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di Carlo Rapicavoli –

Si è finalmente conclusa la lunghissima campagna referendaria e l’esito del voto, chiaro ed inequivocabile nel risultato, porta con sé, nei suoi effetti immediati, il carico di anomalie e di scelte irresponsabili che hanno caratterizzato l’ultima fase della vita politica nel nostro Paese.

In precedenti interventi si è cercato di analizzare il merito della riforma, rilevando gli aspetti condivisibili e quelli, purtroppo prevalenti, di criticità e disorganicità del testo ed altri, peggiori, di storture del sistema, tentando comunque di discutere sull’oggetto vero del referendum: la modifica della Costituzione.

Purtroppo così non è avvenuto nel dibattito politico e tramite mezzi di comunicazione in genere, avendo concentrato l’attenzione sulla caratterizzazione politica del voto, alimentata sin dai primi passaggi parlamentari, dagli interventi del Governo che ha cercato – malgrado il tardivo ripensamento – di farne un appuntamento volto alla piena propria legittimazione popolare, quasi a voler superare il vulnus della anomala maggioranza parlamentare – viziata dall’incostituzionalità della legge elettorale – e dell’assenza del voto popolare più volte, spesso anche in modo strumentale, contestata al Presidente del Consiglio.

Aver fatto della riforma terreno di scontro fra fazioni, per finalità diverse e contingenti, del tutto estranee ad ogni processo costituente, ha rappresentato il più grande tradimento dei valori fondanti della nostra Carta Costituzionale segnando già il fallimento della riforma stessa prima ancora dell’esito referendario.

Le immediate dimissioni del Governo, dopo l’esito referendario, rappresentano il culmine dell’anomalia che si è determinata, ancor più se si considera che il Presidente del Consiglio ha rassegnato formalmente le dimissioni subito dopo aver ottenuto l’ennesimo voto di fiducia in Parlamento, segnando palesemente la rottura con il normale e coerente funzionamento delle Istituzioni repubblicane.

La poco edificante esperienza “riformatrice” dovrebbe consegnare alla classe politica diversi spunti di riflessione:

a) La sovranità appartiene al popolo: lo dimostra il voto chiaro, non catalogabile, malgrado i maldestri tentativi di appropriarsi in un senso o nell’altro del risultato, con inutili e fuorvianti calcoli percentuali riferiti a logiche partitiche che nulla hanno a che fare con l’esito referendario. I cittadini hanno rifiutato una proposta di modifica costituzionale imposta, non ragionata, illustrata come salvifica, ma percepita come inutile o dannosa, certo non prioritaria o condivisa; hanno rifiutato la spettacolarizzazione delle regole, partendo da un quesito promozionale che non ha ingannato e manifestando un messaggio evidente e indiscutibile alla classe politica;

b) Le modifiche costituzionali, soprattutto di così ampia portata, non possono essere solo di una parte:
– è accaduto nel 2006: la riforma costituzionale venne bocciata, a seguito del referendum, dal 61,29% dei votanti, con uno scarto di voti di quasi sei milioni (i no superarono i sì di 5.812.756 voti);
– è accaduto nel 2016 con il 59,11% di voti negativi ed uno scarto di poco meno sei milioni di voti.
Repetita iuvant: il messaggio dei cittadini, a distanza di dieci anni, è stato chiarissimo e sostanzialmente identico; perseverare autem diabolicum: la classe politica dovrebbe trarne le dovute valutazioni e non ripetere i medesimi errori, anche se le premesse ed i commenti a caldo non lasciano ben sperare;

c) Le forzature costituzionali, sempre più marcate negli ultimi anni, determinano caos istituzionale e danneggiano le Istituzioni e la credibilità del nostro Paese. Non è certamente una straordinaria prova di democrazia, come il voto popolare, a danneggiare l’Italia nel mondo; sono le scelte sulle Istituzioni, dettate da opportunismo politico e dal vantaggio immediato, che le rendono all’apparenza fragili e poco credibili. Al contrario, il nostro sistema costituzionale, ancora una volta, ha dato prova di coerenza e di equilibrio.

d) Vanno ripristinate le regole costituzionali: la Costituzione è vigente e vincolante fino all’effettiva modifica: non è tollerabile il ripetersi di norme ordinarie, volute dal Governo e avallate dal Parlamento e dal Presidente della Repubblica, in palese contrasto con la Costituzione, solo perché ne è in corso la modifica.

– Non è tollerabile promulgare una legge elettorale per una sola Camera, quando la Costituzione vigente prevedeva e prevede due Camere: oggi ci si trova nella situazione paradossale di dover attendere una sentenza della Corte Costituzionale prima di poter decidere se sussistono le condizioni giuridiche per indire le elezioni della Camera dei Deputati e manca, di fatto, una legge organica per l’elezione del Senato della Repubblica se non la norma sopravvissuta alla sentenza della Corte n. 1/2014 sulla legge elettorale;

– Non è tollerabile intervenire su Enti costitutivi della Repubblica in modo devastante sulle funzioni ed i servizi erogati, sugli equilibri finanziari, sui dipendenti, sul diritto di voto dei cittadini e sulla rappresentanza democratica come è avvenuto con la Legge 56/2014 (legge Delrio) e le successive manovre finanziarie sulle Province: ci si trova adesso con Enti, con competenze fondamentali su viabilità, scuole, ambiente, trasporto pubblico, pianificazione territoriale, privati totalmente di risorse, svuotate di molte professionalità ed in grandissima difficoltà organizzativa ma con le medesime responsabilità amministrative.

Appare evidente l’urgenza di ripristinare il corretto funzionamento delle Istituzioni, ma la inspiegabile “fretta” del Governo di approvare la legge di bilancio 2017, per concentrare l’attenzione sulle manovre politico-elettorali del post referendum, ha impedito di discutere intere parti della manovra, che interessano tutto il sistema delle Autonomie, stralciate dalla discussione svolta alla Camera dei Deputati, con il preciso impegno del Governo di trattarle in Senato, non rispettato in modo irresponsabile. In attesa di interventi urgenti sarà impossibile erogare servizi per il 2017.

Altrettanto urgente è ridiscutere tutte le disposizioni che hanno anticipato “la soppressione” delle Province, creando il caos normativo e istituzionale.

Va ricordato al riguardo che la Corte Costituzionale:

a) ha valutato la legittimità costituzionale della Legge 56/2014 argomentando che “con la legge in esame il legislatore ha inteso realizzare una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di una semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, senza arrivare alla soppressione di quelli previsti in Costituzione. L’intervento − che peraltro ha solo determinato l’avvio della nuova articolazione di enti locali, al quale potranno seguire più incisivi interventi di rango costituzionale − è stato necessariamente complesso” e che “è stato delineato un nuovo modello ordinamentale delle Province (per le quali, tuttavia, è in corso l’approvazione di un progetto − da realizzarsi nelle forme di legge costituzionale − che ne prevede la futura soppressione, con la loro conseguente eliminazione dal novero degli enti autonomi riportati nell’art. 114 Cost., come, del resto, chiaramente evincibile dall’incipit contenuto nel comma 51 dell’art. 1 della legge in esame) (sentenza n. 50/2015)”; argomentazioni superate dopo il referendum;

b) ha ritenuto legittimi i vincoli imposti alle Province dal comma 420 della Legge di stabilità 2015 solo “tenendo conto dell’obiettivo finale e unitario – che la disposizione censurata concorre a perseguire – di progressiva riduzione e razionalizzazione delle spese delle Province, in considerazione della programmata loro soppressione previa cancellazione dalla Carta costituzionale come enti costitutivi della Repubblica” (sentenza n. 143/2016);

– Non è tollerabile intervenire su svariate materie, con norme statali, invadendo l’ambito di competenza regionale, solo in quanto era in corso la riforma costituzionale. Si può ricordare, solo per fare un esempio, la riforma delle politiche attive del lavoro prevista dal D. Lgs. 150/2015.

Il dopo referendum ha aperto un periodo di crisi politica indotta dalla insensata distorsione imposta all’iter della riforma. Oggi il Presidente della Repubblica torna ad essere arbitro e regolatore di questa particolare e, per molti versi inedita, situazione. Quali scenari?

Al di là dei tatticismi dei vari partiti, è evidente l’impossibilità per il Capo dello Stato di decretare subito lo scioglimento delle Camere e di indire le elezioni almeno per due ordini di ragioni tecniche e costituzionali:

a) La legge elettorale della Camera dei Deputati è all’esame della Corte che si pronuncerà a fine gennaio sancendone probabilmente la parziale incostituzionalità; in ogni caso oggi non vi è alcuna coerenza tra le norme vigenti per la Camera e quelle per il Senato. Il Parlamento dovrà quindi innanzitutto intervenire sulla legge elettorale;

b) Esiste una maggioranza parlamentare; il Governo non si è dimesso a seguito di un voto di sfiducia né a seguito di crisi all’interno della coalizione che lo sostiene, ma a seguito del risultato del referendum. Al contrario le dimissioni sono state presentate subito dopo un voto di fiducia del Senato. Il Presidente della Repubblica non può che verificare il permanere della maggioranza parlamentare che possa sostenere il Governo prima di decretare la fine anticipata della legislatura. E la responsabilità principale non può che essere del partito che oggi, anche in virtù della legge elettorale dichiarata incostituzionale, gode di un’ampia maggioranza alla Camera dei Deputati. Il Presidente della Repubblica potrebbe rinviare l’attuale Governo alle Camere per verificare la sussistenza del rapporto di fiducia o attribuire l’incarico di formare un nuovo Governo ad una personalità che possa ottenere il sostegno della maggioranza parlamentare.

c) Soltanto dopo aver esperito i due passaggi e solo dopo avere eventualmente constatato l’impossibilità di raggiungere la maggioranza nei due rami del Parlamento che esprima la fiducia al Governo, si potrà responsabilmente parlare di elezioni.

Non resta che confidare in un recupero di responsabilità dopo che la spregiudicatezza in alcuni passaggi fondamentali della storia recente ha determinato il caos istituzionale; fortunatamente la nostra Costituzione contiene tutte le norme di garanzia che assicurano comunque il funzionamento delle Istituzioni.

Va recuperato però il rispetto delle Istituzioni e delle regole fondamentali del nostro ordinamento che non può più essere relegato solo nelle aule universitarie di diritto costituzionale né è possibile continuare nella irresponsabile azione demolitoria, alimentata dal facile consenso mediatico e dalla sterile e superficiale attività, certamente remunerativa ma di dubbia utilità pubblica, che molti “commentatori” continuano incessantemente a svolgere, senza il benché minimo serio approfondimento.

Il nuovo chiaro messaggio dei cittadini italiani, a distanza di dieci anni, chiaro e forte ora come allora, dovrebbe porre fine alla proliferazione di costituzionalisti improvvisati e di salvifici riformatori.

La nostra seppur breve storia repubblicana e il nostro ordinamento ci offrono le modalità e gli strumenti, anche per adeguare e modernizzare le Istituzioni, anche per rinnovare il patto sociale su cui si fonda la Costituzione. E’ possibile, purché senza arroganza e presunzione, senza alimentare e prefigurare modelli oligarchici di rappresentanza, che vedono la rappresentanza democratica come un ostacolo allo sviluppo, e senza cercare legittimazioni plebiscitarie tanto dannose quanto vane.

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