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Decisione: Sentenza n. 6113/2016 Cassazione penale – Sezione III
Il caso.

Un soggetto era stato riconosciuto responsabile del reato di omesso versamento Iva (da parte di una SRL) per un ammontare superiore a un milione di euro.

La Corte di Appello riformava parzialmente la sentenza, rideterminando la pena in otto mesi di reclusione, e confermando del resto la sentenza impugnata.

L’imputato propone ricorso basato su 4 motivi, uno dei quali basato sull’asserita violazione del principio del «ne bis in idem» di fonte europea, a causa del doppio binario sanzionatorio italiano (penale e amministrativo).

La Cassazione rigetta il ricorso.
La decisione.

La Suprema Corte affronta i motivi di ricorso e, in particolare, affronta la questione della asserita violazione del principio del ne bis in idem per il doppio procedimento sanzionatorio per lo stesso fatto.

Il ricorrente lamentava l’errore commesso dalla Corte di appello nel non aver valutato la pronuncia favorevole della Commissione Tributaria Provinciale, che aveva annullato la cartella di pagamento relativa all’IVA 2005, ma per la Cassazione il ricorrente ha introdotto sostanzialmente un nuovo motivo, non deducibile per la prima volta in Cassazione.

La Corte di legittimità chiarisce che «tanto le questioni di costituzionalità che la richiesta di rinvio pregiudiziale presuppongono la definitività del provvedimento sanzionatorio che determinerebbe la preclusione al secondo giudizio nonché l’identità soggettiva. Nel caso in esame il Collegio – nel ribadire la propria giurisprudenza secondo cui non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di cassazione la violazione del divieto del “ne bis in idem” sostanziale, in quanto l’accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito, né è consentito alle parti produrre in sede di legittimità documenti concernenti elementi fattuali (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015 – dep. 20/05/2015, Aumenta, Rv. 263407)».

E chiarisce: «la predetta sentenza non risulta munita dell’attestazione di irrevocabilità, condizione necessaria perché possa rilevarsi l’esistenza di un ne bis in idem, tanto in sede europea che nazionale, dovendo in sostanza, sia la Corte costituzionale che il Giudice eurounitario rispondere al quesito se violi il ne bis in idem la sottoposizione a giudizio penale per il delitto di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000 di chi sia già stato sanzionato (s’intende, in via definitiva) dall’amministrazione tributaria per l’illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma primo, d.lgs. n. 471 del 1997. Nel caso in esame, pertanto, la mancanza di allegazione circa l’irrevocabilità della sentenza della CTP, in difetto com’è noto di poteri istruttori di questa Corte, non consente di valutare favorevolmente l’istanza di rinvio, atteso il difetto del presupposto di fatto (prova della definitività della decisione della CTP), preclude a questa Corte la valutazione della stessa».

Ma la Cassazione precisa che, nel caso in esame, l’istanza non sarebbe nemmeno accoglibile «posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente “penale” ai sensi dell’art. 7 CEDU, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa (Sez. 3, n. 43809 del 24/10/2014 – dep. 30/10/2015, Gabbana e altri, Rv. 265118 che, in applicazione del principio, ha escluso la violazione del divieto di “bis in idem” con riferimento a persona imputata per un fatto per il quale era stata inflitta sanzione amministrativa a società dello stesso soggetto legalmente rappresentata, situazione identica a quella esaminata nel presente processo, laddove destinataria della cartella di pagamento risulta infatti la P. s.r.l. e non personalmente il V.)».
Osservazioni.

La Cassazione torna sulla violazione del ne bis in idem messa in evidenza dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza Grande Stevens contro Italia, ma precisa che per lamentare una tale violazione, anche qualora vi siano i presupposti, deve fondarsi su una definitività del provvedimento sanzionatorio.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, dopo aver ribadito che la asserita violazione non è deducibile per la prima volta in Cassazione, ha precisato che, comunque, non solo non è stata allegata la definitività del provvedimento sanzionatorio, ma non vi è neppure corrispondenza tra i soggetti sanzionati con i due provvedimenti (penale e amministrativo).
Disposizioni rilevanti.

DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74

Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto
Art. 10-ter – Omesso versamento di IVA

1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

AGGIORNAMENTO: La Corte Costituzionale, con sentenza 7 – 8 aprile 2014, n. 80 (in G.U. 1a s.s. 16/4/2014, n. 17), ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38”.

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