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Nota a Cassazione civile, SS.UU., sentenza 04.07.2012 n° 11139. di Carlo Dell’Agli. 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 5 giugno – 4 luglio 2012, n. 11139

(Presidente Rovelli – Relatore Rorodorf)

Iscrizione albo – avvocato praticante – condanna penale – Falso ideologico – riabilitazione – irrilevanza – Cancellazione dall’Albo – Legittima

 E’ legittima la cancellazione, nei confronti del professionista condannato, dall’Albo degli avvocati approntata dal Consiglio Nazionale forense, nel momento in cui esercitava il praticantato forense, per falso ideologico poiché compromesso il requisito della condotta “specchiatissima ed illibata”.

Svolgimento del processo

Con ricorso del 26 agosto 2010 il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo ha impugnato dinanzi al Consiglio nazionale forense la deliberazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo che aveva iscritto nell’albo professionale il dott. I.A., quantunque egli avesse riportato condanna penale per falsità ideologiche commesse nell’anno 1996 durante l’esercizio della pratica forense.

II Consiglio nazionale forense, con decisione depositata il 9 settembre 2011, ha accolto il ricorso perché ha stimato che i fatti addebitati al dott. A., benché risalenti nel tempo, siano tali da compromettere tuttora il requisito della “condotta specchiatissima ed illibata” cui l’art. 17 del r.d. n. 1578 del 1933 subordina l’iscrizione nell’albo degli avvocati, non rilevando in contrario la circostanza che il predetto dott. A. abbia in seguito ottenuto a un provvedimento di riabilitazione penale.

Il dott. A. ha proposto ricorso per cassazione, denunciando vizi di motivazione della decisione impugnata.
Nessuno degli intimati ha svolto difese.

 Motivi della decisione

Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

La valutazione operata dal Consiglio nazionale forense, se immune da vizi logici e giuridici, non può formare oggetto di sindacato da parte di questa Corte, la quale deve limitarsi a controllare l’esattezza e la congruità della decisione senza possibilità di sostituirsi al Consiglio nell’apprezzamento della rilevanza, ai fini deontologici, dei fatti ascritti al professionista (cfr. Cass. n. 20360 del 2007, n. 20160 del 2010 e n. 25932 del 2011).

Analogo principio dev’essere affermato con riguardo alla valutazione del requisito della “condotta specchiatissima ed illibata” che il Consiglio nazionale forense è chiamato a verificare ai fini dell’iscrizione nell’albo professionale.

La motivazione che, nel caso in esame, sorregge la decisione adottata non è affetta dai vizi d’illogicità che il ricorrente le addebita. Correttamente, infatti, il Consiglio nazionale forense ha distinto tra gli effetti penali di una condanna (così come di un provvedimento di irrogazione di pena a seguito di patteggiamento) e dell’eventuale riabilitazione, da un lato, e dall’altro l’accertamento dei fatti storici – qui, del resto, non contestati – sui quali quella condanna si è basata; ed altrettanto correttamente ha considerato come la valutazione deontologica sottesa al provvedimento d’iscrizione nell’albo operi su un piano diverso da quello del processo penale e della successiva riabilitazione.

Il giudizio negativo in ordine al requisito occorrente per l’iscrizione è stato pertanto espresso in modo del tutto autonomo, rispetto alle diverse pronunce dell’autorità giudiziaria cui sopra s’è fatto cenno, e la valutazione in base alla quale la passata condotta del dott. A. è apparsa ostativa alla sua iscrizione nel predetto albo – valutazione fondata sulla reiterazione dei comportamenti censurabili, sulla diretta inerenza di tali comportamenti ad aspetti propri dell’attività forense e sul rilievo che essi sono stati tenuti quando l’autore, benché ancora praticante, era ormai in età sufficientemente matura per avere piena consapevolezza della gravità del proprio agire – non appare né illogica né inadeguata. Aggiungasi che la conclusione cui il Consiglio nazionale è pervenuto non è in contraddizione con l’affermazione secondo la quale il professionista radiato per condanna penale può essere nuovamente iscritto se sia stato in seguito riabilitato ed abbia tenuto un’ottima condotta, perché nell’impugnata decisione è ben chiarito come, anche in tal caso, la riabilitazione operi quale condizione necessaria, ma non sufficiente, dal momento che il rinnovo dell’iscrizione pur sempre presuppone una valutazione della rilevanza deontologica dei fatti storici dei quali l’interessato si sia reso protagonista.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese di causa, non essendosi difesa la parte intimata.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

***

Con la sentenza in epigrafe, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno respinto il ricorso di un avvocato presentato avverso la decisione del CNF preclusiva all’iscrizione all’albo professionale per assenza di requisiti, decretando che “La riabilitazione penale dalla condanna per falso ideologico subita durante lo svolgimento della pratica forense non permette automaticamente l’iscrizione all’albo degli avvocati una volta superato l’esame”.

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo, aveva proposto gravame, nella fattispecie, dinanzi al CNF la delibera del Consiglio dell’Ordine degli avvocati territorialmente competente, il quale aveva seguitato alla iscrizione di un praticante avvocato all’albo professionale, sebbene il medesimo avesse delle condanne penali per falsità ideologiche nel corso della propria attività della pratica forense.

Il Consiglio nazionale forense diede il proprio consenso, stimando le circostanze addossate, sebbene avvenute molto tempo fa, simili da arrecare un pregiudizio ad una condotta “specchiatissima ed illibata” come statuito dall’art. 17 del R.D. 1578/1933 che assoggetta l’iscrizione nell’albo degli avvocati, non evidenziando l’episodio della riabilitazione penale del praticante.

Nella pronuncia della Suprema Corte, richiamando il principio di diritto espresso da altre e precedenti giurisprudenze (1), si è evidenziato con fermezza che la conclusione cui è pervenuto il Consiglio nazionale forense, atteso l’immunità da logici vizi nonché giuridici, non realizza esame valutativo alcuno da parte della medesima Corte il cui compito è quello soltanto di esaminare contenendo la gestione e l’adeguatezza della pronuncia, evitando di prendere il posto con l’esclusione di supplenza in Consiglio nel giudizio di valore, ai fini deontologici, dei fatti addebitati al praticante.

Da ciò se ne fa conseguire che, il procedimento riabilitativo per falso ideologico in itinere della pratica forense, preclude in modo automatico – affrontato con successo la pratica forense – l’iscrizione all’albo.

In ordine a tale questione, la Corte a sezioni unite non ha avuto nulla, in ottemperanza alla decisione presa dal Consiglio nazionale forense, da controbattere in seguito alla impugnazione del Procuratore della Repubblica presso la Corte di Appello di Palermo della deliberazione con la quale il Consiglio dell’Ordine aveva proceduto alla iscrizione del professionista.

Infatti non pare dubitabile che, laddove fosse provato, gli avvenimenti passati attribuiti al praticante – come sostiene la Corte – per quanto “ risalenti nel tempo sono tali da compromettere tutt’ora il requisito della condotta specchiatissima ed illibata”che l’articolo 17 del Rd n. 1578 del 1993 ritiene essenziale ai fini dell’iscrizione all’ordine degli avvocati.

In realtà, a bene guardare, la pronuncia – in sede di legittimità – non sembra essere censurabile poiché dispensato da vizi logici e giuridici e, quindi, neanche deplorevole e biasimevole rispetto al criterio valutativo della dignità e reputazionedell’aspirante legale.

Un fatto, in ordine a tale questione, è l’intendimento penale, altro quello deontologico, secondo cui finanche una vissuta condotta può condurre ad atteggiamenti di ignominia e disonore.

Va peraltro subito precisato che la Corte ha posto in rilievo, molto correttamente, la diversificazione circostanziata dal Consiglio Nazionale Forense tra gli effetti penali di una condanna e della possibile circostanza riabilitativa dall’indagine di eventi storici sui quali si è fondata la condanna.

Certo non è in discussione l’espresso parere di valutazione in senso negativo il quale è stato manifestato in modo indipendente riguardo alle differenti pronunce dell’autorità giudiziaria e il giudizio in base al quale il trascorso contegno del professionista è apparso d’impedimento alla propria iscrizione nell’albo si manifesta razionale, fondato e giustificato.

Nel percorso intrapreso, conclusivamente, riconosciuta la piena sussistenza di una valida posizione al CNF, si può affermare che il medesimo non è in contrasto con la dichiarazione secondo cui il praticante rimosso a causa della condanna penale può essere iscritto se sia stato successivamente riabilitato e, quindi, abbia coltivato una seria ed ineccepibile condotta, posto che nella decisione del gravame è specificato chiaramente come la riabilitazione svolga quale condizione essenziale e fondamentale ma, non certo, sostenuta dal momento che il rinnovo della iscrizione presuppone una seria circostanza di valutazione della rilevanza deontologica degli avvenimenti storici di cui il professionista sia stato persona di primo piano.

In conclusione, decisione per nulla sindacabile, in sede di legittimità poiché indispensato da vizi logici e giuridici e, quindi, neppure deplorevole rispetto alla valutazione della onorabilità del professionista avvocato che partecipa autonomamente al Cnf. E’ come si è detto, un cosa infatti è il piano penale altro quello deontologico, ragion per cui anche un contegno trascorso può conseguire a degli elementi di ignominia.

I giudici, infatti, non hanno sollevato obiezione alcuna nei riguardi della decisione del Consiglio nazionale forense malgrado il procuratore della Repubblica presso la Corte di Appello aveva impugnato la delibera con cui il Consiglio dell’Ordine aveva iscritto all’albo il professionista.

E’ di estrema importanza la valutazione di modalità asserita dal Cnf, secondo cui gli avvenimenti de ’96 anche se risalgono nel tempo sono stimati ancora da “compromettere il requisito della condotta specchiatissima ed illibata” (2) che l’art. 17 del Rd n. 1578 del 1993 stima fondamentale ed essenziale ai fini dell’iscrizione presso l’ordine degli avvocati.

Orbene, venendo alla fattispecie in esame, pur vero una pronuncia in sede di legittimità non sindacabile dal momento che è dispensato da vizi logici e giuridici, conseguentemente, neanche censurabile in relazione al criterio di dignità e reputazione del professionista che si misura in indipendenza al Consiglio nazionale forense.

Conclusivamente, sotto l’aspetto chiarificatore, quantomeno ai fini della iscrizione, è stato precisato come la “riabilitazione” non realizzi quanto sia idoneo di rimuovere ogni effetto pregiudizievole di una trascorsa condanna penale, ma come ogni Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, seppur contenuta ed oggettiva, abbia quale possibile autorità di poter stabilire la condizione personale del professionista richiedente l’iscrizione all’Albo, altresì alla luce di condanne presumibili avente fini riabilitativi.

 (1) Ex pluris, Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile – Sentenza 28 settembre 2007, n. 20360; Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile – Sentenza 24 giugno 2004, n. 11750; Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile – Sentenza 10 gennaio 2003, n. 257;

(2) V., in questi esatti termini, l’articolo 17 del Regio Decreto n. 1578/1933. Nella specie, pertanto, deve proclamarsi non rilevante la circostanza che il professionista avesse ottenuto un provvedimento di riabilitazione penale per cui le Sezioni unite, chiamate a pronunciarsi sulla quaestio su ricorso del dottore praticante, rigettavano il ricorso. In breve, l’eventuale riabilitazione penale rivela un’autentica condizione necessaria ma, non certo, idonea e soddisfacente ai fini dell’iscrizione o al rinnovo della medesima all’albo, poiché non è elemento idoneo a trasformare modifiche degli eventi storici sui quali la condanna è fondata, e, conseguentemente, l’eventuale criterio valutativo dei medesimi sotto l’aspetto deontologico.

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