Iva
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Quando l’accertamento riguarda l’IVA (e, in generale, i tributi armonizzati disciplinati dal diritto dell’Unione Europea), per l’Ufficio sussiste l’obbligo di svolgere il contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto di accertamento purché nel giudizio contenzioso tributario il contribuente assolva l’onere di enunciare le ragioni (non meramente pretestuose) che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio preventivo fosse stato rispettato.
Decisione: Sentenza n. 20849/2016 Cassazione Civile – Sezione VI

 
Classificazione: Tributario

 

 

Il caso.
Un contribuente ricorreva avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale lamentando anche la violazione del diritto al contraddittorio preventivo, in quanto l’Ufficio aveva effettuato il controllo “a tavolino” ed aveva poi emesso l’atto di accertamento senza aver rispettato il termine dilatorio di 60 giorni entro il quale il contribuente può formulare le proprie osservazioni.

La Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo di ricorso, e ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione per una nuova pronuncia.

 

 

La decisione.
Il contribuente aveva fondato il ricorso su tre motivi: con il primo, la falsa applicazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 in tema di accertamento, e con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), nonché degli artt. 32 del D.P.R. 600/1973 e 51 del D.P.R. 633/1972; con il terzo motivo, aveva lamentato il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Ufficio circa la riferibilità al contribuente di alcuni conti correnti asseritamente intestati fittiziamente a terzi.

La Suprema Corte, esaminando il secondo motivo, lo ha ritenuto parzialmente fondato.

Con il secondo mezzo, il contribuente aveva dedotto altresì la “violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 della legge n. 212/2000, degli articoli 32 d.p.r. n. 600/73 e 51 d.p.r. n. 633/72 in combinato disposto in relazione 360, comma 1, n. 3) c.p.c.”, per non avere Ufficio rispettato il termine dilatorio di 60 giorni per l’emissione degli avvisi di accertamento, in mancanza di redazione di apposito p.v.c. ed “a fronte dell’ultimo contraddittorio svolto con il contribuente.

Il Collegio dapprima rileva che «Pacifico, in fatto, che si è trattato di “indagini finanziarie e effettuate previa autorizzazione della Direzione Regionale”, sulla scorta di appositi “verbali di contraddittorio” emessi all’esito di atti di “invito al contraddittorio”, con cui “veniva chiesto al contribuente di fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle movimentazioni finanziarie rilevate su alcuni conti correnti bancari (alcuni intestati a soggetti terzi rispetto al contribuente” (come si legge a pag. 3 del ricorso) e che i tributi implicati sono Irpef, Irap ed Iva, occorre tener conto della recente puntualizzazione nomofilattica in tema di contraddittorio cd. preventivo o endoprocedimentale (Cass. s.u., sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015).»

E quindi riassume la questione che fu rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione: «le Sezioni Unite hanno dato atto della sostanziale univocità dell’orientamento di questa Corte diretto a circoscrivere l’ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 – in linea con lo stesso dato normativo testuale – ai soli accertamenti conseguenti ad “accessi”, “ispezioni” e “verifiche” fiscali nei locali del contribuente (Cass. nn. 26316/10, 795/11, 7536/11, 10381/11, 8342/12, 16354/12, 446/13, 2360/13, 20770/13, 25515/13, 2593/14, 5374/14, 7598/14, 9424/14, 15010/14, 21391/14, 13588/14, 15583/14, 12023/15) e, superando le pronunce dissonanti di Cass. n. 2594/14 e Cass. su. nn. 19667/14 e 19668/14 (appositamente invocate in ricorso), hanno statuito che la suddetta disposizione non è espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, ma trova applicazione solo nelle ipotesi ivi esplicitamente previste (“accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinali all’esercizio di attività commerciali industriali, agricole, artistiche o professionali”) – ossia “categorie d’intervento accertativo dell’Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui al D.P.R n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, richiamato, in tema di imposte dirette dal D. P. R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1 e, in materia di imposta di registro, dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53-bis” – in quanto tutte “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli, peculiarità, che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali” (Cass. su. n. 24823/15). Di conseguenza l’Ufficio, al di fuori di questi casi, “può emettere l’avviso di accertamento anche in assenza di un processo verbale che attesti la chiusura dell’attività istruttoria, in difetto di norme che impongano un obbligo di verbalizzazione e laddove sia prevista una fase necessaria di Contraddiitorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento” (Cass. ord. nn. 10904/16, 8000/16, 7600/16, 7598/16; conf. Cass. n. 7960/14, in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore; Cass. 14027/12)».

Ma occorre distinguere se si tratta di tributi armonizzati o meno; e infatti, la Suprema Corte afferma: «Peraltro, il tema del contraddittorio endoprocedimentale segue diverse logiche a seconda che si tratti o meno di di tributi cd. armonizzati, ossia soggetti al diritto dell’Unione europea; ed infatti il principio di diritto fissato da Cass. s.u. n. 24823/15 recita: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in temi di tributi cd. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.»

Ciò posto, il Collegio affronta la decisione sul caso specifico: «Poiché nel caso di specie costituisce oggetto dell’accertamento anche l’IVA, è necessario che in sede di rinvio il giudice di merito verifichi in concreto se, con riguardo a detto tributo, la lamentata violazione del principio del contraddittorio endo-procedimentale sia effettiva e se, in concreto, il suo rispetto avrebbe in concreto consentito al contribuente di far valere ragioni difensive da ritenersi, ex ante, non meramente pretestuose (cfr. Cass. ord. n. 10904/16».

Dopo aver quindi accolto il ricorso, la Cassazione cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria regionale in diversa composizione.

 

 

Osservazioni.
Le Sezioni Unite della cassazione avevano già chiarito che non esiste un principio generale dell’ordinamento che attribuisce al contribuente un diritto generalizzato al contraddittorio preventivo nei casi non previsti specificamente dalle disposizioni.

Il diritto al contraddittorio preventivo (cd. “endoprocedimentale”) sussiste solo nelle ipotesi espressamente previste quando vi è un’intromissione autoritativa dell’Amministrazione Finanziaria nei luoghi di pertinenza del contribuente.

In tema di tributi cd. “armonizzati”, il diritto dell’Unione Europea pone un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo prima di adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente.

 

 

Giurisprudenza rilevante.

Cass. 24823/2015, Sez.Unite

 
Disposizioni rilevanti.
LEGGE 27 luglio 2000, n. 212

Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente
Art. 12 – Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali

1. Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente.

2. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche.

3. Su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta.

4. Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica.

5. La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni. Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l’eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell’arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente.

6. Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente, secondo quanto previsto dall’articolo 13.

7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’articolo 34 del testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni dell’articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374.

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