PROCEDURA PENALE – AVVOCATI – Richiesta di differimento dell’udienza per concomitante impegno professionale – Il difensore deve giustificare l’impossibilità di nominare un sostituto – Giurisprudenza.
Il difensore ha l’onere di corredare la richiesta di differimento dell’udienza per concomitante impegno professionale con la giustificazione della impossibilità di nominare un sostituto, non essendo sufficiente a tal fine la mera affermazione di non potervi provvedere [Sez. 3, n. 19458 del 08/04/2014 (dep. 12/05/2014), Abbati; Sez. 6, n. 20130 del 04/03/2015 (dep. 14/05/2015), Caputi]. Nella specie: il Tribunale ha respinto l’istanza, in quanto non specificate le ragioni per cui debba ritenersi più pressante o urgente la difesa o l’impegno dell’avvocato innanzi al giudice di pace, in difesa peraltro di una parte civile, anziché la difesa degli imputati innanzi al Tribunale.
(Dichiara inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 16/06/2014 della Corte d’Appello di Napoli) Pres. RAMACCI, Rel. MOCCI, Ric. Villani
Per altre sentenze e Giurisprudenza massimata in materia DIRITTO PROCESSUALE – PROCEDURA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 01/09/2016 (ud. 30/06/2016) Sentenza n.36099
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da Villani Antonietta, nata ad Agerola il 28/02/1966
avverso la sentenza del 16/06/2014 della Corte d’Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Mauro Mocci;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonio Balsamo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 gennaio 2012, Antonietta Villani è stata condannata dal Tribunale di Torre Annunziata, sez. distaccata di Gragnano alla pena di mesi due di arresto ed euro 32.000 di ammenda, perché ritenuta responsabile dei reati di cui agli artt. 44 comma 1 ° lett. c) DPR n. 380/2001 nonché 83, e 95 DPR n. 380/2001, per aver realizzato, senza permesso di costruire, nel sottotetto del fabbricato di circa mq. 160, tramezzature e parte del solaio di copertura, al fine di modificare la destinazione d’uso da soffitta a civile abitazione.
2. Su appello dell’imputata, la Corte distrettuale ha confermato la sentenza impugnata. Il giudice di secondo grado, respinte le eccezioni di natura processuale sollevate dalla difesa, ha osservato che il tema del processo era costituito dalla trasformazione del sottotetto da volume tecnico a volume abitabile, in assenza di permesso di costruire. L’eventuale sanatoria amministrativa delle opere abusive nulla avrebbe tolto alla rilevanza penale del fatto.
Ha proposto ricorso per cassazione la Villani, deducendo due motivi [violazione dell’art. 606 comma 1 ° lett. b) ed e) c.p.p.; violazione dell’art. 606 comma 1 ° lett. b) ed e) c.p.p.]
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la prima censura, la ricorrente afferma che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del primo motivo di gravame, derivante dalla violazione dell’art. 420 ter comma 5° c.p.p., giacché era stata respinta l’istanza di rinvio avanzata dall’unico difensore dell’imputata, legittimamente impedito a presenziare alla prima udienza di trattazione avanti il Tribunale. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata del tutto carente, limitandosi a richiamare genericamente quella di primo grado. E la lesione del diritto di difesa si sarebbe vieppiù evidenziata, attraverso l’impossibilità di esercitare alcun concreto diritto alla prova, mentre il processo sarebbe stato celebrato sulla mera acquisizione delle prove di accusa.
2. Con il secondo rilievo, la Villani si duole della mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna. Il richiamo alla finalità speculativa della costruzione non troverebbe alcun concreto aggancio fattuale, dovendo invece la modifica della destinazione d’uso ascriversi a concrete necessità del numeroso nucleo familiare dell’imputata (otto figli).
3. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo s’infrange contro la constatazione, già recepita da questa Corte, che il difensore ha l’onere di corredare la richiesta di differimento dell’udienza per concomitante impegno professionale con la giustificazione della impossibilità di nominare un sostituto, non essendo sufficiente a tal fine la mera affermazione di non potervi provvedere [Sez. 3, n. 19458 del 08/04/2014 (dep. 12/05/2014), Abbati, Rv. 259757; Sez. 6, n. 20130 del 04/03/2015 (dep. 14/05/2015), Caputi, Rv. 263395].
Nessun elemento in tal senso ha addotto la Villani per dimostrare che il proprio difensore aveva esaurientemente corredato la richiesta di differimento con le opportune indicazioni, né l’esame del verbale dell’udienza del 3 novembre 2011 dà conto della suddetta dimostrazione di tal ché la motivazione della Corte del tutto correttamente ha fatto richiamo alle statuizioni sul punto del Tribunale, che ha respinto l’istanza, dando atto che “non specifica le ragioni per cui debba ritenersi più pressante, più urgente per la difesa l’impegno al giudice di pace di Eboli, in difesa peraltro di una parte civile, anziché la difesa degli odierni imputati”.
Quanto poi alla sussistenza ed alla riconducibilità dell’abuso, la sentenza impugnata ha chiarito che l’illecito è riconducibile alla trasformazione del sottotetto in volume abitabile. Le obiezioni volta per volta portate dall’imputata sono totalmente generiche, giacché non hanno alcun contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato. Sono esposti principi generali, del tutto disancorati dalla motivazione della Corte d’Appello, senza neppure chiarire quali fossero gli elementi indiziari che il giudice avrebbe dovuto tenere presenti.
Anche il diniego della non menzione è sufficientemente motivato, attraverso il richiamo all’effetto speculativo – nel senso di un guadagno di volumetria non consentito – della trasformazione edilizia.
In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – in mancanza di elementi che possano far ritenere incolpevole la causa di inammissibilità del ricorso (cfr. Corte Cost., sent. n. 186 del 2000) – al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si stima equo fissare in € 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500 a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 30/06/2016.