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di Carlo Rapicavoli –

E’ utile, per cercare di comprendere meglio l’attuale situazione politica, rileggere le parole e riflettere su alcuni passaggi dell’intervento di oggi del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della tradizionale cerimonia di consegna del Ventaglio da parte dell’Associazione Stampa Parlamentare.

Un intervento che, discutibile nel merito – di cui non ci occupiamo in questa sede – sulla base delle diverse valutazioni politiche, segna definitivamente una svolta nell’assetto giuridico e costituzionale della Repubblica. Si vuole soltanto offrire uno spunto di riflessione sull’evoluzione, senza riforme, del nostro ordinamento verso direzioni diverse rispetto al patto costituzionale.

Non più un Presidente della Repubblica, supremo garante della Costituzione e – in quanto tale – super partes a garanzia delle dinamiche democratiche e parlamentari.

Ma un Presidente che – forte della riconferma e forse consapevole della situazione emergenziale (ma in Italia è perenne emergenza) – detta l’agenda politica, ammonisce, giudica l’operato del Governo, ne garantisce la continuità, spegne ogni possibile ipotesi alternativa parlamentare.

Un passaggio netto verso un presidenzialismo di fatto, non derivante da alcuna legittimazione popolare diretta come vorrebbero i più convinti presidenzialisti, ma a Costituzione formale invariata.

Un passaggio che supera anche l’interpretazione “estensiva” sul ruolo del Presidente della Repubblica contenuta nella sentenza 1/2013 sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’attività di intercettazione telefonica, svolta nell’ambito di un procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.

La Corte – nella sentenza 1/2013 – interpreta la formula di cui all’art. 87, 1 comma, Cost. secondo cui il Presidente della Repubblica «rappresenta l’unità nazionale», «non soltanto nel senso dell’unità territoriale dello Stato, ma anche, e soprattutto, nel senso della coesione e dell’armonico funzionamento dei poteri, politici e di garanzia, che compongono l’assetto costituzionale della Repubblica». In altri termini il Presidente è «organo di moderazione e di stimolo nei confronti di altri poteri, in ipotesi tendenti ad esorbitanze o ad inerzia. Tutti i poteri del Presidente della Repubblica hanno dunque lo scopo di consentire allo stesso di indirizzare gli appropriati impulsi ai titolari degli organi che devono assumere decisioni di merito, senza mai sostituirsi a questi, ma avviando e assecondando il loro funzionamento, oppure, in ipotesi di stasi o di blocco, adottando provvedimenti intesi a riavviare il normale ciclo di svolgimento delle funzioni costituzionali».

L’intervento di oggi sancisce il ruolo di protagonista attivo e decisivo, in campo politico, del Presidente della Repubblica.

E lo sancisce anche per la tempistica, giungendo – ma si tratta certo di una coincidenza – alla vigilia di un voto parlamentare difficile e controverso.

Ma tutto questo può essere considerato conforme alla nostra Costituzione? Siamo ancora in una Repubblica Parlamentare che trova la sua fonte primaria nella Carta Costituzionale?

Ma è direttamente dalle parole del Presidente che si possono trarre le migliori e autentiche interpretazioni.

“Si può mettere a repentaglio la continuità di questo governo, impegnato in un programma di attività ben definito, senza offrire pesanti ragioni ai più malevoli e anche interessati critici e detrattori del nostro paese, pronti a proclamare l’ingovernabilità e inaffidabilità dell’Italia?

I contraccolpi a nostro danno, nelle relazioni internazionali e nei mercati finanziari, si vedrebbero subito e potrebbero risultare irrecuperabili.

E’ perciò indispensabile, nell’interesse generale, proseguire nella realizzazione degli impegni del governo Letta, sul piano della politica economica, finanziaria, sociale, dell’iniziativa europea, e insieme del ‘crono-programma’ di 18 mesi per le riforme istituzionali, già partito anche in Parlamento col primo voto sulla legge costituzionale che ne faciliterà il percorso.

Proseguire con maggiore e non minore coesione, sapendo che esitazioni da un lato o forzature dall’altro, esibite polemicamente, possono far sfuggire al controllo delle stesse forze di maggioranza la situazione.

E allora si sgombri il terreno da sovrapposizioni improprie, come quella tra vicende giudiziarie dell’on. Berlusconi e prospettive di vita dell’attuale governo. Dovrebbe riconoscersi che è interesse comune affidarsi con rispetto – senza pressioni né in un senso né nell’altro – alle decisioni della Corte di Cassazione, e affidarsi correttamente – chi ha da difendersi – all’esercizio dei diritti e delle ragioni della difesa. Anche al di là dei casi della giustizia, qualsiasi appello, rivolto politicamente in tutte le direzioni, ad abbassare i toni, ad abbandonare le posizioni ‘urlate’, a confrontarsi più pacatamente, va preso sul serio e può riuscire utile.

Occorre sgombrare il campo egualmente da gravi motivi d’imbarazzo e di discredito per lo Stato e dunque per il paese, come quelli provocati dall’inaudita storia della precipitosa espulsione dall’Italia della madre kazaka e della sua bambina, sulla base di una reticente e distorsiva rappresentazione del caso, e di una pressione e interferenza, l’una e le altre inammissibili da parte di qualsiasi diplomatico straniero.

Ne sono scaturiti anche interrogativi sul modo di garantire pienamente diritti fondamentali di persone presenti a qualsiasi titolo nel nostro paese.

Il governo ha opportunamente deciso – partendo da una prima ricostruzione della vicenda – innanzitutto di sanzionare comportamenti di funzionari titolari di delicati ruoli in materia di sicurezza, che hanno assunto decisioni non sottoposte al necessario vaglio dell’autorità politica e non fondate su verifiche e valutazioni rigorose. Ancor più importante è che il governo intervenga – come ha annunciato di voler fare – su norme di condotta e catene di gestione burocratiche che possono mettere in simili casi, e di fatto in questo caso concreto hanno messo, in serie difficoltà l’esecutivo.

Anche per dei ministri (ma non solo per loro), è assai delicato e azzardato evocare responsabilità oggettive, ovvero consustanziali alla carica che si ricopre.

E’ comunque del tutto evidente che a questo proposito da parte di forze politiche di opposizione si tenda in questo momento a far franare un equilibrio politico e di governo che si giudica spurio prima ancora che inadeguato.

Per spingere il paese, le sue istituzioni rappresentative, verso quale sbocco?

Tutti i propositi alternativi, anche se appaiano velleitari, possono essere legittimi.

Ma inviterei coloro che lavorano su ipotesi più o meno fumose o arbitrarie, a non contare su decisioni che quando si fosse creato un vuoto politico spetterebbero al Presidente della Repubblica e che io non starò certo ora ad anticipare.

Non ci si avventuri perciò a creare vuoti, a staccare spine, per il rifiuto di prendere atto di ciò che la realtà politica post-elettorale ha reso obbligato e per un’ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze cui si esporrebbe il paese”.

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