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di Luca Palladini. L’amministratore di un impianto sciistico può essere giudicato quale responsabile dell’incidente di uno sciatore e, di conseguenza, esser condannato al risarcimento del danno, qualora la parte lesa riesca a provare, di fronte all’esistenza di condizioni di pericolo della pista, l’assenza di adeguate protezioni e segnalazioni. In questi termini è intervenuta la terza sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4018, depositata il 19 febbraio 2013.
Uno sciatore sbatte fortemente contro una staccionata di legno che delimita la pista e successivamente, a causa dei «gravi danni subiti» dal forte impatto, chiede un risarcimento pari a 250 milioni di vecchie lire al gestore dell’impianto sciistico. Visti i verdetti dei giudici di merito che – non rilevando i presupposti di cui all’art. 2043 c.c. – ascrivono l’infortunio all’«esclusiva responsabilità» dello sciatore, il danneggiato decide di ricorre innanzi alla Corte di Cassazione lamentando la violazione del principio del neminem laedere.
La Suprema Corte, tuttavia, avalla le soluzioni presentate dai magistrati di primo e secondo grado. Quel tratto di pista non presenta caratteristiche tali da richiedere, secondo la normativa di settore, una precisa predisposizione di misure protettive. Infatti, secondo i giudici di legittimità è evidente «la non sussistenza della situazione di pericolo, stante la larghezza della pista, la mancanza di curve, la visibilità, la mancanza di pendenza verso l’esterno», oltre che «la condotta colposa del danneggiato», in relazione all’elevata velocità. Pertanto, non ritenendo provata la suddetta situazione di pericolo, il S.C. respinge il ricorso ascrivendo la responsabilità dell’incidente esclusivamente allo sciatore. Invero, per individuare una condotta colposa del gestore – si legge nella sentenza – «è necessario che il danneggiato provi l’esistenza di [particolari, nda] condizioni di pericolo della pista che rendano esigibile la protezione da possibili incidenti».

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