di Luca Palladini. Il chirurgo estetico che non riesce a tradurre in realtà i desideri della propria paziente, peggiorandone l’aspetto, non può essere condannato per il reato di lesioni poichè i soli inestetismi non possono considerarsi una malattia. Il pessimo risultato dell’operazione, tuttavia, configura solo un illecito civile ed il giudizio, quindi, proseguirà dinanzi al giudice del risarcimento per la reintegrazione economica dei danni estetici subìti dalla parte lesa. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 47265, depositata il 6 dicembre 2012.
Una signora si rivolge ad un professionista per correggere una numerosa serie di imperfezioni del proprio fisico ottenendo dall’intervento chirurgico, però, risultati poco graditi (quali, tra gli altri, l’asimmetria dei seni e problemi all’addome). A questo punto, a causa dei numerosi disagi, decide di presentare denuncia contro il chirurgo estetico per lesioni colpose, tuttavia il verdetto del giudice di primo grado viene stravolto in appello e, pertanto, il medico è assolto con formula piena dall’organo giudicante di secondo grado.
Intervenuta successivamente sulla vicenda, la Corte di Cassazione esclude la rilevanza penale della mera violazione fisica poichè “gli inestetismi procurati con l’avventuroso trattamento chirurgico ” non sono riconducibili allo stato di malattia richiesto, invece, ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato delle lesioni permanenti. L’alterazione penalmente sanzionabile è, infatti, solo quella tale da menomare una funzione fisiologica.
È bene precisare che attraverso questa sentenza il S.C. non esclude, in astratto, che un catastrofico risultato estetico possa avere come conseguenze, oltre ad una reazione negativa nell’organismo, un effettivo “disturbo psichico di tipo ansioso-depressivo che costituisce vero e proprio stato morboso di malattia” necessario affinché scatti il reato di lesioni. Nella dinamica processuale, però, il medico è stato assolto dalla responsabilità penale poiché la signora non ha fondato il ricorso proprio su questo punto facendo leva, invece, sul mero danno estetico quale violazione fisica che non pregiudica le espressioni fisiologiche fondamentali dell’organismo.
Ad avviso degli Ermellini, in conclusione, gli inestetismi dovuti al cattivo successo di interventi estetici, in particolare quelli frutto della sola iniziativa del chirurgo, seppur non considerabili al pari di una malattia da risarcire come lesione permanete, potranno essere reintegrati economicamente in sede civile tenendo conto dell’età e dell’aspetto estetico precedente all’intervento.