La riservatezza di chi rende dichiarazioni in sede ispettiva assume una peculiare rilevanza e può prevalere sul diritto di identificare chi segnala presunti abusi in mancanza di un interesse diretto, concreto e attuale.
Decisione: Sentenza n. 3364/2016 Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio
Il caso.
Un’agenzia di elaborazione dati aveva richiesto l’accesso all’esposto-denuncia presentato al Garante per un presunto trattamento illecito di dati sensibili.
La segnalazione si era chiusa con l’archiviazione del caso da parte del Garante, il quale aveva respinto la richiesta di accesso, eccependo che l’agenzia richiedente non aveva alcun interesse diretto, concreto e attuale all’accesso, anche perché gli atti non la avevano danneggiata.
L’agenzia ricorre al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, il quale boccia la richiesta.
La decisione.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio spiega anzitutto che «l’art. 2, d.P.R. 12.4.2006, n. 184, recante la disciplina applicativa in materia di accesso, prevede che “Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso. Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.” Il delineato quadro normativo fa ritenere al Collegio che l’interesse all’accesso deve evidenziare la sua strumentalità rispetto alla sussistenza di un’ulteriore situazione soggettiva cui l’ordinamento riconosce tutela (“per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”, giusta l’art. 22, legge n. 241 del 1990, sopra richiamato) che deve essere necessariamente, a sua volta, d’interesse legittimo o di diritto soggettivo, onde evitare che, attraverso il ricorso a tale mezzo di tutela si determini, di fatto, l’accesso indifferenziato alla attività amministrativa, mentre invece la struttura normativa come sopra indicata porta ad escludere che il diritto di accesso comporti un indiscriminato potere esplorativo né, tantomeno, un generalizzato potere di vigilanza sull’operato delle Amministrazioni».
Poiché il procedimento si è concluso favorevolmente con una archiviazione, non essendo emerse violazioni della disciplina rilevante in materia di protezione dei dati personali suscettibili di costituire oggetto di specifici interventi da parte dell’Autorità, il Collegio identifica il nodo da sciogliere: «la questione giuridica da porsi è quella della prevalenza comunque del diritto alla ostensione rispetto alla tutela, non tanto della riservatezza di un terzo che, peraltro, nemmeno è parte del presente giudizio, ma, più in radice, delle forme di tutela che il legislatore ha posto a presidio del diritto alla protezione dei dati personali, attraverso la garanzia dell’anonimato di chi, esercitando un diritto espressamente previsto dall’ordinamento, si pone quale stimolo dei poteri di accertamento e di controllo, anche a mezzo di ispezioni, propri del Garante per la protezione dei dati personali».
E quindi, con una serie di passaggi nei quali richiama l’indirizzo del Consiglio di Stato nei controlli sui contratti di lavoro (sentenza 5779/2014), ribadisce l’importanza della riservatezza di chi denuncia: «E’ il caso, invero, dei procedimenti avviati sulla base di segnalazioni, ai sensi dell’art. 141, lett. b), che il d.lgs. n. 196/2003 annovera tra le forme di tutela del diritto alla protezione dei dati personali, cui il Collegio ritiene possano essere estesi i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia affine a quella oggetto della presente controversia.
Esiste, infatti, un orientamento assunto dal Consiglio di Stato (ancorché in occasione di controversie su una differente tipologia di procedimento, ma i cui tratti sono assimilabili per i fini di interesse; cfr. Sez. VI, n. 5779/2014)), secondo cui l’esigenza di tutela della riservatezza di chi rende dichiarazioni in sede ispettiva assume una peculiare rilevanza, onde scongiurare eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del soggetto nei cui confronti sono state rese le dichiarazioni, ma anche, (e, ritiene il Collegio, soprattutto) per preservare, su di un piano più ampio, il generale interesse ad un compiuto controllo delle attività oggetto di ispezione (nella specie, si trattava dell’attività ispettiva sulla regolarità dei rapporti di lavoro).
Se, infatti, il bilanciamento tra diritto di accesso per la difesa e cura dei propri interessi, da un lato, e diritto di riservatezza del terzo, dall’altro, è stato risolto dal legislatore con la prevalenza alla tutela del diritto di accesso, quando questo sia strumentale alla cura o difesa di propri interessi giuridici (art. 24, co. 7, legge n. 241/21990), non può essere trascurato che, nel caso di specie esiste, sullo sfondo, un preminente interesse dell’ordinamento giuridico, quale la tutela dei dati personali come declinata nei diversi mezzi pure previsti dal legislatore, che è altrettanto meritevole di essere preservato nella sua integrità ed effettività.
Come si evince dall’incipit della nota oggetto di contestazione, il Garante ha precisato che l’attività istruttoria in merito al trattamento dei dati personali effettuato dalla ricorrente in qualità di titolare dell’Agenzia “Il filo rosso”, era stata avviata d’ufficio e sulla base di una segnalazione.
Si tratta, dunque, di un caso in cui l’attività amministrativa è stata sollecitata facendo legittimo ricorso ad uno strumento (la segnalazione) che costituisce una precisa forma di tutela, a prescindere dal fatto che poi il procedimento si sia concluso, per la ricorrente, con una archiviazione.
Ed invero, il potere di controllo, che il Garante può esercitare anche in via del tutto autonoma, ottiene la più completa ed esauriente esplicazione anche con l’esercizio dei mezzi di tutela posti dall’art. 141, d.lgs. 196/2001, tra cui, le segnalazioni che possono essere presentate in mancanza di elementi tali da consentire la presentazione di un ricorso o di un reclamo circostanziato.
Pertanto, ammettere che la conoscenza del nominativo del segnalatore costituisca un diritto indefettibile del soggetto che tratta dati personali, che, in ragione di ciò, si ricorda, è sottoposto al permanente potere di controllo del Garante circa la regolarità e conformità a legge di tale trattamento si risolverebbe, di fatto, in un depotenziamento di questo utile strumento posto a tutela di un bene giuridico considerato di particolare rilievo, quali sono, appunto, i “dati personali”».
Osservazioni.
Per il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, la riservatezza di chi rende dichiarazioni in sede ispettiva assume una peculiare rilevanza e può prevalere sul diritto di identificare chi segnala presunti abusi in mancanza di un interesse diretto, concreto e attuale.
Il Collegio, in sostanza, sottolinea che identificare chi segnala un presunto abuso si risolverebbe in un depotenziamento dello strumento della segnalazione, posto a tutela di un bene giuridico di particolare rilievo come i “dati personali”.
Disposizioni rilevanti.
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 12 aprile 2006, n. 184
Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Art. 2 – Ambito di applicazione
1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso.
2. Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.