Carta Costituzionale italiana
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di Leonardo Salvemini. Commento alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 67 del 2013.

La determinazione della tariffa dei servizi idrici : tra tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 67 del 12 aprile 2013, affronta nuovamente la questione mai sopita della competenza regionale in materia di risorse idriche integrate e del relativo regime tariffario.

La sentenza in analisi risolve il giudizio di costituzionalità sollevato dal Presidente del Consiglio dei ministri dichiarando la illegittimità degli articoli 4, comma 2, lettera e), 7, commi 4 e 5, e 11, comma 1, della legge della Regione Veneto 27 aprile 2012, n. 17 (Disposizioni in materia di risorse idriche) .

Il caso nasce dal ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale ha proposto questione di legittimità costituzionale in via principale degli articoli 4, comma 2, lettera e), 7, commi 4 e 5, e 11, comma 1, della legge della Regione Veneto 27 aprile 2012, n. 17 (Disposizioni in materia di risorse idriche), perché in contrasto con l’art.117, secondo comma, lettera e) ed s), Cost. ; con gli articoli 154 e 161 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale); con l’articolo 10, comma 14, lettere c), d), e), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
Il Governo nel ricorso evidenzia, in primo luogo, che gli articoli 4, comma 2, lettera e) e 7, comma 4, della legge impugnata, attribuendo espressamente ai consigli di bacino la funzione di approvare le tariffe ed i relativi aggiornamenti del servizio idrico integrato andrebbero ad incidere nelle materie della tutela dell’ambiente e della tutela della concorrenza, entrambe di competenza legislativa esclusiva dello Stato, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost..

Le disposizioni regionali in esame, infatti, si porrebbero in contrasto con gli artt. 154 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, che riserverebbero allo Stato la determinazione delle tariffe in questione, nonché con l’art. 10, comma 14, lettera e), del d.l. n. 70 del 2011, secondo il quale l’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua (ora sostituita dall’Autorità per l’energia elettrica e gas, ai sensi dell’art. 21, comma 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214) «approva le tariffe predisposte dalle autorità competenti».

Tali conclusioni sarebbero confermate, a giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri, dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale in più occasioni, ed in particolare con le sentenze n. 29 del 2010 e n. 246 del 2009, avrebbe :
a. affermato che, attraverso la determinazione della tariffa, il legislatore statale fissa livelli uniformi di tutela dell’ambiente, in quanto in tal modo persegue la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità;
b. Sotto altro connesso profilo, poi, verrebbe in rilievo la materia della tutela della concorrenza, in quanto la determinazione della tariffa sarebbe volta ad ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e ad assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio. L’uniforme metodologia tariffaria, adottata con l’interposta legislazione statale, sarebbe, dunque, finalizzata a preservare il bene giuridico “ambiente” dai rischi derivanti da una tutela non uniforme ed a garantire uno sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato.
In particolare, poi, il citato art. 7, comma 4, presenterebbe un ulteriore profilo di illegittimità, in quanto, nel definire la tariffa del servizio idrico integrato, prevedendone l’articolazione per fasce territoriali, per tipologia di utenza, per scaglioni di reddito e per fasce progressive di consumo, invaderebbe la competenza statale sussistente per l’individuazione delle quote e delle componenti di costo ambientale della risorsa, che, ai sensi dell’art. 154, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, sono definite dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, ponendosi in contrasto anche con l’art. 10, comma 14, lettere c) e d), del citato d.l. n. 70 del 2011.

In base a questa ultima disposizione l’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua – ora sostituita dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, – definisce le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per vari settori di impiego dell’acqua, anche in proporzione al grado di inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori di impiego ed ai costi conseguenti a carico della collettività.

Sarebbe quindi l’Autorità a predisporre il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell’utilizzo delle risorse idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse.

Di conseguenza, anche sotto tale profilo, la disposizione regionale impugnata, incidendo sulla determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici, sarebbe riconducibile alla materia della tutela dell’ambiente e a quella della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, violando l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost..

Il Governo censura l’art. 7, comma 5, della citata legge reg. Veneto, che attribuisce ai consigli di bacino il compito di determinare una quota di investimento non inferiore al 3% degli introiti della tariffa dell’anno precedente – individuata nella previsione annuale dei proventi da tariffa per i vari settori di impiego dell’acqua – destinata alle comunità montane e, in subordine, ai comuni interessati, per la realizzazione di interventi a tutela dell’assetto idrogeologico montano a difesa della qualità delle risorse idropotabili.

Questa disposizione, secondo il Governo “pur in astratto ragionevole”, incidendo sulle componenti tariffarie, si porrebbe in diretto contrasto con gli artt. 154 e 161 del codice dell’ambiente, di cui al citato d.lgs. n. 152 del 2006 nonché con il sopracitato art. 10, comma 14, del d.l. n. 70 del 2011, che attribuiscono allo Stato la determinazione delle componenti di costo delle tariffe.

Infatti, in un sistema in cui è riservato allo Stato determinare le componenti che concorrono a determinare la tariffa, incluse quelle riguardanti le modalità di recupero dei costi ambientali e delle risorse, la disposizione regionale impugnata, fissando una quota minima di destinazione, invaderebbe anche in questo caso la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza, ponendosi così in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost..

Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, ancora, l’art. 11, comma 1, della più volte citata legge regionale, assumendo che anche tale norma, attribuendo al Presidente della Giunta regionale il potere sostitutivo in caso di inerzia dei Consigli di bacino nell’approvazione delle tariffe e dei relativi aggiornamenti, sarebbe invasiva della competenza statale esclusiva in materia di tariffe del servizio idrico integrato.
Quindi non sarebbe attribuibile alla Regione un potere sostitutivo relativamente ad una funzione che non le compete, spettando alle autorità statali il potere di approvazione delle tariffe, in particolare, come già specificato, ai sensi dell’art. 10, comma 14, lettera e), del d.l. n. 70 del 2011. Del resto, il citato art. 10, comma 14, alla lettera c) attribuirebbe espressamente tale potere sostitutivo all’Autorità statale, prevedendo che la stessa «nel caso di inutile decorso dei termini previsti dalla legge per l’adozione degli atti di definizione della tariffa da parte delle autorità competenti (…) provvede nell’esercizio del potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti interessate, entro sessanta giorni, previa diffida all’autorità competente ad adempiere entro il termine di venti giorni».

Ora, anche detta disposizione regionale, invadendo le competenze statali in materia di ambiente e di tutela della concorrenza, alle quali sarebbe ascrivibile l’esercizio delle funzioni amministrative riguardanti la determinazione delle tariffe cui si riferisce il potere sostitutivo, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost..

La Regione Veneto controdeduce a quanto evidenziato dal Governo, affermando l’infondatezza del ricorso e sottolineando in linea generale che le Regioni sono dotate di competenza legislativa esclusiva ( residuale) in materia di servizi pubblici e di competenza concorrente in materia di governo del territorio.

Non solo, l’art. 142, comma 3, del Codice dell’ambiente attribuisce alle stesse poteri in materia tariffaria alle Autorità d’ambito stabilendo che: «gli enti locali, attraverso l’Autorità d’ambito di cui all’articolo 148, comma l, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto»

Ora, con riferimento agli artt. 4, comma 2, lettera e), e 7, comma 4, la Regione Veneto afferma che le disposizioni regionali non userebbero «tale termine nel senso tecnico di definitiva sanzione di un atto da altri già adottato»; esse, invece, intenderebbero «attribuire ai Consigli di bacino la misura di competenza, nella deliberazione della tariffa, prevista dalla legislazione statale, senza affatto pregiudicare l’approvazione in senso tecnico», che continuerebbe a spettare agli organi statali.

L’intenzione del legislatore regionale, è quindi, di porsi nel rispetto della normativa statale e questo lo si ricaverebbe dal rinvio che lo stesso art. 7, comma. 4, della legge reg. n. l7 del 2012 farebbe all’art. 154 del Codice dell’ambiente.

Tale richiamo, infatti, renderebbe evidente che l’approvazione altro non sarebbe che la “determinazione” di cui allo stesso art. 154 (e la “predisposizione” di cui alla vigente formulazione dell’art. 154, comma 4).

Si tratterebbe di una ipotesi di novazione della fonte normativa statale in sede regionale, in materie che afferiscono alla competenza esclusiva dello stato.

In merito al secondo motivo di ricorso relativo al citato art. 7, comma 4, la censura, secondo la tesi regionale, sarebbe “doppiamente infondata”:
a. da un lato, l’articolazione della tariffa non interferirebbe con il potere statale di determinare le componenti di costo,
b. dall’altro, tale articolazione costituirebbe essa stessa attuazione di norme statali.

Si dovrebbero, infatti, tenere distinte le componenti di costo, intese come voci generali, non specificate, né “bilanciate”, che devono essere tenute presenti nel calcolo per determinare la tariffa, dal metodo tariffario, che serve a definire le singole voci che rientrano nelle componenti di costo e i criteri per calcolarne l’entità.

Date le componenti di costo definite dal Ministro dell’ambiente essenzialmente, costi operativi e ammortamenti e remunerazione del capitale investito, il metodo individuerebbe quali categorie di costi rientrino fra i costi operativi, quali categorie di ammortamenti rientrino nella relativa voce e con quali aliquote di ammortamento, cosa si intenda per “capitale investito” e come si calcoli la misura della remunerazione del capitale investito.

Tale assetto non sarebbe posto in discussione allorché la Regione preveda un’articolazione della tariffa «per fasce territoriali, per tipologia di utenza, per scaglioni di reddito e per fasce progressive di consumo», in quanto la distinzione tra l’articolazione della tariffa e la determinazione delle componenti di costo e del metodo tariffario risulterebbe dal decreto del Ministro dell’ambiente 1° agosto 1996 (Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato) e dall’abrogato art. 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, recante “Disposizioni in materia di risorse idriche” (di cui il d.m. citato è attuazione).

L’art. 7 di tale d.m. disporrebbe che «lo stesso ambito provvede ad articolare la tariffa per fasce di utenza e territoriali, secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 3, della legge n. 36 citata», rendendo in tale modo evidente che l’articolazione della tariffa spetterebbe al soggetto competente, in un momento successivo rispetto alla determinazione.

Secondo la Regione, quindi, tale assunto sarebbe confermato anche dall’art. 154, comma 6, del Codice dell’ambiente, il quale prevede che: «Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali». L’art. 142, comma 3, del predetto Codice renderebbe, infatti, chiaro che la “modulazione” della tariffa avviene al momento della sua adozione.

Questo sarebbe evidente che l’articolazione della tariffa non potrebbe che essere fatta a livello locale nell’ambito della materia “servizi pubblici locali”, riservata alla competenza regionale piena.

In definitiva, dunque, a giudizio della Regione l’articolazione della tariffa prevista dalla norma impugnata non implicherebbe una sovrapposizione con le funzioni statali e la censura sarebbe dunque infondata perché frutto di un «equivoco sulla portata della disposizione impugnata e per una incompleta considerazione della normativa statale».

Secondo la Regione, la censura relativa all’art. 7, comma 5, della legge reg. Veneto n. 17 del 2012 sarebbe radicalmente infondata, «per totale estraneità della norma in questione alla fase di determinazione della tariffa».

La norma impugnata, infatti, non atterrebbe alla fase “a monte” della determinazione della tariffa ma alla fase “a valle”, cioè all’utilizzo di una quota degli introiti tariffari. L’impugnata disposizione riguarderebbe, invece, il momento di redazione del piano economico finanziario, che concettualmente presuppone una tariffa già predeterminata, come sarebbe confermato sia dall’art. 154, comma 4, del Codice dell’ambiente, che dal precedente art. 149, comma 4 secondo cui «il piano economico finanziario è integrato dalla previsione annuale dei proventi da tariffa», il che presuppone che la tariffa sia già determinata.

La norma regionale riguarderebbe, dunque, la destinazione di una quota degli introiti, che viene destinata a scopi di “investimento”, in termini perfettamente coerenti con la circostanza che lo Stato, in sede di determinazione delle componenti di costo, vi comprenda anche “le modalità di recupero dei costi ambientali e delle risorse”.

Inoltre, con riferimento al potere sostitutivo dell’autorità statale, espressamente previsto in capo all’Agenzia, la Regione ritiene che la stessa norma indicata dal ricorrente, riconnettendo tale potere all’«istanza delle amministrazioni o delle parti interessate», affiderebbe alla legge regionale l’individuazione delle autorità competenti, nel quadro di un complessivo ruolo di governo del servizio pubblico.

La legge regionale impugnata, quindi, prevedrebbe «al livello regionale un primo meccanismo di garanzia dell’efficienza del sistema, meccanismo che si aggiunge – senza sostituirsi – a quello – ultimo – previsto dalla legislazione statale», che, a fronte dell’inerzia dell’autorità locale nell’adozione degli atti di propria competenza, affida al Presidente della Giunta regionale il potere di attivarsi. In tale modo il Presidente della Giunta diverrebbe esso stesso, in via sostitutiva, una delle «autorità al riguardo competenti», «competenti – s’intende – alla adozione di quegli atti, non alla loro definitiva approvazione».

Il fatto che la Regione garantisca, prima del decorso dei termini di legge, l’assunzione degli atti di competenza locale, secondo la resistente, non interferirebbe affatto con il potere statale di sostituirsi ad essi nel caso di inerzia.

Questi in sintesi la tesi dello Stato e quella della Regione Veneto.

La corte nell’affermare la illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate, aderendo alle tesi del Governo, evidenzia la violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e della concorrenza, con riferimento al procedimento di formazione delle tariffe del servizio idrico integrato.

Le questioni in esame si inseriscono nell’ambito della complessa evoluzione della normativa relativa alle procedure di determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato, la cui disciplina è contenuta principalmente nel d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

In particolare l’art. 154 del codice dell’ambiente, definisce la tariffa come «il corrispettivo del servizio idrico integrato» che viene determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga previsto dal codice dell’ambiente e dall’art. 191 del TFUE.

La norma, frutto peraltro di intervento abrogativo referendario, quanto alla quota della tariffa destinata alla remunerazione del capitale, dispone che «tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo» e che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua.

L’ art. 154 al comma modificato con il decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, dispone che sia il soggetto competente, al fine della redazione del piano economico-finanziario di cui all’articolo 149, comma 1, lettera d), a predisporre la tariffa di base, nell’osservanza del metodo tariffario di cui all’articolo 10, comma 14, lettera d), del d.l. n. 70 del 2011, ed a trasmetterla per l’approvazione all’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

L’articolo 10, comma 14, del d.l. n. 70 del 2011, nel disciplinare l’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua ora sostituita dall’Autorità per l’energia elettrica e gas, ai sensi dell’art 21, comma 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214 – dispone che l’Autorità, fra l’altro, definisce le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua, predispone il metodo tariffario, per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato ed «approva le tariffe predisposte dalle autorità competenti».

Infine, in conseguenza della soppressione delle Autorità d’ambito, di cui agli articoli 148 e 201 del d.lgs. n. 152 del 2006, il comma 186-bis della legge 23 dicembre 2009, n. 191 ha disposto che le Regioni attribuiscano con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

E’ in questo contesto che si colloca la legge regionale del Veneto in esame, la quale all’art. l, comma 5, ha disposto in primo luogo che «le funzioni amministrative relative alla programmazione e controllo del servizio idrico integrato di cui agli articoli 147 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, e successive modificazioni, sono esercitate per ciascun ambito territoriale ottimale da enti di regolazione denominati Consigli di bacino».

La Corte ha in più occasioni affrontato il problema dell’ambito materiale in cui collocare la disciplina della determinazione della tariffa del servizio idrico, giustificando originariamente l’azione unitaria svolta dallo Stato con il fine di garantire sull’intero territorio nazionale un trattamento uniforme alle varie imprese operanti in concorrenza tra loro, per evitare di produrre arbitrarie disparità di trattamento sui costi aziendali, conseguenti a vincoli imposti in modo differenziato sul territorio nazionale.

In particolare, con la sentenza n. 246 del 2009, il Giudice delle Leggi, ha scrutinato la disciplina della determinazione della tariffa d’ambito territoriale ottimale, la cui riconducibilità alla potestà normativa statale era stata contestata da alcune Regioni.

La pronuncia ha evidenziato che i poteri legislativi esercitati dallo Stato con la norma allora censurata «attengono all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e della tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), materie che hanno prevalenza su eventuali titoli di competenze regionali ed, in particolare, su quello dei servizi pubblici locali .

La sentenza n. 29 del 2010 ha ribadito che dal complesso normativo contenuto nel d.lgs. n. 152 del 2006 si desume che la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua è ascrivibile alla materia della tutela dell’ambiente e a quella della tutela della concorrenza, ambedue di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Ora, secondo il Giudice delle Leggi, attraverso la determinazione della tariffa, il legislatore statale ha fissato livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e «le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. La finalità della tutela dell’ambiente viene anche posta in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare, tra i quali il legislatore ha incluso espressamente quelli ambientali.

La medesima pronuncia, poi, collega l’uniforme metodologia tariffaria, adottata dalla legislazione statale, alla materia della tutela della concorrenza, in quanto «alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’ambito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e). Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante» (sentenza n. 246 del 2009, che richiama anche le sentenze n. 335 e n. 51 del 2008).

Grazie alla giurisprudenza della Corte, la stessa ha dunque ricostruito la disciplina statale relativa alla determinazione della tariffa, come complesso di norme atte a preservare il bene giuridico “ambiente” dai rischi derivanti da una tutela non uniforme ed a garantire uno sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato.

E’ quindi in relazione a tali principi che vanno esaminate le singole censure sollevate e che trovano inevitabilmente aderenza.
Dal testo della legge appare evidente come le disposizioni regionali impugnate riservino ad i enti regionali un’attività di approvazione e modulazione che, invece, dalle norme statali interposte, in particolare dall’articolo 10, comma 14, del d.l. n. 70 del 2011, risulta riservata allo Stato, nell’esercizio delle proprie competenze in materia di tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza.

Non può, infatti, attribuirsi rilievo alla proposta esegetica del verbo “approvare” suggerita dalla difesa della resistente, secondo cui tale attività andrebbe ricondotta nell’ambito della funzione di “determinazione” (secondo la lettera dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 vigente al momento della promulgazione della legge regionale) o di “predisposizione” della tariffa, attribuita alla Regione, nell’ambito della sua competenza in materia di servizi pubblici locali.

In proposito appare sufficiente richiamare la già citata sentenza n. 29 del 2010, la quale ha precisato che, allorché la normativa regionale incida, in particolare, sulle attribuzioni dei soggetti preposti al servizio idrico integrato, sottraendo parte della competenza ad essi riservata dagli artt. 154 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, per ciò stesso deve ritenersi illegittima, senza che, sotto tale profilo, possa essere rivendicata la competenza legislativa regionale in materia di servizi pubblici locali.

Peraltro, anche se si volesse ritenere che coincida con la predisposizione voluta dal sistema legislativo statale, il riferimento dell’art. 7, comma 4, al momento dell’articolazione della tariffa secondo fasce territoriali, per tipologia di utenza, per scaglioni di reddito e per fasce progressive di consumo, dimostra sistematicamente proprio quanto tale attività ecceda le competenze regionali. Siffatta attività, infatti, non potrebbe che essere ricompresa fra quelle riservate agli organi statali preposti, in virtù delle attribuzioni previste, fra l’altro, oltre che dal citato art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, anche dall’art. 10, comma 14, lettere c) e d), del d.l. n. 70 del 2011, che riserva all’Autorità per l’energia e per il gas non solo la definizione delle componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici, ma anche la redazione del metodo tariffario, riguardo a ciascuna delle quote di corrispettivo ed alla valutazione dei costi dell’utilizzo.

Tali ultime osservazioni, peraltro, impongono di ritenere assorbito nella pronuncia di accoglimento anche il secondo profilo della censura relativa allo stesso art. 7, comma 4, sollevato in riferimento all’attività di articolazione della tariffa.

Viene poi censurato l’art. 7, comma 5, della legge Reg. Veneto n. 17 del 2012, in quanto, attribuendo ai Consigli di bacino il compito di determinare una quota di investimento non inferiore al 3% degli introiti della tariffa per la realizzazione di interventi a tutela dell’assetto idrogeologico, ed incidendo in tal modo sulle componenti tariffarie, avrebbe invaso anche in tal caso le competenze statali in materia di tutela dell’ambiente e della concorrenza, ponendosi in contrasto, anche in questo caso, con gli artt. 154 e 161 del Codice dell’ambiente, nonché con l’art. 10, comma 14 del d.l. n. 70 del 2011, che attribuiscono allo Stato la determinazione delle componenti di costo delle tariffe.

La norma attribuisce ai Consigli di bacino il compito di determinare una quota di investimento non inferiore al 3% degli introiti della tariffa dell’anno precedente, destinata alle comunità montane e, in subordine, ai comuni interessati, per la realizzazione di interventi a tutela dell’assetto idrogeologico montano a difesa della qualità dell’acqua potabile.

E’ pacifico, tuttavia, in primo luogo, che la disciplina statale sopra richiamata riservi alle autorità statali la fissazione delle componenti di costo delle tariffe, atteso che, per il disposto del citato art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio “chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua. D’altra parte, la determinazione di un minimo della quota di investimento destinato alla tutela idrogeologica ed alla qualità delle risorse idriche, in quanto “costo”, non può che riflettersi proprio su dette componenti, di recupero dei costi ambientali e di investimento. E’ pertanto evidente l’attitudine della disposizione ad incidere sulle componenti tariffarie.

La ricostruzione suggerita dalla difesa regionale, secondo la quale si tratterebbe di un intervento “a valle” destinato ad incidere “solo” sull’utilizzazione degli introiti da tariffa, anche in questo caso non riesce a smentire la fondatezza delle censure, perché gli investimenti ambientali dei ricavi si caratterizzano, sul piano giuridico e non soltanto economico, come costi, che dallo Stato devono essere fissati, nell’ambito dei criteri generali per la fissazione della tariffa, anche attraverso la determinazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
La disciplina regionale impugnata, quindi, in quanto suscettibile di incidere sulle componenti tariffarie, ed in particolare sulle quote dei costi, nella specie dei costi ambientali, invade le materie tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza, riservate allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost.

Infine, il ricorrente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, della legge regionale in esame, in quanto, attribuendo esso al Presidente della Giunta regionale il potere sostitutivo in caso di inerzia dei Consigli di bacino nell’approvazione delle tariffe e dei relativi aggiornamenti, si porrebbe in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., perché invasivo anche in questo caso delle competenze statali in materia di tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza.

Va osservato, preliminarmente, come su di essa esplichi necessariamente un effetto dirimente la decisione di accoglimento, che iscrive nell’àmbito delle competenze statali l’attività di approvazione delle tariffe da parte dell’autorità di bacino, disciplinata dalle norme regionali impugnate.

Il censurato art. 11, comma 1, infatti, dispone che nelle ipotesi di accertata inerzia nell’adozione degli atti di cui all’art. 4, comma 2, lettere b), c), d) ed e), della medesima legge regionale – e quindi anche nell’adozione dell’atto di approvazione delle tariffe prevista dalla lettera e) – il Presidente della Giunta regionale, previa apposita diffida, provveda in via sostitutiva, anche mediante la nomina di un commissario ad acta.
L’attribuzione di un simile potere sostitutivo, relativamente ai casi di inerzia nell’approvazione o aggiornamento delle tariffe, riguardando una funzione che non compete alla Regione, necessariamente soffre del medesimo vizio di competenza della norma che aveva previsto la funzione.
Inoltre, emerge al riguardo anche il contrasto con l’art. 10, comma 14, del citato d.l. n. 70 del 2011, che espressamente attribuisce il potere sostitutivo all’Autorità statale, prevedendo che la stessa «nel caso di inutile decorso dei termini previsti dalla legge per l’adozione degli atti di definizione della tariffa da parte delle autorità competenti (…) provvede nell’esercizio del potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti interessate, entro sessanta giorni, previa diffida all’autorità competente ad adempiere entro il termine di venti giorni».

In conclusione la pronuncia in commento riafferma una competenza statale piena sui temi oggetto della legge regionale impugnata, pur evidenziando un “ buon senso” legislativo non costituzionalmente orientato.

La Regione Veneto potrebbe su questo tema chiedere l’applicazione di quelle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo in particolare alla lettera s ( tutela dell’ambiente e dell’ecosistema)), che possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119, di cui al terzo comma dell’art. 116 cost.
Leonardo Salvemini 14.05.2013

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