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di Carlo Rapicavoli –

All’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri, convocato per domani 26 luglio, è previsto l’esame preliminare del disegno di legge proposto dal Ministro Delrio, contenente disposizioni sulle Città Metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni dei Comuni, presenta criticità e aspetti di dubbia legittimità costituzionale.

Sulla base della bozza trasmessa in data 16 luglio, per l’esame del Preconsiglio e successivamente modificata, sono numerosi i dubbi e le incongruenze che derivano da una prima valutazione del testo.

Davvero singolare l’incipit stesso della riforma ordinamentale, tanto declamata con instancabile attività dal Ministro, contenuta nell’art. 1, comma 1: “La presente legge detta disposizioni …anche in attesa della riforma costituzionale ad esse relativa”.

La creatività dei novelli legislatori cresce di giorno in giorno.

Si detta una riforma ordinamentale di enorme portata “… anche in attesa di una riforma costituzionale” di cui, a meno di non essere veggenti, non si conoscono tempi e contenuti.

Al contrario, a meno di non voler stravolgere i principi costituzionali, si tratta invece di una riforma a costituzione vigente, alle cui disposizioni – piaccia o no – anche il Governo Letta e il Ministro Delrio devono attenersi.

Secondo il progetto Delrio, il nostro sistema dovrà essere articolato nel modo seguente:

1) Le Città Metropolitane quali enti territoriali di secondo livello con finalità istituzionali generali e funzioni specifiche;
2) Le province quali enti territoriali di secondo livello “fino alla data di entrata in vigore della riforma costituzionale ad essere relativa”
3) Le Unioni di Comuni quali enti locali costituiti da due o più Comuni per l’esercizio associato di funzioni o servizi

Le Città Metropolitane

Nel disegno di legge Delrio:

1) Vengono istituite, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le Città Metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria il cui territorio coincide con quello delle rispettive Province, con funzioni limitate all’approvazione dello statuto fino alla data di subentro alla provincia omonima previsto per il 1° luglio 2014;

2) Il sindaco del Comune capoluogo è il sindaco della città metropolitana almeno fino ad un triennio dalla costituzione; successivamente è rinviato ad un’eventuale legge elettorale ed allo statuto l’elezione a suffragio universale;

3) Il consiglio metropolitano è costituito dal sindaco metropolitano, dai sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti e dai presidenti delle unioni di comuni con almeno 10.000 abitanti;

4) La conferenza metropolitana è costituita da tutti i sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana;

5) Le funzioni della città metropolitana sono:
a) Adozione del piano strategico metropolitano
b) Pianificazione territoriale generale, comprese strutture di comunicazione, reti di servizi e infrastrutture;
c) Strutturazione e organizzazione dei sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici
d) Mobilità e viabilità
e) Sviluppo economico e sociale
f) Informatizzazione e digitalizzazione
g) Le funzioni delle Province

6) Spettano alla città metropolitana il patrimonio, il personale e le risorse strumentali della Provincia a cui ciascuna città metropolitana succede a titolo universale

7) Il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica in godimento all’atto del trasferimento.

8) Specifiche disposizioni sono dettate per la città metropolitana di Roma capitale

Pertanto:
a) La Città metropolitana è un ente locale di area vasta tanto quanto le Province attuali
b) Non sostituisce i Comuni
c) E’ espressamente dotato di autonomia organizzativa e finanziaria
d) E’ ente costitutivo della Repubblica, visto l’espresso richiamo dell’articolo 114 della Costituzione (vedi art. 2 del ddl) e nessuna riserva per la futura riforma costituzionale, come previsto per le Province
e) Si ribadisce l’esigenza di un ente di area vasta, che potrà essere anche dotato di rappresentatività diretta, con le funzioni delle Province e di altre previste dal ddl o che potranno essere assegnate dalle Regioni

Le Province

1) Sono organi delle Province:
a) Il Presidente: deve essere un sindaco in carica eletto dall’assemblea dei sindaci della Provincia;
b) Il Consiglio Provinciale: composto dai sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti e dai Presidenti delle unioni di comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti
c) L’assemblea dei sindaci: costituita dai sindaci dei comuni appartenenti alla Provincia

2) Non si tiene conto degli organi provinciali in carica che, anche se non giunti a scadenza naturale, decadono per far posto ai nuovi organi. Il Presidente in carica deve infatti convocare l’assemblea dei sindaci entro venti giorni dalla proclamazione dei sindaci eletti a seguito delle prime consultazioni amministrative successive alla data di entrata in vigore della legge

3) Sono funzioni delle Province
a) Pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente per gli aspetti di competenza;
b) Pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato nonché costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;
c) Programmazione provinciale della rete scolastica

4) Le altre funzioni di competenza statale sono trasferite ai Comuni o alle unioni di comuni con apposito dpcm da adottare entro il 31 marzo 2014;

5) Le altre funzioni di competenza regionale, salva l’assunzione diretta da parte della Regione, sono trasferite ai comuni o alle unioni di comuni;

6) Regioni e Comuni possono delegare alle Province riordinate specifiche attività.

Le motivazioni contenute nella relazione tecnica predisposta dal Ministero suscitano perplessità.

Obiettivo della legge è “dare risposte importanti alle esigenze del presente”.

Sulle Province

“Fra le esigenze di dare risposte, quella oggi, nell’immediato, di maggiore importanza è certamente la riforma delle province. Va infatti detto con chiarezza che l’effetto immediato della sentenza della Corte costituzionale n. 220/2013 è quello di determinare una situazione nella quale, in assenza di provvedimenti normativi adeguati, tutto il nostro sistema di autonomie locali sarebbe costretto a fare un clamoroso passo indietro rispetto alle ambizioni di questi anni. Senza interventi legislativi immediati, infatti, alle prossime consultazioni amministrative del 2014 si dovrebbe procedere al rinnovo degli organi delle province secondo le modalità e le previsioni del TUEL, ripristinando così, proprio nel momento in cui le si vogliono cambiare profondamente, le province quali le conosciamo e le abbiamo conosciute nei decenni passati”.

Tornare ad elezioni democratiche, per il Governo, significa fare un clamoroso passo indietro rispetto alle ambizioni – quali ambizioni? perseguite da chi? – di questi anni.

Sulle Città metropolitane

“Il progetto di legge disegna un modello di città metropolitana molto innovativo (…). Innanzitutto il suo territorio coincide con quello della Provincia attualmente esistente, alla quale si sostituisce. In secondo luogo le sue funzioni sono tutte quelle della provincia ma arricchite da poche essenziali nuove funzioni fondamentali in grado di assicurare all’ente quel salto di qualità verso il governo dell’area metropolitana, che è il suo scopo e la sua missione istituzionale. In terzo luogo i suoi organi sono pensati in modo da garantire e assicurare non solo la coincidenza obbligatoria fra sindaco del comune capoluogo e sindaco metropolitano (…). Solo successivamente al 2017, e sempre che sia stata emanata la necessaria legge elettorale statale, potrà essere possibile ricorrere a forme di elezione a suffragio universale”.

Ci chiediamo: perché mai nell’area metropolitana di Bologna (998.000 abitanti), Reggio Calabria (566.000 abitanti), Genova (900.000 abitanti), Bari (1.200.000 abitanti) etc. dovrebbe rispondere a finalità di efficacia ed efficienza istituire un ente intermedio tra Regione e Comuni, con le funzioni della Provincia integrate con altre di area vasta, e lo stesso principio non vale per Province come Verona, Treviso, Vicenza, Padova, solo per restare in Veneto, con una media di 900.000 abitanti ciascuna?

Ed alcune delle città metropolitane previste, come appunto Bologna, Reggio Calabria o Genova, hanno un numero di abitanti inferiore a quello di molte Province di cui si paventa lo svuotamento di funzioni.

Perché mai per i cittadini della Provincia di Venezia è più efficiente che ad occuparsi di “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale” sia la città metropolitana e per i cittadini confinanti della provincia di Padova è più efficiente che se ne occupino i Comuni o la Regione?

E’ chiaro che la città metropolitana ha senso soltanto se gestisce un territorio omogeneo, con problematiche comuni, non semplicemente per successione universale alla corrispondente soppressa Provincia.

Piuttosto sono proprio le considerazioni del Governo nella relazione tecnica che avrebbero dovuto imporre una riflessione attenta che partisse dalle competenze, da una valutazione effettiva di efficienza ed efficacia della loro gestione, prima di fissare la soppressione di un certo numero di Enti nell’assoluta incertezza dei benefici sotto ogni punto di vista.

Al contrario l’impostazione seguita dal Governo ci porta a ritenere che il fulcro principale della decisione di istituire le Città metropolitane sia la soppressione delle corrispondenti Province e non un chiaro disegno organico e definito della nuova Istituzione.

Il d.d.l. del Governo ignora i principi fondamentali della Costituzione stessa.

Tra questi principi, vi è quello del riconoscimento e promozione delle realtà locali, solennemente proclamato all’art. 5 della Carta Costituzionale: “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.

Ora, se la promozione va intesa quale leale collaborazione tra tutti i soggetti istituzionali che compongono la Repubblica, o meglio disponibilità da parte di questi a cooperare ogniqualvolta è in discussione una problematica inerente le autonomie locali territoriali, allora, anche una legge di modifica dell’assetto ordinamentale, come quella proposta dal Governo, dovrà rispettare il contenuto di questo principio, prevedendo forme concertative tra le diverse realtà istituzionali che compongono l’ordinamento repubblicano.

Una soppressione delle Province (da trasformare in città metropolitane), lo svuotamento delle funzioni per le altre, la loro trasformazione in enti di secondo grado, decisa autoritativamente da parte dello Stato, in assenza di qualunque meccanismo che coinvolga Comuni e Regioni, sembra porsi in contrasto proprio con il principio descritto dall’art. 5.

Tali principi si ritrovano affermati nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Nella sentenza 106/2002 si legge: “Il nuovo Titolo V ha disegnato di certo un nuovo modo d’essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuità nelle relazioni tra Stato e regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare”.

Se è vero che le Province, al pari dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, nel disegno costituzionale (rafforzato dal nuovo titolo V, ma già presente nel disegno costituzionale originario) hanno la comune essenza fondata sul principio democratico e sulla sovranità popolare, appare evidente che non può essere conforme all’ordinamento costituzionale la scelta del Governo.

Ulteriore e chiara conferma di tale disegno costituzionale è rinvenibile nella VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione: “Le elezioni (…) degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione”.

Per la nostra Costituzione, sin dalla sua entrata in vigore nel 1948 ed evidentemente prima della riforma del titolo V, è un dato indiscutibile la natura elettiva e democratica delle Province appunto, come affermato dalla Consulta, espressione del principio democratico e della sovranità popolare su cui si fonda il nostro ordinamento in virtù dell’art. 1 della Costituzione.

E l’art. 5 “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” non fa che sancire, tra i principi fondamentali, questo riconoscimento, dando piena e intangibile copertura costituzionale all’assetto storico delle autonomie locali.

Si trascura il tema fondamentale: le funzioni, le competenze e i servizi. La vera grande riforma sarebbe la chiarificazione delle funzioni dei diversi soggetti del sistema, che sono poi l’aspetto che comporta la maggiore spesa ed i maggiori costi, evitando sovrapposizione di interventi sulla medesima materia, individuando l’ambito territoriale ottimale e il livello di governo migliore per l’esercizio delle funzioni, precisando con chiarezza ed univocità chi fa cosa. La nuova Carta delle Autonomie, il cui esame si è bloccato nel corso della passata legislatura, dovrebbe essere la base fondamentale di una vera riforma, fuori dagli slogan e dalle proposte demagogiche.

La grande riforma non si giustifica neanche per una riduzione di spesa.

Si legge nella relazione tecnica: “Per quanto attiene alle Province non si ravvisano nuovi o maggiori oneri in quanto il presente provvedimento è finalizzato a riordinarne l’attuale assetto allo scopo di costituire un ente di area vasta che opera per l’integrazione delle attività dei Comuni ad opera sostanzialmente dei rappresentanti dei Comuni stessi mantenendo un numero limitato di funzioni amministrative proprie”.

Tradotto: nessun risparmio immediato.

In più: l’art. 23 comma 8 del ddl aggiunge: “In relazione alle disposizioni della presente legge riguardanti province e città metropolitane nulla è innovato con riferimento all’organizzazione periferica delle amministrazioni centrali dello Stato”.

Quindi nessun intervento.

Risultato finale: diversi organizzazione ed assetto di competenze nel territorio nazionale, sulla base delle città metropolitane, ulteriore confusione, anziché semplificare si aggiunge un ulteriore livello di governo , le unioni di comuni.

Ma se le Province riformate dovranno essere – nel disegno del Governo – essere gestite dai Comuni, perché mai prevedere le unioni di comuni, come enti locali autonomi rispetto ai comuni stessi, cui trasferire le funzioni delle Province anziché lasciarle alle Province stesse?

Viene meno il principio della rappresentanza democratica dei territori, con conseguenze negative soprattutto per i piccoli comuni in considerazione del meccanismo di rappresentanza, con voto ponderato, che favorisce i comuni maggiori.

La fretta, l’ossessione del Governo Monti e dell’allora Ministro Patroni Griffi prima e del Governo Letta adesso e del Ministro Delrio nell’affrontare in modo confuso e disorganico il tema della riforma degli enti locali appaiono davvero incomprensibili.

Basta ricordare che il Senato della Repubblica ha approvato nella seduta di giovedì 11 luglio il disegno di legge costituzionale per l’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali, che all’art. 2, comma 10, prevede che il Comitato deve disporre la consultazione delle autonomie territoriali, a fini di coinvolgimento nel processo di riforma. Evidentemente, in particolare per la modifica del titolo V, appare necessaria la consultazione di Regioni, Province e Comuni.

Non si comprende, pertanto, la coerenza del Governo che ha ritenuto invece di accelerare l’approvazione di un disegno di legge costituzionale per la soppressione delle Province, non organico al progetto complessivo di riforma e per l’approvazione del quale il Presidente del Consiglio Letta ha auspicato tempi brevissimi, anticipato addirittura da un disegno di legge ordinario (non può ricorrere al decreto legge solo perché la Corte Costituzionale è stata chiarissima sul punto), come fosse la principale emergenza del Paese.

Ma forse è davvero la principale emergenza, perché così affermano Stella&Rizzo, i principali opinionisti, le forze politiche. Alla fine è chiaro perché ancora l’Italia non riesce ad uscire dalla crisi: è colpa delle Province.

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