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di Carlo Rapicavoli –

Il Governo Letta ha individuato nella soppressione delle Province la sua principale missione.

Così il Consiglio dei Ministri, riunito giovedì 8 agosto, come si apprende dal comunicato stampa, “ha approvato di prorogare il commissariamento delle Province al 30 giugno 2014, tenendo conto dell’avvio del percorso di riforma di quest’ultime attraverso l’avvenuta approvazione del disegno di legge costituzionale che ne prevede la soppressione”.

Tale disposizione è inserita in un decreto legge più ampio, contenente misure urgenti per la prevenzione ed il contrasto della violenza di genere, disposizioni in materia di sicurezza pubblica, Protezione Civile.

L’intervento del Governo appare criticabile sotto diversi profili ed è in palese contrasto con la Costituzione.

1) Assenza dei requisiti di necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione.

Il comma 115 della Legge di stabilità 2013 (Legge 228/2012), ancora in vigore in quanto non impugnato dinnanzi alla Corte Costituzionale, prevede: “Nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre 2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la scadenza naturale degli organi delle Province oppure la scadenza dell’incarico di Commissario straordinario delle Province, nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui al TUEL, o in altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali, è nominato un commissario straordinario per la provvisoria gestione dell’Ente fino al 31 dicembre 2013”.

Secondo le disposizioni vigenti, pertanto, il commissariamento delle Province ha copertura normativa – seppure in contrasto con la Costituzione – fino al 31 dicembre 2013, e pertanto è evidente l’assenza di qualsivoglia requisito di urgenza che giustifichi la decretazione del Governo.

2) Mancanza di omogeneità nei contenuti del decreto legge.

La Corte Costituzionale, fra le tante, con la sentenza n. 22/2012 ha collegato il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. “L’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto – si legge nella sentenza – spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno”.

L’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» – pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti alla Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento.

Ora appare evidente che la proroga dei commissari delle Province non ha alcuna omogeneità con la prevenzione e il contrasto della violenza di genere o con la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica che costituiscono l’oggetto del decreto legge e si pone quindi in contrasto con l’art. 77 della Costituzione.

3) Violazione della sentenza della Corte Costituzionale 220/2013.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2013, che ha dichiarato l’incostituzionalità delle norme sul riordino delle Province volute dal Governo Monti, ha ribadito che i decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità e che non è utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative.

4) Violazione della sentenza della Corte Costituzionale 220/2013 sotto il profilo sostanziale

In assenza di qualsivoglia requisito di urgenza, appare chiaro l’intento del Governo: nell’incertezza sull’iter della riforma costituzionale, è assolutamente necessario evitare il rinnovo degli organi delle Province attraverso le elezioni.

La proroga dei commissariamenti fino al 30 giugno 2014, infatti, impedisce la convocazione dei comizi elettorali per il turno elettorale primaverile del 2014 che, secondo le vigenti disposizioni, può svolgersi nel periodo dal 15 aprile al 15 giugno.

Con il decreto legge, inoltre, si proroga una gestione commissariale che trae la sua fonte in norme dichiarate incostituzionali e, pertanto, evidentemente affette da incostituzionalità derivata.

5) Violazione dei principi costituzionali che regolano le autonomie locali

Tra questi principi, vi è quello del riconoscimento e promozione delle realtà locali, solennemente proclamato all’art. 5 della Carta Costituzionale: “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.

Tali principi si ritrovano affermati nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Nella sentenza 106/2002 si legge: “Il nuovo Titolo V ha disegnato di certo un nuovo modo d’essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuità nelle relazioni tra Stato e regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare.

Se è vero che le Province, al pari dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, nel disegno costituzionale (rafforzato dal nuovo titolo V, ma già presente nel disegno costituzionale originario) hanno la comune essenza fondata sul principio democratico e sulla sovranità popolare, appare evidente che non può essere un semplice tratto di penna a cancellare le Province dall’ordinamento costituzionale;

Ulteriore e chiara conferma di tale disegno costituzionale è rinvenibile nella VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione: “Le elezioni (…) degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione”.

Per la nostra Costituzione, sin dalla sua entrata in vigore nel 1948 ed evidentemente prima della riforma del titolo V, è un dato indiscutibile la natura elettiva e democratica delle Province appunto, come affermato dalla Consulta, espressione del principio democratico e della sovranità popolare su cui si fonda il nostro ordinamento in virtù dell’art. 1 della Costituzione.

E l’art. 5 “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” non fa che sancire, tra i principi fondamentali, questo riconoscimento, dando piena e intangibile copertura costituzionale all’assetto storico delle autonomie locali.

Conclusioni

La pervicacia con la quale il Governo Letta insiste negli interventi sulle Province appare inspiegabile.

Il Presidente Letta, in conferenza stampa, ha affermato, per presentare il decreto legge, che “occorre evitare che poi, nella transizione, rimanga ciò che invece deve terminare e cioè deve scomparire”.

Ecco è questa la missione, anche se, per perseguirla, si calpestano i più elementari principi del nostro ordinamento.

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