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di Carlo Rapicavoli –

La vicenda della riforma delle Province assume ogni giorno aspetti sempre più paradossali.

Difficile comprendere le motivazioni di tanta ostinazione; se si eccettuano gli aspetti demagogici e di facile consenso, quali la riduzione dei costi della politica, finalizzati a dare in pasto agli opinionisti, che ormai influenzano ogni scelta, un buon argomento per dire che finalmente sono stati operati i tagli tanto invocati, non resta altro.

Non vi sono risparmi, come chiaramente documentato dalla Corte dei Conti.

Non vi è maggiore chiarezza nell’attribuzione delle funzioni: al contrario si determinerebbe, dall’approvazione del ddl, caos, differenze tra territori.

Le criticità sono state segnalate da Costituzionalisti, Censis, Corte dei Conti, Associazione Piccoli Comuni.

Ad aggiungere l’ennesimo tassello giunge adesso la sottoscrizione, il 19 novembre, di un protocollo di intesa tra il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, la Conferenza delle Regioni, l’ANCI e i Sindacati confederali per la “Salvaguardia degli attuali livelli occupazionali e confronto come strumento strategico di partecipazione”.

Al di là dell’enfasi propagandistica, il protocollo si limita ad impegnare le parti per:

a) L’istituzione di un tavolo permanente di confronto nazionale sul riordino degli Enti locali a partire dal tema dell’unione dei Comuni al di sotto dei 5000 abitanti, sulla trasformazione delle province, nonché per promuovere un impegno straordinario di ottimizzazione delle risorse disponibili in materia di formazione per la necessaria riqualificazione professionale, (anche in relazione alle innovazioni gestionali ed in materia di digitalizzazione delle Amministrazioni);

b) L’istituzione di un tavolo permanente di confronto a livello territoriale/regionale per supportare gli eventuali processi di messa in quiescenza e/o mobilità tra enti dei lavoratori e di attuazione dei percorsi di riqualificazione professionale;

c) L’istituzione di un tavolo specifico sulle società in house al fine di monitorare, semplificare e razionalizzare, in relazione alle specifiche mission ad esse affidate dagli enti soci, tenendo conto della garanzia dei livelli occupazionali utilizzando tutti gli strumenti previsti dalle norme, compresa l’internalizzazione dei servizi;

d) La proposta di norme che consentano di attuare eventuali percorsi di mobilità tra enti non incidendo sugli attuali limiti di spesa e assunzionali previsti per il personale delle amministrazioni riceventi e comunque garantendo la copertura per i trattamenti economici del personale trasferito;

e) Il confronto, a livello territoriale/regionale, sui dati relativi agli eventuali esuberi di personale e sull’attivazione di tutti gli strumenti necessari per la salvaguardia occupazionale;

f) Le proposte di modifica, attraverso specifici emendamenti, del disegno di legge di riordino delle Province, delle Città metropolitane e delle Unioni dei Comuni che recepiscano quanto concordato dal presente protocollo ed in particolare affrontando la questione relativa ai maggiori oneri che potranno derivare dal processo di trasferimento che dovranno essere considerati neutri per le amministrazioni riceventi.

E’ singolare, in particolare, l’enfasi data dalle Organizzazioni Sindacali che hanno sottoscritto il protocollo, senza alcun coinvolgimento dei dipendenti delle Province, soltanto per un generico impegno a costituire tavoli di confronto.

Al di là delle dichiarazioni formali, infatti, non v’è dubbio che l’iniziativa del Ministro Delrio è evidentemente dettata dall’obiettivo di sostenere la discussione in Parlamento del proprio disegno di legge, forte del sostegno dei sindacati, anche alla luce delle centinaia di proposte di modifica presentate in Commissione Affari Costituzionali delle Camera.

Restano numerose perplessità irrisolte.

1) Soltanto il giorno prima della sottoscrizione del protocollo, il Ministro dell’Economia ed il Commissario per la revisione della spesa hanno presentato il piano di lavoro che prevede per il pubblico impiego: la mobilità del lavoro (compresa l’esplorazione di canali d’uscita e rivalutazione delle misure del turnover) e armonizzazione del sistema retributivo e contrattualistico nel pubblico impiego, anche al fine di incentivare la mobilità tra amministrazioni e funzioni. Dunque come si concilia tale programma con gli impegni del Ministro Delrio?

2) Si tratta, come detto, di un accordo firmato dai sindacati senza aver consultato i lavoratori; un accordo che si fonda su un ddl ancora in discussione in commissione e con più di 800 emendamenti presentati; un accordo sulle Province e senza la presenza delle Province. Si tratta così di un disegno di legge ordinario che, secondo le previsioni del Governo, andrebbe approvato “anche in attesa della riforma costituzionale” (art. 1 comma 1) e che addirittura trova applicazione, con il protocollo, prima ancora di avviare la discussione in Parlamento;

3) Si parla di salvaguardia dei livelli occupazionali, ma il ddl Delrio non prevede alcuna norma che confermi tale impegno e che disciplini in concreto le modalità di reimpiego dei dipendenti provinciali; Ma ci si può accontentare della garanzia dei livelli occupazionali del personale nel processo di riordino. E’ il minimo. Va assicurata la qualità dell’attuale livello occupazionale. Negli anni, nelle Province, si sono formate eccellenti professionalità nei settori tecnici, dell’ambiente, della formazione, del mercato del lavoro oltre che sulla contabilità pubblica, amministrazione del personale, contratti pubblici, avvocatura. Professionalità che sono spesso punti di riferimento per i Comuni di minore dimensione e per gli altri Entri del territorio. Quale futuro per queste professionalità? Il modello di governo dell’area vasta non è secondario. Un Ente elettivo è certamente autorevole e rappresentativo del territorio, è legittimato a svolgere funzioni di pianificazione di area vasta in forza del mandato elettorale. Un Ente di secondo livello fatalmente vedrebbe ridimensionato e trasformato il ruolo e modificati la qualità e l’efficacia dei servizi resi. Su questi temi bisogna confrontarsi, fuori dalle spinte demagogiche.

4) Il protocollo impegna le parto ad un confronto sui dati derivanti dal monitoraggio della quantità delle lavoratrici e dei lavoratori precari presenti. Ebbene, chi tutela i precari che operano nelle Province? La Legge 30 ottobre 2013 n. 125 ha operato una ingiusta discriminazione a loro carico, impedendo ogni possibilità di attivare percorsi di stabilizzazione all’interno degli Enti ove operano. La possibilità concessa di partecipare ad una procedura selettiva indetta da altra amministrazione avente sede nel territorio provinciale è evidentemente un palliativo. La Legge ha previsto procedure di stabilizzazione in ogni Ente con la finalità espressa di favorire una maggiore e più ampia valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con contratto di lavoro a tempo determinato e, al contempo, ridurre il numero dei contratti a termine. E’ evidente che ai precari delle Province è preclusa tale possibilità.

5) Ancora una volta non c’è traccia sull’esigenza di partire dalle funzioni e, sulla base di un’analisi sull’ottimale ambito territoriale di erogazione dei servizi, delineare una riforma organica. Solo per fare un esempio, si può ricordare l’edilizia scolastica che il Ministro intende trasferire ai Comuni. Ad oggi, secondo l’ultima rilevazione sui dati dell’anagrafe scolastica del Ministero dell’Istruzione, le Province gestiscono 3.226 Istituti scolastici di scuola secondaria (licei, istituiti tecnici, etc..) ripartiti in 5.179 edifici scolastici composti di 117.348 classi che accolgono 2.596.031 alunni. Per ridurre i costi dei servizi stipulano contratti di Global Service: in questo modo ogni Provincia, attraverso un solo contratto di servizio assicura il funzionamento di tutte le Scuole che gestisce. Gli appalti globali o di manutenzione “a lotti territoriali” garantisce infatti economie di scala e migliore efficienza ed efficacia del servizio. Un dato economico elementare ed inconfutabile, che andrebbe vanificato con la moltiplicazione dei centri di costo.

6) Nulla viene detto sul futuro dei 7.700 dipendenti circa dei centri per l’impiego, che “rappresentano un problema nel problema, visto che i servizi per il lavoro sono interessati anche dal “rilancio” che vorrebbe tentare il Ministro Giovannini anche grazie alla Youth Guarantee. Peccato che risulti difficile rilanciare servizi dei quali nemmeno si immagina, ad oggi, chi possa essere titolare e con quali soldi finanziare la spesa del personale.
Sì, perché contrariamente a quanto anche al Governo evidentemente pensano, le province da due anni provvedono alle spese per i servizi esclusivamente con risorse di bilancio, al netto dei trasferimenti regionali ormai ridotti all’osso. Infatti, il Governo ha azzerato il fondo sperimentale di riequilibrio”.

7) Si legge nel comunicato dei sindacati: “Abbiamo rimesso al centro il tema delle persone che producono valore pubblico per le comunità: le riforme non si fanno a colpi di spugna ma ridisegnando funzioni, ambiti territoriali e profili professionali. E soprattutto abbiamo ottenuto che le decisioni che riguardano il personale si prendano insieme ai lavoratori”. Peccato che il primo atto non è dei migliori: nessuna consultazione dei dipendenti ha preceduto l’accordo sottoscritto. Né nel protocollo vi è traccia di un disegno organico di attribuzione delle funzioni né viene affrontato in concreto il tema delle professionalità. C’è al contrario l’impressione, che sarà spero smentita dai fatti, che le Province e i loro dipendenti siano diventati trofei da presentare all’opinione pubblica e merce di scambio per accordi diversi.

8) L’ultimo punto del protocollo impegna le parti ad affrontare “la questione relativa ai maggiori oneri che potranno derivare dal processo di trasferimento che dovranno essere considerati neutri per le amministrazioni riceventi”; ma il Ministro non aveva annunciato significativi risparmi dalla riforma? Perché il Ministro deve impegnarsi ad affrontare il tema dei maggiori oneri?

Un ultima nota riguarda un attacco strumentale, inaccettabile e ingiustificato contenuto nel comunicato congiunto di CGIL, CISL e UIL dove si legge: “Spiace notare, ancora una volta, che l’UPI, rappresentata dal Presidente Saitta, che a parole afferma di tenere a cuore le sorti dei dipendenti delle Province, non si sia sentito in dovere di sedersi ad un tavolo di confronto, che, invece, ha l’obiettivo di ridisegnare l’intero complesso delle autonomie locali.”

Nessuna osservazione ritengo di riservare in difesa del Presidente Saitta; i suoi interventi, ampiamente documentati, testimoniano la sua correttezza e la sua grande attenzione verso i dipendenti, più che qualunque inutile difesa.

Spiace constatare, in conclusione, come nella vicenda della necessaria riforma complessiva dell’ordinamento della Repubblica continuino a prevalere la demagogia e la ricerca del facile consenso ad un approfondimento serio che tenga conto di ogni aspetto.

Affrontare la riforma con una visione di parte, come sta avvenendo, rischia di generare soltanto caos istituzionale e disservizi.

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