Il Consiglio dei Ministri ha approvato nella seduta del 15 giugno 2012, in via preliminare, uno schema di regolamento di attuazione dei principi dettati dall’articolo 3, comma 5, del Decreto Legge n. 138 del 2011 in materia di professioni regolamentate.
Il DPR riguarda tutte le professioni ordinistiche, fatte salve in particolare le specificità di quelle sanitarie.
Lo schema di decreto contiene misure volte a garantire l’effettivo svolgimento dell’attività formativa durante il tirocinio e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione e quindi l’interesse dell’utenza.
È prevista l’obbligatorietà della formazione continua permanente.
La violazione di questi obblighi è sanzionata disciplinarmente.
È stabilita inoltre l’obbligatorietà dell’assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale, della quale deve essere data notizia al cliente.
La funzione disciplinare è affidata ad organi diversi da quelli aventi funzioni amministrative; allo scopo è prevista l’incompatibilità della carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei consigli di disciplina territoriali e nazionali corrispondenti.
La pubblicità informativa è consentita con ogni mezzo e può anche avere ad oggetto, oltre all’attività professionale esercitata, i titoli e le specializzazioni del professionista, l’organizzazione dello studio ed i compensi praticati.
Con l’entrata in vigore del decreto in esame saranno abrogate tutte le norme incompatibili con quelle introdotte dal predetto.
Successivamente, il Governo, entro il 31 dicembre 2012, provvederà a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge che non risultano abrogate per effetto dell’articolo 3, comma 5 bis, del citato Decreto Legge.
Carlo Rapicavoli
Schema di Decreto del Presidente della Repubblica recante “Riforma degli ordinamenti professionali in attuazione dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011 n. 148”
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l’articolo 87, comma quinto, della Costituzione;
Visto l’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto l’articolo dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011 n. 148;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri del …;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del …;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, resi rispettivamente in data … ;
Vista la definitiva deliberazione del Consiglio dei Ministri del … ;
Sulla proposta del Ministro della giustizia;
Emana il seguente regolamento:
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1
(Definizione e ambito di applicazione)
1. Ai fini del presente decreto:
a) per «professione regolamentata» si intende l’attività, o l’insieme delle attività, riservate per espressa disposizione di legge o non riservate, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini o collegi o in ogni caso in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, quando la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità, e, in ogni caso, l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale;
b) per «professionista» si intende l’esercente la professione regolamentata di cui alla lettera a).
2. Il presente decreto si applica alle professioni regolamentate e ai relativi professionisti.
Art. 2
(Accesso ed esercizio dell’attività professionale)
1. Ferma la disciplina dell’esame di Stato e fermo quanto previsto dal presente articolo, l’accesso alle professioni regolamentate è libero. Sono vietate limitazioni alle iscrizioni agli albi professionali, quando esistenti, che non sono fondate su espresse previsioni inerenti al possesso o al riconoscimento dei titoli previsti dalla legge per la qualifica e l’esercizio professionale, ovvero alla mancanza di condanne penali o disciplinari irrevocabili o ad altri motivi imperativi di interesse generale.
2. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico. La formazione di albi speciali, legittimanti a specifici esercizi dell’attività professionale, fondati su specializzazioni ovvero titoli o esami ulteriori, è ammessa solo su previsione espressa di legge.
3. Non sono ammesse limitazioni, in qualsiasi forma, anche attraverso previsioni deontologiche, del numero di persone titolate a esercitare la professione, con attività anche abituale e prevalente, su tutto o parte del territorio dello Stato, salve deroghe espresse fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute. Sono fatti salvi gli obblighi e i limiti di prestazione professionale in una determinata area geografica, parimenti fondati su ragioni di interesse pubblico, stabiliti per l’esercizio dell’attività notarile. Sono altresì fatte salve le limitazioni derivanti dall’attività assunta alle dipendenze di enti o di altri professionisti, funzionali alle finalità degli enti e al rapporto contrattuale con i professionisti.
4. Sono in ogni caso vietate limitazioni discriminatorie anche indirette, all’accesso e all’esercizio della professione, fondate sulla nazionalità del professionista o sulla sede legale dell’associazione professionale o della società tra professionisti.
Art. 3
(Albo unico nazionale)
1. Gli albi territoriali relativi alle singole professioni regolamentate, tenuti dai rispettivi consigli dell’ordine o del collegio territoriale, sono pubblici e recano l’anagrafe di tutti iscritti, con l’annotazione dei provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti.
2. L’insieme degli albi territoriali di ogni professione costituisce l’albo unico nazionale degli iscritti, tenuto dal consiglio nazionale competente. I consigli territoriali forniscono senza indugio per via telematica ai consigli nazionali tutte le informazioni rilevanti ai fini dell’aggiornamento dell’albo unico nazionale.
Art. 4
(Libera concorrenza e pubblicità informativa)
1. E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.
2. Le informazioni pubblicitarie di cui al comma 1 devono essere funzionali all’oggetto, veritiere e corrette, non devono violare l’obbligo del segreto professionale e non devono essere equivoche, ingannevoli o denigratorie.
3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare.
Art. 5
(Obbligo di assicurazione)
1. Il professionista è tenuto a stipulare, anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali degli ordini o collegi o da associazioni professionali o da casse o enti di previdenza, idonea assicurazione per i danni derivanti dall’esercizio dell’attività professionale, comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva.
2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 costituisce illecito disciplinare.
Art. 6
(Tirocinio per l’accesso)
1. Il tirocinio professionale, obbligatorio e della durata di diciotto mesi, consiste nell’addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante, finalizzato a conseguire le capacità necessarie per l’esercizio e la gestione organizzativa della professione.
2. Presso il consiglio dell’ordine o del collegio territoriale è tenuto il registro dei praticanti, l’iscrizione al quale è condizione per lo svolgimento del tirocinio professionale. Ai fini dell’iscrizione nel registro dei praticanti è necessario aver conseguito la laurea o il diverso titolo di istruzione previsti dalla legge per l’accesso alla professione regolamentata, ferme restando le altre disposizioni previste dall’ordinamento universitario.
3. Il professionista affidatario deve avere almeno cinque anni di anzianità, è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo funzionale alla sua finalità e non può assumere la funzione per più di tre praticanti contemporaneamente, salva la motivata autorizzazione rilasciata dal competente consiglio territoriale previa valutazione dell’attività professionale del richiedente e dell’organizzazione del suo studio.
4. Il tirocinio può essere svolto, in misura non superiore a sei mesi, presso enti o professionisti di altri Paesi con titolo equivalente e abilitati all’esercizio della professione. Il tirocinio può essere altresì svolto per i primi sei mesi, in presenza di specifica convenzione quadro tra il consiglio nazionale, il ministro dell’istruzione, università e ricerca, e il ministro vigilante, in concomitanza con l’ultimo anno del corso di studio per il conseguimento della laurea necessaria. I consigli territoriali e le università pubbliche e private possono stipulare convenzioni, conformi a quella di cui al periodo precedente, per regolare i reciproci rapporti.
5. Lo svolgimento del tirocinio è incompatibile con qualunque rapporto di impiego pubblico. Il tirocinio può essere svolto contestualmente ad attività di lavoro subordinato privato, purché con modalità e orari idonei a consentirne l’effettivo svolgimento. Sul rispetto di tale disposizione vigila il locale consiglio dell’ordine o collegio.
6. Il tirocinio professionale non determina l’instaurazione di rapporto di lavoro subordinato anche occasionale, fermo quanto disposto dall’art. 9, comma 4, ultimo periodo, del decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n. 27.
7. L’interruzione del tirocinio per oltre sei mesi, senza giustificato motivo, comporta l’inefficacia, ai fini dell’accesso, di quello previamente svolto.
8. I praticanti osservano gli stessi doveri e norme deontologiche dei professionisti e sono soggetti al medesimo potere disciplinare.
9. Il tirocinio, oltre che nella pratica svolta presso uno studio professionale, consiste altresì nella frequenza obbligatoria e con profitto, per un periodo non inferiore a sei mesi, di specifici corsi di formazione professionale organizzati da ordini o collegi o associazioni di iscritti agli albi, nonché dagli altri soggetti autorizzati dai ministri vigilanti.
10. Il ministro vigilante, sentito il consiglio nazionale dell’ordine o collegio, disciplina con regolamento, da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto:
a) le modalità e le condizioni per l’istituzione dei corsi di formazione di cui al comma 9, in modo da garantire la libertà e il pluralismo dell’offerta formativa e della relativa scelta individuale;
b) i contenuti formativi essenziali dei corsi di formazione;
c) la durata minima dei corsi di formazione, prevedendo un carico didattico non inferiore a duecento ore;
d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione da parte del praticante nonché quelle per le verifiche intermedie e finale del profitto, affidate a una commissione composta da professionisti e docenti universitari, in pari numero, e presieduta da un docente universitario, in modo da garantire omogeneità di giudizio su tutto il territorio nazionale. Ai componenti della commissione non sono riconosciuti compensi, indennità o gettoni di presenza.
11. Il ministro vigilante, previa verifica, su indicazione del consiglio nazionale dell’ordine o collegio, dell’idoneità dei corsi organizzati a norma del comma 9 sul territorio nazionale, dichiara la data a decorrere dalla quale la disposizione di cui al medesimo comma è applicabile al tirocinio.
12. Il consiglio dell’ordine o collegio presso il quale è compiuto il tirocinio rilascia il relativo certificato. Il certificato perde efficacia decorsi cinque anni senza che segua il superamento dell’esame di Stato quando previsto.
13. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai tirocini iniziati dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 7
(Formazione continua)
1. Al fine di garantire la qualità ed efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse dell’utente e della collettività, e per conseguire l’obiettivo dello sviluppo professionale, ogni professionista ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale. La violazione dell’obbligo di cui al periodo precedente costituisce illecito disciplinare.
2. Il ministro vigilante, sentito il consiglio nazionale dell’ordine o collegio, disciplina con regolamento, da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto:
a) le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti e per la gestione e l’organizzazione dell’attività di aggiornamento a cura degli ordini o collegi territoriali, delle associazioni professionali e di soggetti autorizzati dal ministro vigilante;
b) i requisiti minimi, uniformi su tutto il territorio nazionale, dei corsi di aggiornamento;
c) il valore del credito formativo professionale quale unità di misura della formazione continua.
3. Con apposite convenzioni stipulate tra i consigli nazionali e le università possono essere stabilite regole comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi professionali e universitari. Con appositi regolamenti comuni, da approvarsi previo parere favorevole dei ministri vigilanti, i consigli nazionali possono individuare crediti formativi professionali interdisciplinari e stabilire il loro valore.
4. L’attività di formazione è svolta dagli ordini e collegi anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti.
5. Le regioni, nell’ambito delle potestà a esse attribuite dall’articolo 117 della Costituzione, possono disciplinare l’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale.
6. Resta ferma la normativa vigente sull’educazione continua in medicina (ECM).
Art. 8
(Incompatibilità)
1. L’esercizio dell’attività professionale è incompatibile esclusivamente con le attività che ne pregiudicano l’autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico.
2. Restano ferme le incompatibilità previste dalla disciplina del lavoro pubblico dipendente e quelle inerenti alla professione di notaio.
Art. 9
(Disposizioni sul procedimento disciplinare delle professioni regolamentate diverse da quelle sanitarie)
1. Presso i consigli dell’ordine o collegio territoriale delle professioni regolamentate diverse da quelle sanitarie, sono istituiti consigli di disciplina territoriali cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all’albo.
2. I consigli di disciplina territoriali di cui al comma 1 sono composti da 3 consiglieri e 2 consiglieri supplenti. Nel caso di cui al comma 3, secondo periodo, i consigli di disciplina territoriali sono composti da 9 consiglieri e 3 supplenti ovvero, quando i componenti del consiglio dell’ordine o collegio competente sono in numero inferiore a 12, sono composti da 6 consiglieri e 3 supplenti. I collegi sono composti da 3 consiglieri e sono presieduti dal componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo.
3. I consigli di disciplina territoriali di cui al comma 1 sono composti dai componenti del consiglio dell’ordine o collegio territoriale viciniore diversi dal presidente, designati dal presidente stesso secondo l’anzianità di iscrizione all’ordine o collegio. Per i consigli dell’ordine o collegio situati nei comuni sedi di corti di appello, sono competenti i consigli dell’ordine o collegio che hanno sede nei comuni individuati secondo le corrispondenti competenze di cui all’articolo 11 del codice di procedura penale. Fuori dei casi di cui al periodo precedente, il consiglio dell’ordine o collegio viciniore di cui al primo periodo è individuato, tenuto anche conto della distribuzione territoriale degli iscritti all’albo, con regolamento deliberato dal consiglio nazionale dell’ordine o collegio, previo parere favorevole del ministro vigilante, entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto. La nomina di cui al primo periodo avviene entro 30 giorni da quella a consigliere del relativo ordine o collegio territoriale. La carica di consigliere dell’ordine o collegio territoriale e la carica di consigliere del corrispondente consiglio di disciplina territoriale sono in ogni caso incompatibili. Gli ordinamenti professionali possono prevedere ulteriori incompatibilità dirette ad assicurare la terzietà del consiglio di disciplina.
4. Le funzioni di presidente del consiglio di disciplina territoriale sono svolte dal componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo. Le funzioni di segretario sono svolte dal componente con minore anzianità di iscrizione all’albo.
5. Il presidente del consiglio dell’ordine o collegio di cui al comma 3, primo periodo, provvede alla immediata sostituzione dei componenti che siano venuti meno a causa di decesso, dimissioni o altra ragione.
6. I consigli di disciplina territoriale restano in carica per il medesimo periodo dei consigli dell’ordine o collegio territoriale.
7. Presso i consigli nazionali dell’ordine o collegio che decidono in via amministrativa sulle questioni disciplinari, sono istituiti consigli di disciplina nazionali cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari precedentemente assegnate alla competenza dei medesimi consigli nazionali.
8. I consigli di disciplina nazionali di cui al comma 7 sono composti da 9 consiglieri e 3 consiglieri supplenti, e i collegi sono composti da 3 consiglieri presieduti dal componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo. La carica di consigliere nazionale dell’ordine o collegio e di consigliere del corrispondente consiglio di disciplina nazionale sono in ogni caso incompatibili. Gli ordinamenti professionali possono prevedere ulteriori incompatibilità dirette ad assicurare la terzietà del consiglio di disciplina.
9. Le funzioni di presidente del consiglio di disciplina nazionale sono svolte dal componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo. Le funzioni di segretario sono svolte dal componente con minore anzianità di iscrizione all’albo.
10. Sono nominati componenti dei consigli nazionali di disciplina di cui al comma 7, titolari e di seguito supplenti, i primi non eletti alla carica di consigliere nazionale dell’ordine o collegio che abbiano riportato il maggior numero di preferenze e, in caso di parità di voti, da quelli con maggiore anzianità di iscrizione all’albo. In caso di voti di lista non nominativi, sono nominati i primi non eletti all’interno della lista che ha riportato il maggior numero di voti. Resta salva la facoltà dei componenti eletti al consiglio nazionale dell’ordine o collegio di optare, entro 30 giorni dalla elezione, per la nomina a consigliere del consiglio nazionale di disciplina. Nel caso di cui al periodo precedente, per la nomina dei consiglieri del consiglio nazionale dell’ordine o collegio si applicano le vigenti disposizioni elettorali. La proclamazione della nomina dei componenti dei consigli nazionali di disciplina avviene da parte del ministro vigilante all’esito della comunicazione senza indugio della necessaria documentazione da parte dei rispettivi consigli nazionali che risolvono ogni contrasto anche sugli esiti delle elezioni ai fini delle nomine dei componenti dei consigli di disciplina. Si applicano le disposizioni vigenti in materia di controversie elettorali.
11. Alla sostituzione dei componenti che siano venuti meno a causa di decesso, dimissioni o altra ragione, provvede il ministro vigilante, su proposta formulata senza indugio dal consiglio nazionale dell’ordine o collegio.
12. Per l’attuazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti i consigli nazionali dell’ordine o collegio emanano regolamenti attuativi, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente regolamento, previo parere favorevole del ministro vigilante.
13. I consigli di disciplina nazionali restano in carica per il medesimo periodo dei consigli nazionali dell’ordine o collegio.
14. Fino all’insediamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali di cui ai commi precedenti, le funzioni disciplinari restano regolate dalle disposizioni vigenti.
15. Restano ferme le altre disposizioni in materia di procedimento disciplinare delle professioni regolamentate, e i riferimenti ai consigli dell’ordine o collegio si intendono riferiti, in quanto applicabili, ai consigli di disciplina.
16. Il ministro vigilante può procedere al commissariamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali per gravi e ripetuti atti di violazione della legge, ovvero in ogni caso in cui non sono in grado di funzionare regolarmente. Il commissario nominato provvede, su disposizioni del ministro vigilante, a quanto necessario ad assicurare lo svolgimento delle funzioni dell’organo fino al successivo mandato, con facoltà di nomina di componenti, tra gli iscritti all’albo, che lo coadiuvano nell’esercizio delle funzioni predette.
17. Alle professioni sanitarie continua ad applicarsi la disciplina vigente.
18. Restano altresì ferme le disposizioni vigenti in materia disciplinare concernenti la professione di notaio.
CAPO II
DISPOSIZIONI CONCERNENTI GLI AVVOCATI
Art. 10
(Domicilio professionale)
1. L’avvocato deve avere un domicilio professionale nell’ambito del circondario di competenza territoriale dell’ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.
Art. 11
(Disposizioni speciali sul tirocinio forense per l’accesso)
1. Fermo in particolare quanto disposto dall’articolo 6, commi 3 e 4, il tirocinio può essere svolto presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico o di ente privato autorizzato dal ministro della giustizia o presso un ufficio giudiziario, per non più di dodici mesi.
2. Il tirocinio deve in ogni caso essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico o di un ente privato autorizzato dal ministro della giustizia.
3. Fermo quanto previsto dal comma 2, il diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del tirocinio per l’accesso alla professione di avvocato per il periodo di un anno. In tal caso non si applica l’articolo 6 comma 9.
4. Il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio. Il consiglio dell’ordine autorizza il trasferimento, valutati i motivi che lo giustificano, e rilascia al praticante un certificato attestante il periodo di tirocinio che risulta regolarmente compiuto.
5. L’attività di praticantato presso gli uffici giudiziari è disciplinata da specifico decreto, da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dal ministro della giustizia, sentiti il consiglio superiore della magistratura e il consiglio nazionale forense. I praticanti presso gli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio, e ad essi si applica l’articolo 15 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell’ufficio giudiziario redige una relazione sull’attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa al consiglio dell’ordine competente. Ai soggetti previsti dal presente comma non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. Fino all’emanazione del decreto di cui al primo periodo, continua ad applicarsi, al riguardo, la disciplina del praticantato vigente al momento di entrata in vigore del presente decreto.
6. Il praticante avvocato è ammesso a sostenere l’esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. Quando il tirocinio è stato svolto per uguali periodi sotto la vigilanza di più consigli dell’ordine aventi sede in distretti diversi, la sede di esame è determinata in base al luogo di svolgimento del primo periodo di tirocinio.
CAPO III
DISPOSIZIONI CONCERNENTI I NOTAI
Art. 12
(Accesso alla professione notarile)
1. Possono ottenere la nomina a notaio tutti i cittadini italiani e i cittadini dell’Unione Europea che siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 5 della legge 16 febbraio 1913 n. 89, compreso il superamento del concorso notarile, fermo il diritto dei cittadini dell’Unione Europea che, in difetto del possesso dei requisiti di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 5 della legge 16 febbraio 1913 n. 89, abbiano superato il concorso notarile al quale abbiano avuto accesso a seguito di riconoscimento del titolo professionale di notaio conseguito in altro Stato membro dell’Unione Europea.
2. Il diploma di specializzazione, conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica per l’accesso alla professione di notaio per il periodo di un anno. In tal caso non si applica l’articolo 6 comma 9.
CAPO IV
DISCIPLINA TRANSITORIA, ABROGAZIONI ED ENTRATA IN VIGORE
Art. 13
(Disposizione temporale)
1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano dal giorno successivo alla data di entrata in vigore dello stesso.
2. Sono abrogate tutte le disposizioni regolamentari e legislative incompatibili con le previsioni di cui al presente decreto, fermo quanto previsto dall’articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, e successive modificazioni.
Art. 14
(Entrata in vigore)
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Il Presidente della Repubblica
Visto, il Guardasigilli
Relazione illustrativa sullo Schema di Decreto del Presidente della Repubblica recante “Riforma degli ordinamenti professionali in attuazione dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148”.
1. Quadro normativo – L’intervento normativo di riforma degli ordinamenti professionali trova fondamento in un contesto di legislazione primaria modificatosi in un breve arco temporale, nell’ambito del quale si sono succedute le seguenti disposizioni:
– l’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, norma con la quale sono stati fissati principi ai quali devono necessariamente conformarsi tutte le professioni regolamentate;
– l’articolo 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)”, che, in materia di ‘Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti’, ha modificato l’articolo 3, comma 5, alinea, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, introducendo lo strumento normativo attraverso il quale effettuare la riforma degli ordinamenti professionali, individuato nel regolamento di delegificazione di cui all’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400; è stato altresì previsto, dalla stessa disposizione, che le norme vigenti sugli ordinamenti siano abrogate con effetto dall’entrata in vigore del regolamento governativo;
– l’articolo 33 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, con cui sono stati regolati (introducendo un comma 5-bis, di seguito al comma 5 dell’articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138) i tempi di attuazione della normativa secondaria di delegificazione, stabilendo che le leggi professionali sarebbero state abrogate ‘in ogni caso’ dalla data del 13 agosto 2012, ovvero, solo se anteriore, dalla data di adozione dei regolamenti; con la stessa norma l’effetto abrogante è stato limitato alle sole disposizioni in contrasto con i principi – i.e. autoesecutivi – formulati dall’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 che li aveva introdotti; con il medesimo articolo 33 è stata espressamente conferita al Governo la facoltà di raccogliere, entro il 31.12.2012, in un testo unico da emanare ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400, le disposizioni da considerarsi in vigore a seguito dell’avvenuta riforma (è stato così introdotto il comma 5-ter, di seguito al comma 5-bis dell’articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138);
– l’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, con il quale: è stato integralmente abrogato il sistema delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico; sono stabilite le modalità di pattuizione del compenso per le prestazioni professionali e fissati obblighi informativi in favore del cliente, con la previsione di un preventivo di massima; è stata prevista in diciotto mesi la durata massima del tirocinio per l’accesso alle professioni e stabilita la possibilità che i primi sei mesi di tirocinio possano essere svolti in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea; è stato modificato l’articolo 3, comma 5, nelle parti incompatibili con le nuove disposizioni immediatamente precettive.
2. Principi di delegificazione – Individuata nei regolamenti di delegificazione la modalità normativa attraverso cui provvedere alla voluta liberalizzazione delle professioni, in un più ampio contesto di norme finalizzate all’eliminazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche, i principi cui conformare l’attività normativa secondaria, a seguito delle modificazioni nel tempo succedutesi e per effetto della rilegificazione di alcune materie, sono i seguenti:
– l’accesso alla professione deve essere libero e fondato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista; il numero chiuso, su base territoriale, è consentito solo per particolari ragioni di interesse pubblico (come ad esempio la tutela della salute umana), ma alcuna limitazione può fondarsi su discriminazioni dirette o indirette basate sulla nazionalità, ovvero sulla ubicazione della sede della società professionale;
– la formazione continua permanente è obbligatoria ed è sanzionata disciplinarmente la violazione di tale obbligo;
– il tirocinio per l’accesso deve avere (per disposizione di norma primaria) durata non superiore ai diciotto mesi e deve garantire l’effettivo svolgimento dell’attività formativa ed il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione;
– l’assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale è obbligatoria e di essa deve essere data notizia al cliente;
– la funzione disciplinare deve essere affidata ad organi diversi da quelli aventi funzioni amministrative; allo scopo è prevista l’incompatibilità della carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei consigli di disciplina territoriali e nazionali.
– la pubblicità informativa deve essere consentita con ogni mezzo e può anche avere ad oggetto, oltre all’attività professionale esercitata, i titoli e le specializzazioni del professionista, l’organizzazione dello studio ed i compensi praticati.
3. Compatibilità con il sistema costituzionale –
La compatibilità con il sistema costituzionale delle fonti dello strumento attuativo dei principi di delegificazione sopra esposti deve essere valutato tenendo conto, da un lato, della materia trattata (professioni) e, dall’altro, dei limiti che la legge assegna ai regolamenti di delegificazione (materie non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione).
Sotto il primo profilo, va rilevato che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione individua, tra le materie di legislazione concorrente, le professioni, cosicché si pone in astratto il problema della competenza ad emanare regolamenti (anche di delegificazione), considerato che la potestà regolamentare spetta alle Regioni in materie diverse da quelle di legislazione esclusiva (articolo 117, comma 6, Cost.).
Il problema della legittimità dell’attività normativa di delegificazione, in materia di professioni, va valutato avuto riguardo al più ampio contesto sistematico in cui si colloca la normativa che ha introdotto i principi di liberalizzazione enunciati. Le norme del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, sono ispirate dall’esigenza di incentivare lo sviluppo economico, da attuarsi mediante la piena tutela della concorrenza tra imprese. A tal fine viene dettata una normativa, che, complessivamente ispirata al principio della libertà d’impresa, realizza l’abrogazione delle indirette restrizioni all’accesso ed all’esercizio delle professioni e delle attività economiche.
La materia della professioni viene dunque presa in esame, nel più ampio quadro delle attività che costituiscono esplicazione dell’autonomia economica privata, quale settore, la cui liberalizzazione mira indirettamente alla tutela della concorrenza, espressamente rimessa alla legislazione esclusiva dello Stato dalla lettera e) del secondo comma dell’articolo 117 Cost. La lettura della normativa in questine, in chiave di garanzia della libera concorrenza e del mercato aperto, è favorita dalla pacifica qualificazione delle attività delle libere professioni quali servizi (articolo 57, par. 2, lett. d), TFUE), la cui prestazione non può essere soggetta a restrizione alcuna (articolo 56 TFUE).
Va da ultimo osservato sul punto che la disciplina sulle professioni ha, per taluni aspetti, un suo carattere necessariamente unitario. In tal caso, la competenza concorrente delle Regioni è destinata a lasciare il passo al solo intervento statale (il principio è stato affermato dalla Corte costituzione in relazione alla individuazione di nuove figure professionali, che non può essere rimessa alla normativa regionale: v. C. cost. n. 153/2006 e n. 57/2007). La medesima esigenza di unitarietà della disciplina può essere senz’altro avvertita per le materie (accesso, tirocinio, formazione continua, assicurazione dai rischi professionali, disciplinare, pubblicità commerciale) rimesse alla delegificazione, trattandosi con evidenza di profili ordinamentali che non hanno uno specifico collegamento con la realtà regionale (da cui la Corte costituzionale fa derivare la natura concorrente) e che impongono piuttosto una uniforme regolamentazione sul piano nazionale.
Il secondo profilo di compatibilità costituzionale dei regolamenti di delegificazione attiene al previsto limite della riserva assoluta di legge.
L’alinea del comma 5 dell’articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, premette espressamente, prima di dare mandato al Governo per la riforma degli ordinamenti, secondo i principi enunciati, la salvezza dell’esame di Stato di cui all’articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l’accesso alle professioni. Ne deriva pertanto che i regolamenti di delegificazione non investono la riforma dell’accesso sotto il profilo della eliminazione o modificazione dell’esame di Stato.
Altro aspetto, non suscettibile di costituire oggetto di delegificazione, deve essere considerato quello relativo alla istituzione degli organi di disciplina nei limiti così specificati.
La lettera f) dell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, muovendo dal presupposto di rimuovere un ostacolo ad un adeguato accesso alle professioni, stabilisce l’istituzione di organi locali e nazionali “diversi da quelli aventi funzioni amministrative”, ai quali affidare “l’istruzione e la decisione” delle questioni disciplinari”, e prevede una ragione di incompatibilità tra la carica di consigliere dell’ordine e quella di membro dei costituendi consigli di disciplina. La previsione richiamata si rivolge, in effetti, in modo del tutto indifferenziato, ad ogni consiglio locale e nazionale di ciascuna professione considerata, escludendo le sole professioni sanitarie.
La norma primaria detta dunque un criterio di delegificazione che non sembra tener conto della natura della competenza disciplinare di quegli ordini professionali per i quali le funzioni in materia disciplinare sono previste dal legislatore alla stregua di una vera e propria competenza giurisdizionale (è il caso, a titolo di esempio, degli architetti, degli avvocati, dei chimici, dei geometri, degli ingegneri, dei periti industriali). E’ noto che le funzioni giudiziarie dei consigli nazionali sono ritenute compatibili con la Costituzione per la conservazione delle giurisdizioni speciali esistenti al 1° gennaio 1948 (VI disp. trans. e fin Cost.: il termine previsto per la revisione delle giurisdizioni speciali non è considerato perentorio da Corte cost. n. 284/1986).
La costituzione prevede che la materia della giurisdizione non possa venir disciplinata se non ad opera della legge ordinaria (l’articolo 108 della Carta dispone: “Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni altra magistratura sono stabilite con legge”). Si tratta di una tipica ipotesi di riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, con la conseguenza che non può ritenersi che la previsione di legge abbia abilitato il Governo a regolamentare anche le funzioni giurisdizionali dei Consigli dell’ordine nazionali, dovendosi concludere che il regolamento sia sprovvisto, a riguardo, di ogni potestà d’intervento. Corollario di tale assunto è che la lettera f) dell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, può riferirsi in effetti ai soli procedimenti disciplinari rimessi alla competenza di consigli che decidono in via amministrativa (come nel caso dei commercialisti ed esperti contabili: cfr. in motivazione, Cass. n. 30785 del 2011).
4. Tecnica dell’intervento normativo e struttura del testo – Lo schema di decreto che si illustra è destinato a riformare, nei limiti dei principi indicati dalla legge, tutte le professioni regolamentate siano quindi esse esercitate da professionisti iscritti in ordini che da quelli organizzati in collegi. I riferimenti ai soli ‘ordini professionali’ contenuti nell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, devono considerarsi estensibili alle professioni organizzate per ‘collegi professionali’, trattandosi di distinzione meramente terminologica idonea solo in via tendenziale a distinguere quelle professioni per le quali è richiesto per l’iscrizione all’albo un titolo di studio non inferiore alla laurea (ordini) da quelle per le quali è sufficiente un diploma di scuola secondaria superiore (collegi).
L’intervento normativo non opera mediante la tecnica della novellazione delle attuali fonti normative vigenti sugli ordinamenti professionali, ma si realizza attraverso disposizioni di carattere generale destinate ad incidere su ogni singolo ordinamento, determinando l’abrogazione delle norme ivi contenute interpretativamente incompatibili.
Ne deriva una struttura dell’articolato, unico per tutte le professioni, ripartito in quattro Capi, il primo dei quali reca disposizioni generali, mentre gli ulteriori capi contengono alcune necessarie disposizioni specifiche relative a singole categorie professionali.
5. Contenuto del decreto – Il Capo I (articoli 1-9) si apre con una disposizione contenente la definizione di ‘professione regolamentata’ e di ‘professionista’ (articolo 1).
La professione regolamentata è definita in senso ampio come l’attività, o l’insieme delle attività, riservate o meno, il cui esercizio è consentito a seguito di iscrizione in ordini, collegi, albi o registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, allorché l’iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento di specifiche professionalità. A tali professioni si applicano le disposizioni del decreto di riforma, salve le deroghe contenute nella legge di delegificazione per le professioni sanitarie sia in tema di formazione continua permanente che in materia di istituzione di organi disciplinari.
La norma fa espresso riferimento all’ipotesi della riservatezza dell’attività, limitandola ai soli casi espressamente previsti dalla legge. Nei restanti casi, pertanto, nessuna attività sarà riservata.
L’articolo 2, in tema di accesso ed esercizio dell’attività professionale, conferma i principi contenuti nella norma di delegificazione sulla libertà di accesso alle professioni regolamentate e sul correlativo divieto di limitazione alla iscrizione agli albi professionali se non in forza di previsioni inerenti il possesso o il riconoscimento dei titoli previsti per l’esercizio della professione. Limitazioni possono essere consentite dalla presenza di condanne penali o disciplinari irrevocabili.
Nella stessa disposizione è affermato il principio della libertà dell’esercizio delle professione, fondato su autonomia di giudizio intellettuale e tecnico. Il principio è ripreso nella previsione sulla portata delle incompatibilità nell’esercizio della professione (art. 8).
Il comma 3 dell’articolo 2 sviluppa il divieto, contenuto nella legge di delegificazione, di introdurre limitazioni del numero di persone abilitate ad esercitare la professione su tutto o parte del territorio dello Stato (salve deroghe fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute). Restano fermi gli obblighi dei notai di prestare attività professionale in una determinata area geografica, giustificati da ragioni di interesse pubblico. Sono altresì tenute ferme le specifiche disposizioni riguardanti i notai e dunque, in particolare, quelle dettagliate all’articolo 12 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazioni della legge 24 marzo 2012 n. 27.
Limitazioni spaziali strettamente funzionali all’esercizio della professione sono poi previste per le attività professionali svolte alle dipendenze di enti o altri professionisti.
Il comma 4 dell’articolo 2 ribadisce il divieto di limitazioni discriminatorie all’accesso e all’esercizio della professione, fondate sulla nazionalità del professionista o sulla sede legale della società.
L’articolo 3 afferma il principio della pubblicità degli albi professionali territoriali, il cui insieme costituisce l’albo unico nazionale degli iscritti, che è tenuto dal consiglio nazionale di ciascun ordine o collegio. Gli albi territoriali, i cui dati è previsto che siano trasmessi telematicamente, ai fini dell’aggiornamento, all’albo unico nazionale, svolgono funzione di raccolta dei dati anagrafici degli iscritti e recano le annotazioni dei provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti.
L’articolo 4 dà attuazione all’articolo 3, comma 5, lettera g), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, disciplinando, in chiave di incentivazione della concorrenza, la pubblicità informativa dell’attività professionale. Nel concetto di pubblicità informativa, previsto dalla norma di delega, deve comprendersi, logicamente, la pubblicità comparativa in termini assoluti e non quella comparativa in senso stretto, tradotta con raffronti relativi ad altri specifici professionisti. Tale pubblicità è ammessa con ogni mezzo e può concernere anche le specializzazioni ed i titoli posseduti dal professionista, l’organizzazione dello studio professionale, nel senso della sua composizione, nonché i compensi richiesti per le prestazioni.
Le informazioni rese mediante pubblicità devono essere strettamente funzionali all’oggetto, in tal modo assorbendosi ogni necessità di riferimenti ambigui alla dignità e al decoro professionale, devono rispettare criteri di veridicità e correttezza e non possono essere equivoche, ingannevoli o denigratorie, né, logicamente, devono violare l’obbligo del segreto professionale. La pubblicità scorretta ed ingannevole integra per il professionista che l’ha adottata illecito disciplinare.
L’articolo 5 definisce i confini dell’obbligo, cui è tenuto il professionista, di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività. Viene precisato in particolare che oggetto dell’assicurazione è anche il danno connesso alla custodia di documenti o valori ricevuti dal cliente. L’obbligo assicurativo è affiancato da un obbligo informativo del cliente circa gli estremi della polizza, il massimale e le variazioni eventuali delle condizioni.
L’articolo 6 disciplina la materia del tirocinio per l’accesso alla professione di cui all’articolo 3, comma 5, lettera c), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138. La materia è stata in parte rilegificata da un duplice intervento: – l’articolo 33, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha ridotto tra tre anni a diciotto mesi la durata massima del tirocinio; – l’articolo 9, comma 6, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, ha ribadito, con norma immediatamente precettiva, la durata massima del tirocinio per l’accesso alle professioni; ha stabilito la possibilità che, per i primi sei mesi, il tirocinio possa essere svolto in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, sulla base di convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; ha escluso la pregressa previsione di un compenso per il tirocinante.
Il residuo ambito di delegificazione riguarda pertanto l’aspetto relativo all’effettivo svolgimento dell’attività formativa del tirocinante e l’adeguamento costante in funzione della garanzia di adeguatezza del servizio professionale da prestare.
Entro questi limiti, l’articolo 6: ribadisce l’obbligatorietà del tirocinio e la sua durata massima di diciotto mesi; definisce il tirocinio come addestramento a contenuto teorico-pratico finalizzato a conseguire le capacità necessarie per l’esercizio della professione e la gestione organizzativa dello studio professionale; pone l’iscrizione nel registro dei praticanti (tenuto presso l’ordine o il collegio) territoriale quale condizione per lo svolgimento del tirocinio; stabilisce, al fine di rendere effettiva ed adeguata la formazione, il requisito di cinque anni di anzianità per il professionista affidatario ed il tetto di tre praticanti contemporaneamente (salva deroga per autorizzazione del consiglio dell’ordine o collegio competente); introduce la possibilità che il tirocinio possa essere svolto, per un periodo non superiore a sei mesi, presso enti o professionisti di altri Paesi; ribadisce la possibilità che, per i primi sei mesi, il tirocinio possa essere svolto in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, sulla base di convenzioni tra i consigli nazionali competenti ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; è stabilita, in funzione dell’effettività del tirocinio, l’incompatibilità (assoluta) con qualunque rapporto di impiego pubblico e la compatibilità (relativamente alla possibilità di garantire un effettivo ed adeguato tirocinio) con un contestuale lavoro subordinato privato; è esclusa la configurabilità dell’attività di tirocinio come rapporto di lavoro subordinato, salva la corresponsione di un equo indennizzo previsto dall’articolo 9, comma 4, ultimo periodo, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1; ancora in funzione della serietà della preparazione, l’interruzione del tirocinio per oltre sei mesi senza giustificato motivo è previsto che determini l’inefficacia del periodo già svolto ai fini dell’adempimento dell’obbligo formativo; la soggezione dei praticanti alle norme deontologiche dei professionisti abilitati ed al medesimo regime disciplinare; sono individuate, quali modalità di tirocinio obbligatorie, la pratica svolta presso lo studio professionale e la frequenza obbligatoria di specifici corsi di formazione professionale organizzati dagli ordini o dai collegi, nonché da associazioni o enti autorizzati dai ministri vigilanti; correlativamente il ministro vigilante, sentiti i consigli dell’ordine o collegio, emana un regolamento concernente: a) le modalità e le condizioni per l’istituzione dei corsi di formazione (con l’obiettivo espresso di garantire libertà e pluralismo dell’offerta formativa); b) i contenuti formativi essenziali; c) la durata minima dei corsi con carico didattico minimo non inferiore a duecento ore; d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione, nonché per la verifica intermedia e finale del profitto, affidate ad una commissione di professionisti o docenti universitari (in modo da garantire omogeneità di giudizio sull’intero territorio nazionale); ancora al ministro vigilante è rimessa la verifica dell’idoneità dei corsi di formazione e la dichiarazione della data a decorrere dalla quale il corso di formazione diviene operativo ai fini del tirocinio; sono rimesse al consiglio dell’ordine o del collegio poteri di certificazione sul tirocinio; è infine stabilita l’inefficacia del periodo di formazione svolto nel caso in cui l’esame di Stato non venga superato nei cinque anni successivi alla chiusura del periodo; si chiarisce che le disposizioni in parola si applicano ai tirocini iniziati dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto. L’articolo 7 regola la formazione continua permanente con la finalità di garantire qualità ed efficienza della prestazione professionale e sviluppo della professione, anche a tutela degli interessi degli utenti e della collettività cui è rivolto il servizio professionale. E’ quindi sancito, per il singolo professionista, l’obbligo di formazione mediante un continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale. La violazione dell’obbligo è previsto che abbia rilievo disciplinare.
Ad un regolamento, emanato dal ministro vigilante, sentito il consiglio nazionale dell’ordine o collegio, è rimessa: a) la determinazione delle modalità e condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti; b) la individuazione dei requisiti minimi dei corsi di aggiornamento; c) la fissazione del valore del credito formativo professionale, quale unità di misura della formazione continua.
Ad apposite convenzioni tra consigli nazionali competenti e università è rimessa la determinazione delle regole comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi (professionali ed universitari). Parimenti è regolato il riconoscimento reciproco tra diversi ordini o collegi professionali (crediti interprofessionali).
E’ riconosciuta la competenza regionale per la disciplina dell’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale.
L’articolo 8 stabilisce il principio generale per cui l’attività professionale è incompatibile solo con altre attività che possano pregiudicare l’autonomia e indipendenza di giudizio. La norma quindi esprime una regola generale di libera esplicazione di altre attività, anche professionali. Resta naturalmente ferma la disciplina delle incompatibilità con il lavoro pubblico dipendente, regolata dal relativo ordinamento estraneo alla delega in parola. Parimenti ferma resta la disciplina dell’unica (allo stato) professione regolamentata che integra anche quella di un pubblico ufficiale, e cioè la professione di notaio: in particolare resterà vigente la disciplina prevista dall’articolo 2 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 e successive modificazioni.
L’articolo 9 è dedicato alla riforma del sistema disciplinare delle professioni, la cui attuazione incontra: i limiti costituzionali esposti al punto 3 della presente relazione (la natura riservata in via assoluta alla legge delle norme relative ad ogni magistratura, secondo l’articolo 108 della Costituzione, non abilita il Governo a regolamentare anche le funzioni giurisdizionali dei consigli nazionali, dovendosi ritenere che il regolamento sia sprovvisto, a riguardo, di ogni potestà d’intervento, limitato ai soli procedimenti disciplinari rimessi alla competenza di consigli che decidono in via amministrativa); i limiti derivanti dalla legge di delegificazione, che non prevede in alcun modo la possibilità di riformare il sistema elettorale dei consigli, non consente di modificare la competenza territoriale degli stessi (eventualmente ampliandola per le funzioni disciplinari), non prevede di modellare la composizione dei collegi di disciplina attraverso la nomina di componenti esterni, attesa la mancata possibilità di modifica del sistema rappresentativo vigente per la composizione degli attuali organi di disciplina; le limitazioni insite nella formulazione dell’articolo articolo 3, comma 5, lettera f), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, che individua, quale criterio di delegificazione in materia disciplinare, l’incompatibilità della carica di consigliere dell’ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei costituendi consigli di disciplina nazionali e territoriali; l’aggettivazione (nazionali e territoriali) data ai consigli di disciplina impone una lettura della norma nel senso della individuazione di una incompatibilità ‘interna’ e non allargata a qualsivoglia carica di consigliere dell’ordine anche ad altro livello territoriale; se la norma avesse voluto estendere l’incompatibilità alla carica di consigliere del collegio di disciplina avrebbe dovuto esplicitarlo, ovvero avrebbe dovuto essere diversamente formulata con l’esclusione della predetta aggettivazione.
In attuazione della legge di delegificazione e nei limiti sopra illustrati, sono istituiti, per tutte le professioni diverse da quella sanitaria, i consigli di disciplina territoriali presso i consigli dell’ordine o collegio territoriale. Ciò consente di mantenere ferma e far coincidere la competenza territoriale (sugli iscritti) dei due organi, amministrativo e disciplinare, sdoppiati per effetto della riforma.
I consigli di disciplina sono di regola costituiti da 3 consiglieri effettivi e 2 membri supplenti. Nel caso in cui i consigli dell’ordine o collegio siano situati nei comuni sede di Corte d’appello, la composizione dei consigli di disciplina è di 9 consiglieri e 3 supplenti ovvero, nel caso in cui i componenti del consiglio di riferimento sia inferiore a 12, da 6 consiglieri e 3 supplenti. I collegi saranno composti da 3 consiglieri presieduti dal componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo.
La composizione dei consigli di disciplina territoriali, tenuto conto dei limiti imposti dalla legge di delegificazione e sopra esposti, è effettuata mediante designazione del presidente del consiglio dell’ordine o collegio territoriale viciniore tra i componenti di quest’ultimo organo, diversi dal presidente. Per i consigli dell’ordine situati in comuni sedi di Corte d’appello sono individuati, per la designazione dei membri dei consigli disciplina, i consigli dell’ordine che sono collegati secondo i criteri previsti dall’articolo 11 del codice di procedura penale. Fuori di questo caso, i criteri di collegamento per l’individuazione del consiglio dell’ordine o collegio viciniore sono stabiliti, tenuto anche conto della distribuzione territoriale degli iscritti albo, con regolamento deliberato dal consiglio nazionale dell’ordine o collegio, previo parere favorevole del ministro vigilante.
Come rilevato, l’incompatibilità all’assunzione della carica di consigliere di disciplina riguarda la corrispondente (sul piano territoriale) carica di consigliere dell’ordine o collegio. E’ possibile che gli ordinamenti professionali prevedano, per assicurare la terzietà del consiglio di disciplina, ulteriori incompatibilità.
Sono stabilite regole minime di funzionamento dei consigli di disciplina ove il presidente di detto organo è individuato nel componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo, mentre il più giovane è chiamato a svolgere le funzioni di segretario; la durata dei consigli di disciplina è la stessa dei consigli dell’ordine o collegio.
I commi da 7 a 11 regolano la costituzione, composizione e competenza dei consigli di disciplina nazionali. La costituzione di tali organi è prevista per le sole professioni dove i consigli nazionali degli ordini o collegi decidono le questioni disciplinari in via amministrativa. Le competenze in materia disciplinare dei nuovi organi sono le stesse precedentemente assegnate ai consigli nazionali. La composizione è di 9 consiglieri e 3 supplenti, con la possibilità di formazione di collegi interni all’organo composti da 3 consiglieri, presieduti dal più anziano per iscrizione all’albo, simmetricamente a quanto avviene per i consigli territoriali. Vige l’incompatibilità a livello di carica di consigliere nazionale dell’ordine con la corrispondente carica di membro del consiglio nazionale di disciplina. Agli ordinamenti professionali, analogamente a quanto previsto per i consigli territoriali di disciplina è rimessa la possibilità di prevedere ulteriori incompatibilità.
L’individuazione dei componenti dei consigli nazionali di disciplina, titolari e supplenti, avviene attingendo nel novero dei primi non eletti alla carica di consigliere nazionale dell’ordine o collegio che abbiano riportato il maggior numero di preferenze e, in caso di parità di voti, da quelli con maggiore anzianità di iscrizione all’albo. Ove il sistema elettorale sia fondato su voti di lista (come nel caso della professione dei dottori commercialisti ed esperti contabili), sono nominati i primi non eletti all’interno della lista che abbia riportato il maggior numero di voti. In caso di liste bloccate, logicamente, le candidature dovranno essere numericamente adeguate in funzione di queste nuove rappresentanze a base democratica elettiva. Gli eletti al consiglio nazionale dell’ordine o collegio hanno al facoltà di optare per il consiglio nazionale di disciplina, con integrazione del primo consiglio a scalare in osservanza delle disposizioni elettorali vigenti.
Il sistema di composizione del consiglio nazionale di disciplina consente di conservare, come sopra illustrato, la rappresentatività dei membri che lo compongono, senza modificare, stanti i limiti della delegificazione, i meccanismi elettorali dei singoli ordini o collegi professionali.
E’ rimessa al ministro vigilante la proclamazione della nomina dei componenti del consiglio nazionale di disciplina e la loro sostituzione in caso di decesso, dimissioni o altra ragione.
Lo stesso ministro vigilante procede, secondo i principi generali, al commissariamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali per gravi e ripetuti atti di violazione di legge, ovvero nel caso in cui non siano in condizioni di funzionare regolarmente.
Il nuovo sistema disciplinare, che prevede che restino comunque ferme le disposizioni in materia di procedimento come regolate dai singoli ordinamenti, diviene operativo con l’insediamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali neocostituiti.
Va comunque specificato che la sovrapponibilità tra candidatura a consigliere dell’ordine o collegio e quella a componente del consiglio di disciplina, implica che gli attuali limiti di mandato per la prima carica si estenderanno alla seconda ai fini della stessa candidabilità e conseguente nomina.
La disposizione illustrata si chiude con l’espressa previsione che, per le professioni sanitarie e per quella di notaio continua ad applicarsi la disciplina vigente. Per le prime, la norma ripropone il limite imposto dalla legge di delegificazione; per la professione di notaio, va considerata la peculiarità del sistema disciplinare vigente, che garantisce di per sé la separazione con la funzione amministrativa (oltre che ampia terzietà), in cui consiste l’essenza della di riforma sul punto: come può riscontrarsi, infatti, tutta la disciplina degli artt. 148 e seguenti della legge notarile (16 febbraio 1913 n. 89), quale modificata dal decreto legislativo 1° agosto 2006 n. 149, è conforme ai principi di delega.
Il Capo II (articoli 10 e 11) reca specifiche disposizioni concernenti gli avvocati.
L’articolo 10 stabilisce che l’avvocato deve avere un domicilio professionale nell’ambito del circondario di competenza territoriale dell’ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.
L’articolo 11, fermo in particolare quanto disposto dall’articolo 6, commi 3 e 4, stabilisce che:
i) il tirocinio forense può essere svolto presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico ovvero privato quando autorizzato dal Ministro della giustizia vigilante o presso un ufficio giudiziario, per non più di dodici mesi;
ii) il tirocinio deve in ogni caso essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico ovvero privato quando autorizzato dal Ministro della giustizia vigilante;
iii) il diploma di specializzazione, conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica per l’accesso alla professioni di avvocato per il periodo di un anno. Il conseguimento del diploma assorbe la necessità della formazione dell’articolo 6 comma 9.
iv) il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio. Il consiglio dell’ordine autorizza il trasferimento, valutati i motivi che lo giustificano, e rilascia al praticante un certificato attestante il periodo di tirocinio che risulta regolarmente compiuto;
v) l’attività di praticantato presso gli uffici giudiziari è disciplinata da specifico decreto, da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dal ministro della giustizia, sentiti il consiglio superiore della magistratura e il consiglio nazionale forense. I praticanti presso gli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio, e ad essi si applica l’articolo 15 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell’ufficio giudiziario redige una relazione sull’attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa al consiglio dell’ordine competente. Ai soggetti previsti dal presente comma non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. Fino all’emanazione del decreto di cui al primo periodo, continua ad applicarsi la disciplina del praticantato vigente al momento di entrata in vigore del decreto qui illustrato: si tratterà, naturalmente, della sola parte di disciplina del concernente questo aspetto del praticantato (si pensi all’articolo 37, commi 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, cui si ispira in parte la norma qui descritta);
vi) il praticante avvocato è ammesso a sostenere l’esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. Nell’ipotesi in cui il tirocinio sia stato svolto per uguali periodi sotto la vigilanza di più consigli dell’ordine aventi sede in distretti diversi, la sede di esame è determinata in base al luogo di svolgimento del primo periodo di tirocinio.
Il Capo III (articolo 12) contiene disposizioni riguardanti la professione di notaio.
L’articolo 12 disciplina l’accesso all’esercizio della professione.
Muovendo dall’art. 5 della legge n. 89 del 1913 si specifica che possono ottenere la nomina a notaio tutti i cittadini italiani e i cittadini dell’Unione Europea che siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 5 della legge 16 febbraio 1913 n. 89, compreso il superamento del concorso notarile, fermo il diritto dei cittadini dell’Unione Europea che, in difetto del possesso dei requisiti di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 5 della medesima legge n. 89 del 1913, abbiano superato il concorso notarile al quale abbiano avuto accesso a seguito di riconoscimento del titolo professionale di notaio conseguito in altro Stato membro dell’Unione Europea.
Si prevede infine – simmetricamente a quanto normato per il praticantato forense e riprendendo l’attuale disciplina – che il diploma di specializzazione, conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica per l’accesso alla professione di notaio per il periodo di un anno. Il conseguimento del diploma assorbe la necessità della formazione dell’articolo 6 comma 9.
Il regolamento si applica dal giorno successivo alla data di sua entrata in vigore, individuato nel giorno successivo a quello di sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, e abroga tutte le disposizioni regolamentari e legislative con esso incompatibili, fermo quanto previsto dall’articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, e successive modificazioni.
Il regolamento incide unicamente su attività non soggette a finanziamenti pubblici nella parte regolata, e prevede l’intervento dell’amministrazione centrale (ministri vigilanti) in relazione a competenze già assegnate ed alle quali può farsi fronte con le dotazioni di risorse disponibili. Esso non determina pertanto riflessi finanziari negativi a carico del bilancio dello Stato.