di Fulvio Conti Guglia. Attraverso una sommaria esegesi delle fonti del diritto classico, pur non potendosi qualificare gli strumenti urbanistici come norme di legge o di regolamento, la loro violazione rappresenta il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica alla quale si deve fare riferimento quale elemento strutturale del reato di abuso d’ufficio. (giurisprudenza consolidata Cass. Sez. VI n. 46503, 03/12/2009; Sez. VI n. 11620, 20/3/2007; Sez. VI n. 16241, 20/4/2001; Sez. VI n. 9422, 5/9/2000; Sez. VI n. 6247, 29/5/2000; Sez. VI n. 13794, 1/12/1999; Sez. VI n.12221, 26/10/1999). Sotto tale profilo, un ulteriore aspetto è quello concernente la individuazione del requisito dell’ingiustizia del danno e del vantaggio, in assenza del quale il reato di cui all’art. 323 cod. pen. non sarebbe sussistente. Precisando, la stessa giurisprudenza che, costituisce ingiusto vantaggio patrimoniale anche il semplice incremento di valore commerciale dell’immobile.
Appare, quindi, ovvia conseguenza che il rilascio di un titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di un immobile, la cui edificazione non è consentita determina inequivocabilmente un vantaggio patrimoniale ingiusto nei confronti del privato che lo ottiene e che, in forza del titolo indebitamente conseguito, costruisce un manufatto il quale, oltre ad incrementare il valore dell’area ove insiste, ha un valore intrinseco e può essere successivamente alienato, locato o destinato comunque ad utilizzazioni economicamente vantaggiose, (si veda anche Cass. Sez. VI n. 35856, 18/09/2008, fattispecie in tema di rilascio di concessione edilizia in sanatoria per opere realizzate in zona inedificabile. Cass. Sez. VI n. 44999, 7/12/2005 relativa al rilascio di una concessione edilizia in violazione del piano regolatore che avrebbe favorito il proprietario di un suolo limitrofo a quello del denunciante).
Emerge dalla sentenza in commento (CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 5/3/2013, n.10248) ma non solo, anche, il semplice dato che deve ritenersi sostanzialmente inesistente il titolo abilitativo emesso da soggetto totalmente privo del potere di emanarlo o frutto di attività criminosa del funzionario che lo rilascia o del privato che lo consegue. Punto fermo è, dunque, che il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizia illegittimo (Cass. Sez. III n.21487, 21/6/2006).
Nello specifico, tra le altre, si utilizzò la legge 24 marzo 1989, n. 122, che riguarda esclusivamente aree e costruzioni destinate a parcheggio, con esclusione di qualsiasi altra destinazione incompatibile con il vincolo pubblicistico di natura funzionale (Cons. Stato, sez. V n. 2609, 24/4/2009). La legge n. 122/1989, (c.d. Legge Tognoli) riguarda i parcheggi a servizio di edifici già esistenti e stabilisce, nell’art. 9, comma 1, che detti parcheggi, costruiti dai proprietari degli immobili, possono essere realizzati nel sottosuolo, ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti; possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici; devono essere destinati a pertinenza dei fabbricati; non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli. Vengono fatte salve le disposizioni paesaggistiche ed ambientali. Nella specie, escludendo l’applicazione delle disposizioni in esame per la realizzazione, unitamente ad un garage interrato, di un insieme ulteriore di opere ad esso accessorie finalizzate ad una nuova sistemazione degli accessi all’edificio residenziale: terrazza con pensilina e scala di collegamento (Cass. Sez. III n.28840, 11/07/2008), per parcheggi realizzati in superficie (Cass. Sez. III n. 23730, 8/6/2009; Sez. III n.38841, 23/11/2006; Sez. III n.37013, 15/10/2001) e per parcheggi costruiti con interramenti ottenuti per effetto del riporto di terra (Cass. Sez. III n.26825 20/6/2003). A conclusioni identiche è ripetutamente pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato sez. IV n. 4645, 26/9/2008; Cons, Stato Sez. V n.1608, 29/3/2006; Cons. Stato Sez. V n. 1662 29/3/2004).
Altro aspetto giuridico interessante, contenuto in sentenza, è la rimarcazione della differenza tra variente essenziali e le c.d. varianti semplici. Sicché, sono da qualificarsi “varianti essenziali” quelle che si distaccano dalla progettazione originaria in modo radicale sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo e si risolvono nella realizzazione di un’opera completamente diversa da quella assentita (Cass. Sez. III n. 24236, 24/6/2010). Esse non sono specificamente disciplinate e presuppongono, per la loro realizzazione, un diverso e autonomo permesso di costruire, mentre le varianti al permesso di costruire sono contemplate dall’art. 22 del d.P.R. n.380/01 e sono soggette a determinate condizioni: non devono incidere sui parametri urbanistici (indici di edificabilità, rapporti di copertura, superfici fondiarie etc.), tra i quali vanno ricomprese anche le distanze tra gli edifici (Sez. III n.9922, 5/3/2009) e sulle volumetrie; non devono modificare la destinazione d’uso e la categoria edilizia, quest’ultima sostanzialmente corrispondente con la categoria catastale e non devono alterare la sagoma dell’edificio e violare le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.
Si veda: la rivista AmbienteDiritto per ulteriore approfondimento, testo completo e massime sulla Sentenza oggetto di nota.