione Lombardia è subordinata alla “promozione del riequilibrio tra entrambe i generi” intendendosi per essa l’uguaglianza o sostanziale approssimazione alla metà tra uomini e donne nelle posizioni di governo regionale.
Nel caso di specie evidentemente la discrezionalità politica ha superato i confini stabiliti dai principi giuridici fissati dall’ordinamento.
Questa sentenza è evidentemente destinata a produrre effetti rilevanti su tutte le giunte regionali, provinciali e comunali.
Un commento su “Giù le mani dalle quote rosa!”
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Non credo che con una legge, e tanto meno con una sentenza, si possa risolvere l’annoso problema delle quote rosa (nè di eventuali legittime future quote bianche, gialle, viola…). Dovrebbe interessare veramente poco se nelle amministrazioni pubbliche o nelle aziende private ci siano tutte donne, uomini, neri, gialli, o altro… dovrebbe interessare una selezione dei politici o dei dirigenti basata solo ed esclusivamente su merito, onestà, capacità… tutte condizioni che non sono raggiungibili semplicemente con una parità matematica dei sessi.
La Costituzione prevede che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E considerato che chiunque può fondare un partito, partecipare alle competizioni elettorali non vedo perché riservare privileggi al sesso (inteso come maschile e femminile).
Basterebbe una buona legge elettorale.