di Fulvio Conti Guglia. La recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione del marzo 2013, sottoliniando che, l’art.31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001, sostanzialmente riproduttivo di quanto già disponeva l’art. 7 della legge n. 47 del 1985, prevede che l’opera acquisita di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune in forza di inottemperanza all’ordine di demolizione “è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali”; il legislatore ha così previsto che l’interesse al ripristino dello status quo ante, quale strumento sanzionatorio di condotte poste in essere in violazione delle prescrizioni finalizzate al perseguimento di un ordinato assetto del territorio, debba recedere a fronte di interessi pubblici di diverso genere tuttavia prevalenti rispetto al raggiungimento di un tale risultato e che impongano la permanenza dell’opera, sempre che la stessa non contrasti con rilevanti interessi urbanistici e ambientali.
Sicché, rientra tra i poteri specifici del Consiglio comunale il dichiarare legittimamente la prevalenza di interessi pubblici ostativi alla demolizione alle seguenti condizioni:
1) assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell’ipotesi di costruzione in zona vincolata, assenza di contrasto con interessi ambientali: in quest’ultimo caso l’assenza di contrasto deve essere accertata dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo;
2) adozione di una formale deliberazione del consiglio con cui si dichiari formalmente la sussistenza di entrambi i presupposti;
3) la dichiarazione di contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc..
Pertanto, la natura certamente eccezionale di tali ipotesi rispetto a quella che dovrebbe essere la ordinaria conseguenza, ovvero l’esito demolitorio, della illiceità di condotte poste in essere in violazione della disciplina urbanistica, impone una interpretazione restrittiva dei presupposti cui tali ipotesi sono condizionate e legittima, allo stesso tempo, il giudice dell’esecuzione, in applicazione del resto ad un principio generale più volte applicato da questa Corte, a sindacare la sussistenza dei medesimi. Già con riferimento alla concessione in sanatoria, anch’essa evidentemente di carattere eccezionale rispetto all’ordinaria disciplina sanzionatoria in materia urbanistica, si è affermato infatti che il giudice dell’esecuzione ha il dovere di controllare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (tra le altre, Sez.3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, Rv. 232642). Analogamente, con riferimento al condono, si è detto che il giudice dell’esecuzione, a cui sia richiesto di revocare l’ordine di demolizione di manufatto abusivo in ragione appunto di sopravvenuto provvedimento di condono, ha il potere di sindacare detto atto concessorio, disapplicandolo ove lo stesso sia stato emesso in assenza delle condizioni formali e sostanziali di legge previste per la sua esistenza (Sez.3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, Rv. 243905). In particolare, per quel che riguarda il sindacato della delibera consiliare in oggetto, deve ritenersi rientrare nei poteri del giudice verificare che l’incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con la delibera consiliare sia attuale e non meramente eventuale, non essendo evidentemente consentito fermare l’esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti previsti dall’art. 31 cit., giacché l’ordinamento non può attendere sine die l’adozione di una possibile quanto eventuale deliberazione. Solo a partire dall’adozione di una delibera di tal fatta è dunque preclusa al giudice la potestà di disporre la demolizione del manufatto e solo a partire da tale momento l’inottemperanza dell’ingiunto all’ordine di demolizione impartito dall’autorità giudiziaria potrebbe ritenersi giustificata.
Nella fattispecie è stata ritenuta l’illegittimità della delibera comunale mancante di indicazione di impegno di spesa e di istruttoria svolta per singolo immobile inerente l’effettiva praticabilità dell’intervento, ritenendo la stessa, quale mero atto di indirizzo non contenente alcuna indicazione specifica.
Sentenza per esteso e massimata sulla rivista giuridica: www.ambientediritto.it