L’Assemblea di Palazzo Madama torna a riunirsi martedì 21 maggio alle ore 10 per ascoltare le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri sul Consiglio europeo del 22 maggio 2013. Nel pomeriggio è previsto l’esame del ddl di conversione del decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia sanitaria (ddl n. 298) e il seguito della discussione di mozioni sulle colture geneticamente modificate.
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MOZIONI SULLE COLTURE GENETICAMENTE MODIFICATE
(1-00019) (Testo 3) (16 aprile 2013)
DE PETRIS, STEFANO, PIGNEDOLI, PUPPATO, CIRINNA’, PETRAGLIA, DE CRISTOFARO, URAS, CERVELLINI, BAROZZINO, MARTINI, VALENTINI, PAGLIARI, CASSON, BERGER, DIRINDIN, VACCARI, CHITI, GIACOBBE, MANCONI, FEDELI – Il Senato,
premesso che:
l’agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica in atto e, in particolare, l’agricoltura italiana registra risultati migliori dell’industria e dell’economia nel suo complesso, in termini sia di contributo alla crescita economica che di occupazione; ancora meglio si posiziona l’industria alimentare che presenta indicatori in termini di valore aggiunto che sono costantemente migliori della media dell’industria in generale; l’export si conferma il motore dell’agroalimentare italiano, con un nuovorecord di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (con un incremento del 5,4 per cento sul 2011), e un avvio di 2013 molto promettente;
le performance attuali del settore dipendono da fattori sia generali del sistema Paese che specifici del settore, caratterizzato dalla profusione di un enorme sforzo dei produttori italiani a tutela della qualità e della tracciabilità della produzione agroalimentare nazionale, che si contrappone ad una visione diffusa a livello internazionale per la quale si tende a considerare la produzione agricola solo in termini dicommodity; in tale ultimo contesto, l’attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dalle produzioni transgeniche, a prescindere dalle conseguenze che ne derivano, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti dalle stesse multinazionali;
ad oggi i nodi da sciogliere connessi al settore transgenico sono ancora molti: oltre ai rischi per la salute e per l’agricoltura del Paese, che si contraddistingue per i suoi tradizionali prodotti tipici e di qualità, resta irrisolto il problema dell’impossibilità di coesistenza tra le colture geneticamente modificate con quelle convenzionali, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione, che determina un inquinamento dell’ambiente irreversibile;
una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità e significative resistenze all’impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l’attenzione sull’importanza che sia la comunità dei cittadini a prendere le decisioni di merito sull’uso di tali tecnologie, in considerazione delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione;
un’eventuale introduzione di colture transgeniche avrebbe, inoltre, come diretta conseguenza la messa in discussione di uno dei principali fattori di creazione di valore aggiunto del Paese e, cioè, il modello agricolo italiano, fondato su produzioni di qualità apprezzate sul mercato interno, ma ancor più all’estero, che danno vita a quel made in Italy così stimato da essere costantemente minacciato da imitazioni e falsificazioni;
la direttiva n. 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale, per quanto concerne sia l’immissione in commercio di organismi geneticamente modificati (Ogm), sia l’emissione deliberata di Ogm nell’ambiente, e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l’intero territorio nazionale come libero da Ogm attraverso l’applicazione della clausola di salvaguardia;
la stessa direttiva sull’emissione deliberata di Ogm è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 224 del 2003. Con tale atto il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale con il compito di coordinare l’attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e le comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della Commissione interministeriale di valutazione;
lo stesso decreto, all’articolo 25, recepisce quanto stabilito dall’articolo 23 della direttiva n. 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta clausola di salvaguardia mediante la quale le autorità nazionali preposte, per l’Italia i Ministeri dell’ambiente, delle politiche agricole e della salute, possono bloccare l’immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
la direttiva europea costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Infatti, con l’articolo 22 è previsto che gli Ogm autorizzati in conformità alla direttiva devono poter circolare liberamente all’interno dell’Unione, mentre con l’articolo 26-bis (introdotto dal regolamento (CE) n. 1829/2003), si dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti»;
successivamente l’Unione europea ha compiutamente regolamentato le procedure concernenti l’autorizzazione e la circolazione degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati con il citato regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio;
con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, erano state previste disposizioni per assicurare la coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale con la sentenza n. 116/2006 ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004 nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura. L’intervento della Corte ha causato un pericoloso vuoto normativo poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell’imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni disposizione nazionale o regionale che vieta l’utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’ottobre 2012 con cui la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 26-bis della direttiva n. 2001/18/CE. Per la Corte uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati, solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate. Viceversa uno Stato membro non può, nelle more dell’adozione di misure di coesistenza dirette ad evitare la presenza accidentale di Ogm in altre colture, vietare in via generale la coltivazione di prodotti modificati autorizzati ai sensi della normativa dell’Unione e iscritti nel catalogo comune;
fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva n. 2001/18/CE, attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee, che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni Ogm sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell’ambiente; più in generale e in ambito comunitario, l’Italia ha da sempre sottolineato l’importanza dell’impatto socio-economico derivante dall’uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all’ambiente e alla salute;
anche le Regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all’introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva n. 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di Ogm sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l’agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
a tal proposito la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, nelle more dell’approvazione della proposta di modifica della stessa direttiva in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, a procedere con l’esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 23 della direttiva n. 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 e, tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione, impegna il Ministro stesso a rappresentare al Ministro dell’ambiente e in occasione delle riunioni in sede comunitaria la posizione unanime delle Regioni e delle Province autonome di assoluta contrarietà rispetto all’autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale;
il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale, in assenza di una chiara posizione del Governo con l’adozione della clausola di salvaguardia, potrebbe essere imminente se, come si apprende da alcune notizie stampa, fosse vero che nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia e del Friuli ci sono 52.000 sacchi di mais transgenico autorizzato dalla UE Mon810, sufficienti a coltivare 32.000 ettari, pronti per le semine di primavera;
in presenza di rischi concreti, per il sistema agricolo nazionale, di inquinamento da colture transgeniche, che potrebbe verificarsi a causa di una normativa nazionale e comunitaria contraddittoria ed incompleta, lo stesso Ministro delle politiche agricole, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell’ambiente, in qualità di autorità nazionale in materia, di guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di Ogm in Italia; ad oggi 8 nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di Ogm autorizzate nei loro territori;
in realtà l’ultimo Rapporto del Servizio internazionale per l’acquisizione delle applicazioni biotecnologiche per l’agricoltura (ISAA) sullo status globale della commercializzazione di colture biotech/Ogm del febbraio 2013, ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo 5 Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare Ogm, con 129.000 ettari di mais transgenico piantati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria;
in data 29 marzo 2013 il Ministro della salute ha inoltrato alla Direzione generale Salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d’urgenza dell’autorizzazione alla messa in coltura in Italia e nel resto d’Europa di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro delle politiche agricole a norma dell’art. 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003,
impegna il Governo:
1) ad adottare la misura cautelare di cui all’articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall’art. 54 del regolamento (CE) n.178/2002, al fine di impedire ogni forma di coltivazione in Italia del mais transgenico Mon810 e di altri Ogm eventualmente autorizzati a livello europeo, a tutela della salute umana, dell’ambiente e della sicurezza del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
2) a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avviata in gran parte del Paese, l’impiego straordinario di reparti specializzati del Corpo forestale dello Stato per potenziare, d’intesa con le Regioni, le attività di controllo sui prodotti sementieri in corso di distribuzione e sull’eventuale presenza non autorizzata di sementi transgeniche.
(1-00027) (24 aprile 2013)
FATTORI, TAVERNA, GAETTI, CASALETTO, DE PIN, DONNO, NUGNES, LUCIDI, MARTELLI, MORONESE, AIROLA, ANITORI, BATTISTA, BENCINI, BERTOROTTA, BIGNAMI, BLUNDO, BOCCHINO, BOTTICI, BUCCARELLA, BULGARELLI, CAMPANELLA, CAPPELLETTI, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, COTTI, CRIMI, DE PIETRO, ENDRIZZI, FUCKSIA, GAMBARO, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, MANGILI, MARTON, MASTRANGELI, MOLINARI, MONTEVECCHI, MORRA, MUSSINI, ORELLANA, PAGLINI, PEPE, PETROCELLI, PUGLIA, ROMANI Maurizio, SANTANGELO, SCIBONA, SERRA, SIMEONI, VACCIANO – Il Senato,
premesso che:
la Monsanto è una multinazionale americana che, grazie al pressoché indiscusso monopolio delle sementi geneticamente modificate, rappresenta oggi il sinonimo mondiale di organismo geneticamente modificato (Ogm). Il 22 aprile 1998 la Monsanto Europe ha ricevuto l’autorizzazione dalla Commissione europea per l’immissione in commercio del mais Mon810, che produce la proteina insetticida cryA per l’inclusione del gene del batterio Bacillus thuringiensis, ai sensi della direttiva 90/220/CEE, del Consiglio, del 23 aprile 1990;
il Mon810 non ha ancora ricevuto il rinnovo dell’autorizzazione concessa ai sensi della direttiva 90/220/CEE, abrogata dalla direttiva 2001/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001;
nel luglio del 2004 prima e nel maggio del 2007 poi, la Monsanto ha fatto richiesta di riconoscimento del Mon810 come prodotto esistente al momento dell’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1829/2003, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, che ha sostituito parte della direttiva 2001/18/CE sull’immissione in commercio di Ogm;
il Mon810 è attualmente sul mercato in applicazione dell’art. 20, paragrafo 4, del citato regolamento (CE) n. 1829/2003;
a tutt’oggi, le uniche piante transgeniche autorizzate alla coltivazione sono il richiamato mais ed una patata (varietà Amflora) prodotta dalla Basf e destinata prevalentemente all’industria cartaria;
in Italia non esistono coltivazioni di piante transgeniche e la commercializzazione dei loro prodotti avviene nel rispetto delle regole che riguardano l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi contenenti Ogm;
risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di Ogm, estranee all’interesse comune dei cittadini europei, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell’Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integre, ossia non inquinate da Ogm, le produzioni agricole di qualità, che rappresentano il vero valore aggiunto sul mercato alimentare globale;
nei Paesi sul cui territorio è stata autorizzata la coltivazione degli Ogm, nonostante l’adozione dei piani di coesistenza, non è stato possibile evitare la contaminazione con varietà tradizionali e colture biologiche;
questo inquinamento, irreversibile, era previsto già nella direttiva 2001/18/CE, che, per l’emissione deliberata nell’ambiente degli Ogm, al punto 4 dei considerando riporta: «gli organismi viventi immessi nell’ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
la normativa europea sull’emissione nell’ambiente di Ogm appare assai confusa, come dimostrato dalle decisioni del Consiglio di Stato francese e del Consiglio di Stato italiano di ricorrere alla Corte di giustizia dell’Unione europea per ottenere l’interpretazione su come dirimere cause nazionali riguardanti la coltivazione del richiamato mais Ogm;
nei diversi dossier tecnici prodotti dalle aziende biotech ai fini della loro valutazione da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), vengono evidenziate differenze statisticamente significative nella composizione biochimica degli Ogm rispetto alle varietà di origine, nonché negli effetti sulla salute degli animali oggetto degli studi di tossicità, i quali presentano generalmente alterazioni del sistema enzimatico, epatico e renale;
l’EFSA ha sin qui giustificato le differenze statisticamente significative di diversi Ogm, incluso il Mon810, come dovute alla variabilità naturale;
il Mon810 può essere usato solo nei mangimi e non per l’alimentazione umana (in quanto autorizzato ai sensi dell’art. 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003, che si trova nel capo III relativo ai mangimi geneticamente modificati, laddove gli Ogm per alimenti sono regolamentati al capo II);
diversi membri del panel di esperti sugli Ogm dell’EFSA sono stati accusati di conflitto di interessi per la loro appartenenza ad aziende con chiari interessi economici nel mercato delle piante transgeniche;
nonostante la normativa di riferimento si ispiri al principio di precauzione, l’art. 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 carica la società civile dell’onere della prova definitiva circa la pericolosità degli Ogm autorizzati;
avendo valutato l’urgenza di riavviare con determinazione il percorso per adottare una disciplina organica, cautelativa e restrittiva in merito alla possibilità di coltivazioni Ogm nel nostro Paese e con lo scopo di riportare l’attenzione del Governo sull’urgenza di adottare la cosiddetta clausola di salvaguardia, sancita dall’art. 23 della direttiva 2001/18/CE (come già sollecitato nell’atto 4-00050 della Camera dei deputati), relativa al mais geneticamente modificato Mon810, che consentirebbe di scongiurare l’eventuale semina da cui potrebbe derivare una contaminazione ambientale irreversibile, una delegazione del Gruppo parlamentare “Movimento Cinque Stelle” ha incontrato il 28 marzo 2013 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania, e, il 3 aprile 2013, i Ministri dell’ambiente e della salute, Corrado Clini e Renato Balduzzi;
dagli incontri suddetti, anche secondo quanto riportato da numerose agenzia stampa, è emersa la reale disponibilità dei Ministri ad un concreto intervento in questa direzione; in particolare il giorno 4 aprile 2013, il ministro Catania ha dichiarato: “Il ministero della Salute ha dato seguito alla nostra richiesta e al dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), chiedendo alla Commissione europea la sospensione d’urgenza dell’autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 in Italia e nel resto dell’Unione europea” (si veda “Il Corriere della sera” del 4 aprile 2013);
è necessario ricordare che la clausola di salvaguardia è già stata adottata da Stati membri dell’Unione europea quali Germania, Francia, Austria, Ungheria, Polonia, Grecia e Lussemburgo,
impegna il Governo:
1) a mettere in atto tutte le azioni possibili per avviare il procedimento di adozione della clausola di salvaguardia previsto dall’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE;
2) a richiedere la sospensione dell’uso del Mon810 sino al rilascio di una nuova autorizzazione che risponda appieno ai requisiti richiesti di dimostrata innocuità nella coltivazione e nell’uso come alimento o mangime;
3) a ridefinire, in concertazione con la Commissione, in maniera precisa e puntuale, il concetto di “rilascio in ambiente” per gli Ogm, che differisce in maniera sostanziale dal concetto di “immissione in commercio” e che da questo deve essere efficacemente separato.
(1-00038) (14 maggio 2013)
BITONCI, CALDEROLI, ARRIGONI, BELLOT, BISINELLA, CANDIANI, CENTINAIO, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAVICO, DIVINA, MUNERATO, STEFANI, STUCCHI, VOLPI – Il Senato,
premesso che:
il dibattito scientifico sullo sviluppo dell’agricoltura transgenica si articola intorno a chi ritiene che gli organismi geneticamente modificati (Ogm) non producano rischi di alcun genere e quanti invece affermano che i pericoli che scaturiscono da manipolazioni genetiche siano di gran lunga superiori agli eventuali benefici;
a prescindere dal confronto tra opposti pareri, il dato scientifico evidenzia che gli Ogm, siano essi microrganismi animali o vegetali, hanno caratteristiche genetiche e riproduttive alterate, e che la comunità scientifica, in merito ai loro effetti sulla salute umana, non ha ancora espresso una posizione univoca;
i risultati di uno studio realizzato dall’università francese di Caen dimostrano la tossicità degli Ogm a seguito di alcuni esperimenti condotti su cavie nutrite con mais Monsanto Ogm, le quali hanno cominciato a manifestare gravissime patologie con una incidenza da due a cinque volte superiore al gruppo di controllo rappresentato da cavie nutrite con mais non transgenico;
i suddetti risultati, oltre a mettere in dubbio la validità delle ricerche effettuate finora dalle impresebiotech, evidenziano notevoli problematiche nella metodologia usata per testare la sicurezza dei prodotti transgenici, tra cui la durata troppo breve della analisi condotte, mediamente 3 mesi a fronte dei 24 impiegati dalla ricerca in questione, e l’esiguità del numero di cavie utilizzate;
a seguito di tali ulteriori pareri sulla tossicità degli Ogm e sull’ambiguità del processo di autorizzazione, che pare privo delle garanzie minime di sicurezza e pertanto in contrasto con il principio di precauzione che l’Unione europea pone a tutela della salute umana, sarebbe opportuno vietare l’importazione di prodotti transgenici, così come recentemente stabilito dalla Federazione Russa, e sospendere ad ogni livello e in tutta Europa il rilascio delle licenze alla semina di Ogm autorizzati e risultati tossici;
recentemente il Ministro della salute Balduzzi, a seguito del dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), ha chiesto alla Commissione europea che quest’ultima effettui una nuova valutazione completa del Mon810 alla luce delle ultime linee guida, definisca adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di tali Ogm e, nel frattempo, sospenda urgentemente l’autorizzazione alla messa in coltura di sementi di Mais Mon810 nel nostro Paese e nell’Unione europea (si veda l’articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” del 4 aprile 2013);
il Ministro delle politiche agricole Mario Catania si ritenne soddisfatto della richiesta del ministro Balduzzi (si veda il citato articolo pubblicato sul “Corriere della Sera”), riprendendo così la linea sempre tenuta dalla Lega Nord e dal ministro Zaia sulla necessità di procedere con forza nella direzione di salvaguardare l’identità e la ricchezza dei prodotti nostrani, che sono alla base del successo del settore agroalimentare, e di far sì che gli Ogm non attentino alla nostra agricoltura identitaria, culla della biodiversità che deve essere preservata;
l’impatto socio-economico della innovazione derivante dall’introduzione in agricoltura di Ogm è fortemente negativo rispetto alle esigenze dei consumatori e agli obiettivi di politica agraria del Paese;
l’agricoltura italiana è essenzialmente di tipo multifunzionale e assolve a compiti che vanno oltre la semplice produzione di alimenti e materie prime, svolgendo un ruolo di difesa integrata del territorio e di tutela del paesaggio e degli aspetti culturali tradizionali legati alle aree rurali, la cui valorizzazione, grazie alla presenza costante dell’agricoltore, trasforma la marginalità in opportunità;
gli Ogm rappresentano invece il simbolo di una agricoltura non finalizzata alla produzione di cibo e alla conservazione del territorio, ma alla creazione di reddito e al controllo dei mercati mondiali da parte di poche multinazionali;
il nostro Paese è la culla della biodiversità, con 4.500 prodotti tipici frutto di secoli e secoli di storia;
il mais transgenico, la cui coltivazione è autorizzata da anni in Europa, non copre più dell’1 per cento della produzione totale. Il vero business delle multinazionali non sarebbe nella coltivazione, ma nel brevetto delle sementi;
gli Ogm non servirebbero a sfamare il mondo, perché non esiste un patto etico per destinare un’eventuale sovrapproduzione a chi muore di fame. Dove si vendono gli Ogm, i ricchi consumano prodotti da agricoltura biologica, i poveri cibi geneticamente modificati;
quanto riportato testimonia che il dibattito sul tema in questione è ancora aperto e che la prudenza è indispensabile di fronte a scelte che modificano profondamente l’ambito nel quale vengono applicate e che impattano non solo sugli equilibri di mercato ma soprattutto sulla salute dei cittadini;
la direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di Ogm, prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l’intero territorio nazionale come libero da Ogm attraverso l’applicazione del principio di “salvaguardia”;
questa direttiva è stata recepita nell’ordinamento con decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, in cui, all’articolo 25, si prevede che i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio, della salute e delle politiche agricole e forestali, per quanto di rispettiva competenza, possono, con provvedimento d’urgenza, limitare o vietare temporaneamente l’immissione sul mercato, l’uso o la vendita sul territorio nazionale di un Ogm, come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato, che rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente, valutazione fondata su informazioni esistenti basate su nuove o supplementari conoscenze scientifiche;
il provvedimento, altresì, può indicare le misure ritenute necessarie per ridurre al minimo il rischio ipotizzato ed è immediatamente comunicato dai Ministeri della salute e delle politiche agricole all’autorità nazionale competente, la quale dà immediata comunicazione alla Commissione europea e alle autorità competenti degli altri Stati membri dei provvedimenti adottati, fornendo le relative motivazioni basate su una nuova valutazione dei rischi e indicando se e come le condizioni poste dall’autorizzazione devono essere modificate o l’autorizzazione stessa deve essere revocata. Dei predetti provvedimenti l’autorità nazionale competente dà idonea informazione al pubblico;
la normativa comunitaria consente comunque alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di evidenze scientifiche contrarie;
le Regioni spesse volte hanno espresso la loro ferma contrarietà all’introduzione nel nostro Paese di colture transgeniche evidenziando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, di modifica della direttiva 2001/18/CE, per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di Ogm sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l’agricoltura del nostro Paese, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
ad oggi 8 Nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato le clausole di salvaguardia,
impegna il Governo:
1) a promuovere un intervento nelle competenti sedi europee affinché l’Unione europea sospenda il rilascio di autorizzazioni alla semina, in tutto il territorio dell’Unione, di Ogm autorizzati e risultati tossici e disponga il divieto di importazione di prodotti transgenici;
2) a procedere con l’esercizio della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003, che recepisce la direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di Ogm.
(1-00040) (Testo 2) (15 maggio 2013)
BERGER, ZELLER, PANIZZA, FAVERO, FRAVEZZI, LANIECE, NENCINI, PALERMO, DALLA ZUANNA, ZIN – Il Senato,
premesso che:
il dibattito scientifico sullo sviluppo dell’agricoltura transgenica è ancora molto acceso e si articola intorno a chi ritiene che gli organismi geneticamente modificati (Ogm) non producano rischi né per i consumatori né per l’agricoltura e quanti, invece, affermano che i pericoli per la salute dei cibi Ogm siano di gran lunga sottovalutati;
molti ricercatori indipendenti hanno già da tempo denunciato criticità emerse nei test di verifica di potenziali effetti nocivi sulla salute e, a prescindere dal confronto tra opposti pareri, la comunità scientifica non ha ancora espresso una posizione univoca;
secondo la normativa comunitaria sull’impiego di Ogm, la valutazione del rischio viene effettuata dal soggetto interessato ad ottenere l’autorizzazione del prodotto e quindi è svolta in ambienti extra europei dove non si tiene conto della particolarità territoriale italiana. Gli Stati membri e l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) partecipano al procedimento autorizzatorio e i singoli Paesi possono altresì effettuare studi sul monitoraggio post immissione al fine di verificare gli effetti sull’ambiente e sulla salute umana;
l’introduzione in agricoltura di Ogm sembrerebbe economicamente vantaggiosa solo in realtà agricole con grandi estensioni di terreno, assenti in Italia, e l’impatto degli Ogm sulla biodiversità è tuttora in fase di studio;
l’agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica e, grazie all’enorme sforzo dei produttori italiani, continua a garantire prodotti di qualità e di origine controllata;
l’elevato standard di qualità dei prodotti tipici nazionali e dei sistemi agricoli locali – l’Italia è il primo produttore di prodotti biologici in Europa – rappresenta un valore aggiunto unico sul quale puntare, in grado di creare sinergie con il settore turistico nell’attuale momento di crisi. L’agricoltura italiana svolge, inoltre, un ruolo fondamentale per la difesa integrata del territorio e per la tutela del paesaggio e degli aspetti culturali tradizionali legati alle aree rurali, che va riconosciuto e valorizzato;
gli Ogm invece non hanno alcun valore aggiunto né per i consumatori né per l’agricoltura finalizzata alla produzione di cibo e alla conservazione del territorio, ma sono finalizzati alla creazione di reddito e al controllo dei mercati da parte di poche multinazionali;
è errato affermare che senza l’ingegneria genetica non avremmo alcuni dei prodotti italiani più tipici: incroci e mutagenesi non hanno nulla a che vedere con le modifiche genetiche che danno origine agli Ogm;
per quanto riguarda i Paesi poveri, emerge che gli Ogm sono ben lontani dall’essere uno strumento per l’equa distribuzione del cibo. I Paesi poveri che esportano la loro produzione agricola di sussistenza, rinunciando a sovranità e sicurezza alimentare, subiscono spesso ulteriori danni, che vanno dalla scomparsa di tradizioni e culture locali al pagamento dei diritti di brevetto, fino ad arrivare al danno più grave che riguarda la perdita di biodiversità, vera ed unica ricchezza dei Paesi poveri;
la difficile applicabilità delle regole di coesistenza nei territori, come dimostrato da studi recenti, deriva anche dall’impossibilità di controllare tutti i fattori in grado di influenzare il trasporto di polline e semi. La “fuga” di transgeni nell’ambiente – gli Ogm si diffondono in modo incontrollato (nell’aria, nell’acqua e nel suolo) anche a molti chilometri di distanza – rischia pertanto di produrre ripercussioni negative sui prodotti delle colture tradizionali e biologici;
recenti risultati di uno studio, realizzato dall’università francese di Caen, dimostrano la tossicità degli Ogm a seguito di alcuni esperimenti condotti su cavie nutrite con il mais Monsanto Ogm, le quali hanno cominciato a manifestare gravissime patologie con una incidenza da due a cinque volte superiore al gruppo di controllo, rappresentato da cavie nutrite con mais non transgenico;
dal 28 gennaio 2013 la Polonia ha vietato la coltivazione del mais geneticamente modificato Mon810 della Monsanto e della patata Amflora della Basf, diventando così l’ottavo Stato membro ad imporre misure di salvaguardia nazionali nei confronti delle colture geneticamente modificate, insieme a Francia, Germania, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Lussemburgo;
la direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, costituisce il testo normativo fondamentale, per quanto concerne sia l’immissione in commercio di Ogm, sia la loro emissione deliberata nell’ambiente, e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l’intero territorio nazionale come libero da Ogm attraverso l’applicazione della clausola di salvaguardia per vietare, temporaneamente, l’uso o la vendita di un prodotto Ogm se ritenuto che rappresenti un rischio per la salute o per l’ambiente;
quando si parla di Ogm va ricordato, infine, che la materia vivente del pianeta è il bene comune più prezioso per tutti (più dell’acqua), che non è ammissibile compiere sperimentazioni che mettano a rischio la salute dei giovani, e che la responsabilità politica nei confronti dei giovani deve superare ogni cosa,
impegna il Governo:
1) a procedere con l’esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di Ogm;
2) a richiedere la sospensione dell’uso del Mon810.
(1-00042) (14 maggio 2013)
FORMIGONI, DALLA TOR, RUVOLO, ZANETTIN, SCOMA, SERAFINI, COLUCCI, ROMANI Paolo, CARIDI, ZUFFADA – Il Senato,
premesso che:
l’utilizzazione degli Organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura ha assunto dimensioni sempre più consistenti negli ultimi anni, con una dinamica di diffusione di grande rapidità. Tale costante crescita ha portato negli ultimi anni ad una stima di superficie coltivata ad Ogm nel mondo superiore ai 130 milioni di ettari, circa il 9 per cento dell’intera superficie mondiale coltivata;
tale assunto deve peraltro tener conto del fatto che la commercializzazione dei prodotti Ogm ha avuto effettivamente inizio intorno al 1996;
dai dati emersi nel corso dell’indagine conoscitiva svolta nella XVI Legislatura dalle Commissioni permanenti 7ª (Istruzione pubblica, beni culturali) e 9ª (Agricoltura e produzione agroalimentare) risulta che la tendenza è ad un aumento nell’ordine dei 10 milioni di ettari l’anno e che la superficie potenzialmente coltivabile con gli attuali Ogm è di oltre 300 milioni di ettari. Nell’Unione europea la coltivazione Ogm è praticata attualmente in cinque Paesi: Spagna, Repubblica Ceca, Romania, Portogallo e Slovacchia, mentre a livello mondiale i cinque principali Paesi in via di sviluppo che coltivano Ogm sono India, Cina, Argentina, Brasile e Sud Africa;
vige una regolamentazione tanto a livello di Unione europea quanto a livello nazionale in materia di Ogm. Basti citare da ultimo il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, di attuazione della direttiva 2001/18/CE, concernente l’emissione deliberata nell’ambiente di Ogm, cui ha fatto seguito il decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, recante “Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza fra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica”, sul quale è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2006 per definire il regolamento di confini tra la competenza regionale e quella dello Stato;
considerato che:
la disciplina europea già trasposta nell’ordinamento interno prevede controlli e procedure di autorizzazione che verificano la non dannosità con riguardo sia alla salute che all’ambiente degli Ogm ai sensi del regolamento n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati;
la disciplina europea prevede, altresì, il coinvolgimento, tra l’altro, dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) che si raccorda con gli Stati membri e con la Commissione europea, esprimendo parere sull’Ogm di cui si chiede l’immissione in commercio;
considerato altresì che:
in Italia allo stato attuale non appare ancora adeguatamente sostenuta e sviluppata la ricerca sugli Ogm, con la conseguenza che risulta impedito lo svilupparsi di un know how italiano in grado di competere con il know how delle grandi imprese multinazionali, che dispongono, al contrario, di ingenti risorse e strutture;
da un punto di vista oggettivo le produzioni di Ogm sono già utilizzate in molti prodotti presenti in Europa e in Italia, quali, a titolo esemplificativo, i mangimi di soia destinati agli allevamenti bovini e suini;
è interesse dell’Italia e dell’Europa tutelare una filiera agricola specifica, distinguendo i prodotti alimentari tipici e garantendone la non riproducibilità altrove; l’industria agroalimentare europea, infatti, è una delle più importanti a livello di persone impiegate, risultati economici ed esportazioni;
occorrerebbe pertanto superare impostazioni ideologiche e pregiudizialmente favorevoli o contrarie alle produzioni di Ogm, motivate, queste ultime, esclusivamente sulla base di ragioni di tutela della salute o dell’ambiente, per adottare invece un’ottica omnicomprensiva che tenga conto anche delle esigenze economiche e di mercato;
in particolare, occorre evitare il perpetuarsi di una sostanziale situazione di stallo della ricerca italiana in materia di Ogm, al fine di arrivare a disporre di dati scientifici specifici sul delicatissimo tema della coesistenza di colture geneticamente modificate, biologiche e tradizionali,
impegna il Governo:
1) a sostenere con forza il settore della ricerca scientifica italiana in materia di Ogm, al fine di raccogliere dati e informazioni scientificamente precisi che consentano di verificare la correttezza dei dati forniti da altri organismi di ricerca e dalle imprese multinazionali produttrici;
2) a rafforzare la già efficace opera di monitoraggio e controllo posta in essere con il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato, il quale da tempo effettua verifiche a livello sia nazionale che regionale per evitare la contaminazione tra colture geneticamente modificate e non;
3) a stimolare l’adozione di decisioni, anche a livello regionale, in materia di coesistenza tra coltivazioni Ogm e non.