Di Fulvio Conti Guglia. Dall’esegesi della recente sentenza della suprema Corte di Cassazione, emessa in febbraio, emerge la natura del reato contemplato dall’articolo 181 D.Lv. n.42/2004 – reato formale e di pericolo – che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione (Cass. Sez. III n.2903, 22/01/2010 ed altre prec. conf.) e che è di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai fini delle configurabilità del reato contemplato dal menzionato articolo 181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull’originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione.
Pertanto, l’individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all’ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato (Giurisprudenza conforme: Cass. Sez.3^ n. 14461, 28/3/2003; n.14457, 28/3/2003; n. 12863, 20/3/2003; n.10641, 7/3/2003 ed altre). Per tali ragioni è dunque richiesta la preventiva valutazione da parte dell’ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed edilizia.
Tali principi sono stati successivamente ribaditi (Cass.Sez. III n. 34764, 26 settembre 2011) anche con riferimento all’ipotesi delittuosa disciplinata dal medesimo art. 181 d.lgs. n.42/2004, precisando, in quell’occasione, che relativamente agli abusi paesaggistici il principio di offensività deve essere considerato non tanto sulla base di un concreto apprezzamento di un danno ambientale, quanto, piuttosto, per l’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto e richiamando quanto osservato, in tema, dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247 del 1997) e dalla stessa Corte di Cassazione (Cass. Sez, III n. 2733, 7/3/2000; Cass. Sez. III n.44161, 10 dicembre 2001).
Sicché, il reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42/2004, avendo natura di reato di pericolo astratto, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente richiedendo, per il suo perfezionamento, semplicemente l’esecuzione di interventi in assenza di preventiva autorizzazione che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, con l’ulteriore precisazione che detto reato si configura anche nel caso in cui, per il mero decorso del tempo e senza l’intervento dell’uomo gli effetti prodotti dalla condotta illecita siano venuti meno, restituendo ai luoghi l’originario assetto.
In conclusione, per la natura di reato di pericolo la violazione non richiede la causazione di un danno e la sua assenza non rileva neppure qualora venga attestata dall’amministrazione competente (Sez. III n. 10463, 17/032005). Così, quando un intervento edilizio è realizzato in zona soggetta a vincolo paesaggistico, risulta indifferente, ai fini della sua qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale e ciò perché l’art. 32, comma terzo del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, compresi quelli in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali (Cass. Sez. III n. 16392, 27/04/2010; Cass. Sez. III n.2733, 31/01/1994).
Per la sentenza per esteso e massimata vedi: CORTE DI CASSAZIONE PENALE Febbraio 2013