IL RAPPORTO DELL’UOMO CON IL TERRITORIO TRA ‘800 E ‘900
Sergio Benedetto Sabetta
Prima Rivoluzione Industriale
Con l’avvento della Prima Rivoluzione Industriale vengono meno le caratteristiche dell’economia agricola di matrice medioevale, al contrario si avranno illimitatezza della produzione, delle risorse e infine dei mercati.
Mutati i presupposti l’uomo viene a sradicarsi dalla terra, se nell’epoca precedente ad economia agricolo-rurale, l’economia stessa era un fatto dell’uomo legato ad una terra precisa, ora accade l’opposto, l’industria si collocherà nel luogo a lei più conveniente.
In questa nuova civiltà esistono mezzi di locomozione che progressivamente portano le merci nei mercati più convenienti, come il mercato del ferro che estratto in una determinata zona, viene lavorato in un’altra zona per essere venduto in una ulteriore zona.
Il prodotto acquistato sembra un elemento a se stante che non ha nulla in comune con il materiale originario, pensiamo al modello di proprietà agricolo-rurale, dove i servi della gleba non potevano neppure allontanarsi dal fondo perché vi sarebbero stati ricondotti, questo è evidentemente un radicamento umano in funzione del radicamento economico.
La merce con la Rivoluzione industriale non ha più nulla a che vedere con il luogo in cui viene fabbricata ed il prezzo che si paga al mercato non sarà che una sommatoria di retribuzioni coinvolgenti una catena di soggetti sparsi sul territorio, quindi non si arricchiranno necessariamente i singoli territori da cui proviene la materia prima, il fenomeno non è più dinamicamente concentrabile.
Naturalmente lo stesso discorso può farsi anche per gli svantaggi derivanti dalla nuova attività, ad esempio in un luogo ove si estrae il carbone certamente vi saranno rifiuti da smaltire, ma questi saranno a carico di un insieme di persone che non trarranno necessariamente vantaggio dal carbone quale prodotto finito, ossia come fonte di energia.
L’unità produttiva non è più la terra, ma l’industria che ha effettuato l’estrazione della risorsa e la vendita del prodotto finito.
Esiste ancora il limite tra proprietà e proprietà però il padrone del fondo in cui insiste un’industria di cui è proprietario andrà molto oltre, con il suo potere decisionale, ai limiti del suo fondo, egli può far stabilire la manodopera vicino alla propria industria, può far costruire strade per collegarsi al luogo su cui è nata la manifattura, è quindi l’organizzazione del territorio su cui l’industria è stata collocata che si piega alle scelte del proprietario della manifattura.
I prodotti verranno venduti sui mercati più convenienti con il conseguente influsso sui territori anche lontani, come vi è la possibilità che il luogo di contrattazione della merce sia in un altro luogo ancora, anche riguardo agli svantaggi quali i rifiuti vengono a ricadere in zone territoriali non di proprietà dell’industriale stesso, come ad esempio nel caso in cui un proprietario di miniere di carbone viene ad impattare negativamente sulle vicine coltivazioni di grano.
La città commerciale ha forma circolare in quanto riceve le merci da ogni direzione, mentre la città agricola continua ad essere un insediamento sparso che non è immediatamente sostituito.
La trasformazione economica ha luogo con estrema lentezza essa è frutto essenzialmente del progresso tecnologico della fisica, della chimica e in parte della nascente biologia, l’uomo della fine del ‘700 e dell’800 è un uomo che viaggia, che ha a propria disposizione informazioni ed è ormai “sradicato” dalla terra.
Nella nuova cultura l’uomo è al centro dell’universo, cadono i miti, tutto quello che non è probabile o non è provato empiricamente non esiste, vi è il conferimento di una dignità umana ad ogni essere vivente, questo costituisce evidentemente la negazione della servitù della gleba e di tutti i precedenti rapporti di gerarchia.
Indiscutibilmente si ammette una sovranità, tuttavia nascono le varie tesi sulla pertinenza della potestà di imperio, le teorie legittimiste, sovranità spettante per diritto di discendenza, quasi una forma di eredità, le teorie teocratiche, sovranità per discendenza o designazione da parte del Signore.
A questo punto esistono tutti i presupposti per distruggere la gerarchia medievale e per mutare l’esercizio di sovranità in una nuova teoria della pertinenza della potestà di imperio, il popolo delega il potere ai propri rappresentati, conferendolo legittimamente.
Dopo l’abbattimento del potere feudale sorge la necessità di riorganizzare lo Stato assicurando principi di uguaglianza formale oltreché sostanziale, il diritto di diventare proprietario si sovrappone al diritto di esserlo, chi già lo era sarebbe rimasto senza obbligo di tributi.
Nel nuovo Stato ciascuno deve essere rispettato secondo principi di uguaglianza formale, diritto “di divenire”, oltreché di essere, i proprietari governeranno questa loro libertà senza dovere più pagare tributi.
Nello Stato liberale in senso politico, e liberista, in senso economico, si costituisce una nuova sovranità in cui vi è il minimo possibile del “dare” dei singoli e il massimo del “dare” da parte dello Stato, lo Stato con la sua autorità rispetto alla libertà ne sarà il limite, il limite necessario all’individuo come proclamato da Rousseau.
L’uomo potrà sì tentare di passare dallo Stato organizzato allo stato di libertà, ma lo Stato glielo impedirà respingendolo indietro con la forza organizzata, la dilatazione progressiva del singolo trova un limite interno nelle altre individualità, quindi lo Stato ha una duplice funzione di guardiano e di giudice di possibili conflitti individuali, nel momento in cui vi sia una prevaricazione tale da eliminare un soggetto preesistente.
Lo Stato giudice di conflitti interni è astensionista in economia, non esercita alcun sindacato sulla gestione della sfera economica di ciascuno, per cui il proprietario ha il diritto di escludere tutti dalle attività che esercita all’interno della sua proprietà, questo anche nei confronti dello Stato.
All’indomani della Rivoluzione Francese chi decide lo sfruttamento della proprietà è esclusivamente il proprietario stesso, se egli decide di non destinare ad uso agricolo la sua proprietà, ma di costruirvi, potrà farlo senza limiti sul “come” e sul “quando” perché la proprietà è in funzione delle sue decisioni e non vi sarà alcuna interferenza da parte di terzi.
L’industrializzazione implica la concentrazione di una imponente forza lavoro sul territorio con costi molto elevati sia in termini di abbandono delle precedenti attività che di insediamento nel nuovo territorio, si pone il problema delle abitazioni per coloro che lavorano e per i loro familiari, si hanno così due importanti fenomeni: 1. la fluttuazione dei prezzi di locazione; 2. La creazione della rendita differenziale.
La crescita della domanda di abitazioni porta nei primi anni dell’800 alla contrazione dello spazio fino a che nel 1830 quale logica conseguenza di questo sovraffollamento scoppierà la peste.
Chi non trova alloggio costruisce una baracca vicino al borgo, nascono in questo modo vere e proprie bidonville, le città cominciano ad espandersi, Londra nel giro di venti anni passa da uno a duemilioni di abitanti.
La teorizzazione dell’abitazione come bisogno primario per tutti nasce con il pragmatismo inglese, si hanno tuttavia nei periodi di recessione un ritorno al centro storico con situazioni di implosione, il conflitto in questa situazione è tra proprietà e industria, il modello giurido-economico esistente comincia a presentare crepe, per il crollo di questo modello è tuttavia necessario un evento traumatico.
La peste del 1830 elimina il 20% della popolazione europea, ed il maggior numero di vittime si ha nella parte interna dell’agglomerato, questa trova motivo nell’organizzazione territoriale, vi sono i primi provvedimenti di igiene, questa è la ragione per cui il nostro codice civile prevede tra le costruzioni una distanza minima.
Nasce in questo periodo il movimento dei socialisti utopisti, Proudhon, Saint-Simon, con essi si ha l’individuazione dei mali del sistema uno dei quali è il modello di proprietà a funzione individuale, essi non pensano ad un intervento dello Stato per spogliare il proprietario di alcuni suoi poteri ma ritengono che autonomamente esso debba intervenire per risolvere i problemi esistenti senza che alcuna norma giuridica lo obblighi.
Dimostrano tuttavia la crisi del concetto che il benessere collettivo sia la somma dei benesseri individuali, la soluzione sarebbe di destinare una parte a rendita, quella riservata ad abitazione, ed un’altra a servizio, ossia a consumo di ricchezza, vi è l’utopia che il proprietario sia diviso su due fronti.
La visione lungimirante degli utopisti che non vi debbano essere solo aree destinate alla produzione di ricchezza, ma anche al consumo di ricchezza, queste tuttavia rimangono in proprietà privata, con una conseguente utopia nell’utopia, non solo il proprietario spende per i servizi, ma deve anche gestirli.
Tuttavia se il proprietario non è uno soltanto, la parte improduttiva destinata ai servizi non può che essere data allo Stato quale collettività, nasce l’esigenza dell’esproprio, in Italia si avrà nel 1875 la prima legge sull’espropriazione.
Nasce la necessità di una funzione sociale della proprietà, secondo alcuni utopisti non vi è soltanto una facultas agendi, ma anche doveri obblighi di apertura avente carattere etico più che giuridico una solidarietà sociale dove il proprietario ha una funzione, in seguito queste vedute degli utopisti saranno recepite dall’ordinamento, in quanto si vede che chiaramente vi è un conflitto tra industria e proprietari rurali.
L’erosione del territorio agricolo avviene a favore dell’industria come nel piano Housman di Parigi e successivamente nelle nostre città, non a caso i primi regolamenti urbanistici sono Regolamenti di polizia urbana e di igiene pubblica, non a caso o socialisti marxisti successivamente accuseranno gli utopisti di avere razionalizzato la situazione impedendo la rivoluzione.
I socialisti utopisti e il Piano Hausman
In Inghilterra Robert Owen (1771 – 1858), divenuto comproprietario e direttore di una fabbrica di cotone a New Lanark in Scozia, sperimentò durante un quindicennio (1800 – 1815) la possibilità di fare di un grande opificio uno strumento di emancipazione umana introducendo un orario moderato di lavoro, retribuzioni adeguate, condizioni igieniche favorevoli, istruzione, adoperandosi al contempo per ottenere dai pubblici poteri iniziative analoghe generalizzate.
Tra l’altro diede vita ad un nuovo esperimento di comunità – modello (la New Harmony) nell’Indiana (USA), ove soggiornò dal 1825 al 1829, purtroppo l’esperimento ebbe esito negativo.
Su un territorio di 500 ettari si prevedeva di inserire 1200 persone le abitazioni dovevano formare un quadrato di cui tre lati destinati alle coppie sposate ed ai loro figli di età inferiore ai tra anni, il quarto lato sarebbe stato occupato dall’ospedale, dal dormitorio per i ragazzi e dall’albergo per i visitatori.
All’interno del quadrato si trovavano le attrezzature sportive, la cucina-ristorante, la scuola, la biblioteca, il teatro e un parco verde, in altre parole tutto quello che oggi si potrebbe definire un centro sociale.
Lungo il perimetro esterno vi erano i giardini delle case e un anello di strade, si avranno pertanto due tipi di verde, i giardini delle case adibiti al servizio delle singole abitazioni e il verde comune al centro del quadrato.
Vi è una chiara differenza tra i servizi adibiti alla singola abitazione che realizzano un vivere più completo e i servizi comuni che vengono a collegare il quartiere all’intero agglomerato urbano, l’anello stradale è sia in parte a servizio delle singole abitazioni, urbanizzazione primaria, che in parte a servizio del collegamento con le altre strade, urbanizzazione secondaria, oltre l’anello stradale si trovano gli stabilimenti industriali, i magazzini di deposito, la fabbrica, la lavanderia e le stalle.
In queste costruzioni vengono a mancare tribunali e prigioni perché, secondo l’utopia socialista, questa società non ne avrà bisogno, l’altra utopia consiste nella separazione dei figli di età superiore ai tre anni dai loro genitori ai fini della loro socializzazione, manca infine la Chiesa.
Questo piano fu presentato dopo il 1817 alle autorità inglesi, Owen, come anticipato, comprò un villaggio in Indiana ove far sorgere questo progetto, tale scelta dipese dalla necessità di contenere i costi di acquisizione del terreno in una zona allora pochissimo abitata.
In Francia Charles Fourier (1772 – 1837), scrittore, pubblica durante la Restaurazione la descrizione di un nuovo sistema politico e sociale, 1620 persone su un terreno – lega quadrata di 250 ettari, detta la Falange.
La densità di popolazione in questo progetto è maggiore rispetto alla costruzione di Owen, infatti le persone abiteranno in una struttura detta “Falansterio” in cui accanto ai cortili interni alle singole abitazioni vi sono le gallerie coperte per permettere l’accesso delle carrozze.
Gli adulti sono alloggiati negli appartamenti al secondo e al terzo piano, i ragazzi nel mezzanino tra il secondo e il terzo piano, gli ospiti nel sottotetto, questo progetto affascina molti paesi tra cui Francia, Russia, America e Algeria (1830 – 1850).
Un industriale, Godin realizzerà per i propri operai una costruzione similare detta “Familisterio” in cui la differenza di nome sottolinea che ogni famiglia ha una propria unità abitativa evitando in tal modo la separazione tra ragazzi e genitori.
Nel progetto Godin (1830 – 1850) il fabbricato principale è costituito da tre blocchi chiusi a quattro piani, con cortili di modesta grandezza coperti a vetri, aventi funzioni di strade interne, contenuti nei fabbricati accessori sono i vari servizi, le scuole e il teatro (centro sociale), la lavanderia, i bagni pubblici, essendo ancora vivo il ricorso della peste provocata dal sovraffollamento e dalle pessime condizioni igieniche, infine i laboratori di artigianato.
Tutto il complesso è contenuto in un parco circondato dall’ansa di un fiume, la fabbrica e il complesso abitativo, dopo il 1880, saranno gestiti da una cooperativa di operai realizzando in tal modo un tipico esempio di autogestione.
In questa epoca vengono a scontrarsi gli interessi della proprietà privata individuale con la nascente industrializzazione, spettatrice dello scontro è la grande massa di persone che pagano personalmente il prezzo di queste contraddizioni.
Nel 1848 si assiste ai moti rivoluzionari che portano i ceti borghesi a coalizzarsi in una nuova classe emergente, lo Stato risulta assente dalla scena macroeconomica secondo il modello dello Stato liberale.
Nella seconda metà dell’Ottocento si ha un cambiamento del modello dello Stato che interviene a supporto di due problemi: l’igiene e l’ordine pubblico, ma sempre nell’astensionismo da qualsiasi intervento diretto nell’attività economica.
Lo Stato continua ad essere astensionista, limitando soltanto un po’ la proprietà privata per le esigenze di servizi che sono emerse ma non interviene nell’economia in quanto la proprietà rimane esclusivamente individuale, all’interno di essa il proprietario decide l’an, il quomodo, il quantum e il quando.
Nel conflitto tra proprietà individuale e industria la proprietà cede solo in quantità ma non in qualità, il diritto resta sempre pieno, si cede in quantità solo per risolvere i due problemi dell’igiene e dell’ordine pubblico.
Questa parte del diritto di proprietà così sacrificato deve tuttavia conseguire una soddisfazione economica, ossia acquisire il prezzo del valore del bene che si cede, un ragionamento coerente col sistema liberale di astensione dall’attività economica dello Stato.
Si pongono due problemi giuridici:
1) quale può essere la nuova organizzazione della città;
2) deve esserci una legge che consente la trasformazione di porzioni di attività in denaro.
Costruire una nuova città comporta il trasferimento della popolazione, nella necessità di una demolizione, ma questo deve avvenire con l’osservanza di alcune condizioni, la prima lo Stato compra le aree da demolire, la seconda il soggetto passivo della demolizione deve avere un ristoro, in quanto l’espropriazione-sanzione è esclusa dallo Stato liberale, questo, quando demolisce, non può costruire case o industrie, perché sarebbe interventista, ma solo servizi.
La soluzione consiste in un contratto normale di compravendita in cui lo Stato compra delle aree per costruirvi servizi, l’esproprio è un mezzo coattivo, mentre la compravendita è consensuale, l’idea dell’espropriazione per pubblica utilità nasce dalla conversione del diritto reale in diritto obbligatorio.
Con la costruzione da parte dello Stato di opere da destinare ad uso pubblico, pubblica utilità, nasce la distinzione tra beni destinati a servizio, beni demaniali, e beni patrimoniali, possono esservi anche opere in proprietà privata destinate all’uso pubblico, si ha in tal caso un’opera di pubblica utilità.
Prima della demolizione deve esserci un mutamento nella situazione di pertinenza della proprietà, successivamente si costruiranno i servizi a cui seguirà il piano di costruzione rispettando l’allineamento secondo una costruzione cartografica della proprietà.
Dopo il 1850 il piano consiste nell’individuare le aree private da espropriare in modo da coordinarle con le altre proprietà private, localizzando al contempo i servizi, questo tipo di piano viene realizzato dopo il 1850 in diversi luoghi.
A Parigi con Napoleone III, Housman, prefetto della città, avendo problemi di ordine pubblico pianifica una nuova Parigi in modo che le strade possano essere circondate e isolate subito in caso di disordini.
Nell’organizzazione dell’esproprio si sottraggono unità edilizie, si espropria, si demolisce e poi si decide se costruire o meno, Parigi nel 1880 è completamente riorganizzata.
Housman la divide in 20 Arrondissements (quartieri), ciascuno con le proprie strade e il proprio impianto fognario, tra quartiere e quartiere sono localizzati servizi già previsti dagli utopisti: ospedali, biblioteche, scuole.
Per evitare troppa concentrazione, vengono creati giardini pubblici e due grandi polmoni verdi, i Bois, a est ed a ovest della città, il risultato economico è una maggiore proprietà pubblica e una contemporanea diminuzione della proprietà privata.
Pubblico interesse in quest’epoca significa rilevanza dell’interesse economico dell’industria a danno di quello della proprietà individuale, quindi l’atto amministrativo è l’atto realizzato dall’Amministrazione nell’interesse canonizzato in una legge che realizza il Piano.
Un tale sistema nel far diminuire le aree di proprietà privata fornendole al contempo di servizi, per la legge della domanda e dell’offerta, crea un aumento di profitto per chi rimane proprietario, si introduce qui la teorizzazione della rendita differenziale derivante dall’ingrandimento e riorganizzazione del territorio.
La rendita dovuta all’espropriato viene accumulata dagli altri proprietari, vien in tal modo meno l’uguaglianza sostanziale in quanto l’espropriato riceve soltanto una determinata somma, mentre la rendita nasce dall’aumento della domanda nelle parti della città rimaste private.
Nel conflitto proprietà industria si realizza un incremento costante dei costi di locazione delle unità urbanistiche, se precedentemente l’inarrestabile spirale dell’aumento dei canoni di locazione era determinata soltanto dalla pressione della domanda, ora si aggiunge l’effetto del piano urbanistico.
Lo stesso piano Housman applicato in realtà culturali differenti porta risultati non coerenti, come a Chicago dove viene portato al massimo della realizzazione diventando eccessivamente uniforme, in un appiattimento della città.
In Italia la legge del 1865
Il piano regolatore per l’intero comune si colloca negli ultimi articoli della legge, questo testimonia che la divisibilità di tutto il territorio del Comune è una eventualità, frequente è la necessità di introdurre singole opere pubbliche che non sono razionalmente legate all’insieme del piano, i problemi vengono risolti volta per volta.
Occorre considerare che in Italia il conflitto tra proprietà – industria è meno sviluppato che in Inghilterra, dove è l’interesse industriale a prevalere, pertanto la legge 2359/1865 costituisce un passo verso il futuro in quanto realmente necessaria soltanto in poche zone, avvenendo l’industrializzazione in termini ampi soltanto nel secondo dopoguerra, con un ritardo di circa un secolo rispetto alla Francia e all’Inghilterra, prevale in Italia ancora la proprietà fondiaria.
Secondo l’art. 2 sono opere di pubblica utilità quelle che vengono espressamente dichiarate tali per atto dell’autorità competente, ai sensi del 2°comma , art. 2 possono essere dichiarate di pubblica utilità non solo le opere che si devono eseguire per conto dello Stato, delle Province e i Comuni, ma anche quelle che vengono intraprese da società, enti morali o particolari individui.
L’art. 3 specifica che qualsiasi domanda fatta da Province, Comuni, corpi morali o da privati, al fine di ottenere la dichiarazione di pubblica utilità, deve essere accompagnata da una relazione sommaria e da un piano di massima che contenga la descrizione dell’insieme delle opere e dei terreni che dovranno essere occupati ( 2° comma).
Nell’art. 4 si legge che la domanda per ottenere che un’opera sia dichiarata di pubblica utilità, deve preventivamente pubblicarsi in ciascun Comune in cui l’opera dovrà essere eseguita e inserita per estratto nel Foglio degli Annunzi Legali.
L’art. 9 contiene l’elenco dei casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità dovrà farsi per legge, mentre l’art. 10 prevede che per le opere provinciali tale dichiarazione è fatta dal Ministro dei Lavori Pubblici, se i progetti dovranno essere approvati dallo stesso, mentre negli altri casi dovrà essere fatta dal Prefetto.
All’art. 18 si stabilisce che all’atto della dichiarazione di pubblica utilità saranno stabiliti anche i termini entro i quali dovranno iniziarsi e completarsi sia le espropriazioni che i lavori.
L’art. 14 prevede che qualora la legge abbia fissato il termine per l’esecuzione di un’opera questo potrà essere prorogato per un termine non eccedente il terzo di quello concesso. Nel caso che il termine scada senza proroga si dovrà nuovamente iniziare il procedimento al fine di ottenere una nuova dichiarazione di pubblica utilità.
Nel caso in cui questo non avvenga si potrà lasciare continuare l’opera già iniziata al costruttore, intentandogli tuttavia causa per il risarcimento del danno in quanto vi è occupazione abusiva di area, nel caso in cui l’opera non sia iniziata, vi sarà la rivendicazione dell’area essendovi un possesso senza titolo.
Nell’art. 16 si statuisce che emanato l’atto di dichiarazione di un’opera di pubblica utilità, colui che ha promosso la procedura dovrà a sua cura formare il piano particolareggiato d’esecuzione, descrittivo di ciascuno dei terreni o edifici di cui si stima necessaria l’espropriazione, nel successivo art. 17 si precisa che il piano di esecuzione approvato viene per ordine del Prefetto essere depositato in ciascun Comune relativamente coinvolto nell’espropriazione per un termine di 15 giorni continui.
La legge del 1865 prevede anche l’occupazione provvisoria di immobili, in virtù della quale l’espropriante può temporaneamente usare l’immobile stesso, salva la restituzione al proprietario dopo la cessazione del pubblico bisogno.
Sono previste due forme di occupazione temporanea, nella prima, detta comunemente “occupazione per opere pubbliche”, gli imprenditori incaricati dell’opera pubblica possono occupare temporaneamente fondi privati allo scopo di depositarvi materiali attinenti all’esecuzione dell’opera stessa, stabilendo magazzini, officine, passaggi provvisori, aprirvi canali di versamento delle acque, sempre in presenza di necessità per l’esecuzione dell’opera.
Prima di occupare i beni si dovrà avanzare domanda al Prefetto indicando la durata dell’occupazione e l’indennità offerta ai proprietari interessati, i quali possono accettarla o meno in caso negativo si richiede una perizia che fissi l’indennità da corrispondere, contro la quale il proprietario interessato potrà sempre ricorrere all’Autorità Giudiziaria competente.
La seconda ipotesi è detta “di forza maggiore e di urgenza”, il caso espressamente previsto è quello della rottura di argini e di ponti, ma si applica in ogni altro caso di forza maggiore o di assoluta urgenza.
L’occupazione è ordinata dal Prefetto ed eccezionalmente dal Sindaco,tale occupazione temporanea non può mai protrarsi oltre i due anni, tuttavia possono essere rese definitive usando la procedura stabilita per le espropriazioni, ai proprietari dei fondi occupati è dovuta una particolare indennità che può essere fissata nello stesso decreto che autorizza l’occupazione o anche successivamente.
Una particolare applicazione della legge del 1865 è stata fatta con la legge speciale con il problema del risanamento di Napoli ( L. n. 2892/1895), in questa legge si prevede anzitutto un piano proposto dal Comune e approvato successivamente con decreto reale ed in seguito con legge, in cui si dichiara la pubblica utilità di tutte le opere.
Viene introdotta una particolare forma di valutazione dell’indennità di espropriazione, si effettua la media tra il valore venale dell’immobile e i fitti ottenuti nell’ultimo decennio, si deve considerare che il valore venale degli immobili è irrisorio date le loro pessime condizioni, ma i prezzi di locazione sono al contrario estremamente vantaggiosi.
La legge attua in tal modo una media tra un valore irrisorio ed un valore di rendita, confermando non soltanto il “tantundem” ma anche l’importanza della proprietà a funzione individuale, in quanto il prezzo d’esproprio pagato è molto al di sopra del reale valore.
Questo sistema creato esclusivamente per Napoli venne applicato anche ad altre città in cui dovevano essere localizzati nuovi servizi, come ad esempio nel caso di un terreno agricolo il cui valore di rendita irrisorio poteva acquistare una certa entità.
La seconda Rivoluzione Industriale
In Francia, Inghilterra ed USA la situazione è completamente diversa, basti pensare alla scarsità di territori in Inghilterra e alle grandi distese degli USA, la rivoluzione industriale che poggiava essenzialmente sullo sfruttamento di energie povere, acqua e vapore, viene ad essere sollecitata da una serie di nuove scoperte che dal 1860 in poi vanno realizzandosi con ritmo incessante.
Il procedimento Bessemer nel 1858/59 consente la produzione dell’acciaio, materiale nuovo di enorme importanza per le possibilità di sfruttamento in particolare nelle tecniche di costruzioni, al mattone si sostituisce questo nuovo materiale che sembra non avere limiti di utilizzazione.
Si scopre un’importante nuova fonte di energia quale è il petrolio, inventano il motore a scoppio, il telefono che permette una grande velocità di comunicazione e conseguentemente dei commerci, l’ascensore che consente di sfruttare lo spazio verticalmente, nascono così i grattaceli di Manhattan.
Contemporaneamente le rendite differenziali aumentano vertiginosamente, mentre viene meno ancora una volta il principio di uguaglianza sostanziale.
Due sono però le invenzioni che stravolgono l’intero sfondo macroeconomico, la dinamo che permette lo sfruttamento dell’energia elettrica e il motore a scoppio, l’energia elettrica ha un altissimo rendimento, incidenze di usura molto limitate ed è poco costosa, le fonti tradizionali vengono così accantonate.
La fabbrica è in grado di lavorare 24 ore su 24, nasce così l’idea della fabbrica a ciclo continuo, con doppi turni di lavoro di 12 ore ciascuno, si realizza un’estensione dell’attività industriale in cui si assorbono attività che prima avevano localizzazioni separate, l’accelerazione della produzione è così potente che l’industria diventa il centro di ogni economia.
Il potenziale economico della fabbrica è costituito dalle conoscenze, dagli scambi, dalle conoscenze “esclusive” che non vengono comunicate agli altri centri di produzione, nasce così il “segreto industriale”.
Intanto il divario tra il vecchio ceto agricolo o pre-industriale e il nuovo ceto industriale è divenuto incolmabile, si tratta due categorie del tutto separate e non in simbiosi tra loro, i vecchi proprietari terrieri sono ormai troppo lontani dalla nuova classe che detiene il potere.
Tuttavia anche questa volta i problemi sono molti e gravi, le scorie delle fabbriche l’intasamento ulteriore dei centri urbani, i disastri che oggi si definirebbero “ecologici”, i molti e vari problemi in fabbrica, lo sfruttamento brutale dell’ambiente e dell’energia, non vi è preoccupazione del possibile esaurimento delle fonti di produzione.
E’ di questo periodo, ad esempio, il disboscamento indiscriminato per ricavarne materie prime, per destinarne l’area relativa alle coltivazioni necessarie per l’incremento demografico o per destinarla alla crescita urbana.
E’ quindi necessaria una più ampia riorganizzazione del territorio, il piano Housman non è più sufficiente, i ponti ad esempio non hanno più una preventivabile limitatezza di portata,nella costruzione dei grattacieli non si è più condizionati dalla povertà del materiale edile.
Si assiste alla nascita di una nuova causa di invivibilità del territorio, non più dovuta allo scoppio del borgo medievale eccessivamente limitato, fatto ora del tutto secondario, invece non è più possibile avere su un unico territorio la duplice presenza di due fabbriche e la convivenza di un’industria con la residenza, infatti le residenze si allontanano il più possibile dalle fabbriche e quelle che rimangono sono invivibili.
Ancora una volta è necessaria la suddivisione degli spazi a cui affiancare una efficiente rete stradale, ma in questa situazione il piano Housman non può funzionare, infatti secondo il piano del Prefetto di Parigi, il privato proprietario può all’interno della sua proprietà disporne liberamente, senza alcun limite ai suoi poteri.
Si prospettano quindi due ipotesi, o il vecchio ceto proprietario e i nuovi industriali si mettono d’accodo tra loro sulla destinazione delle rispettive aree, ipotesi questa puramente utopistica, oppure un’autorità esterna al di fuori di ogni ideologia, stabilisce il ruolo delle singole proprietà nel quadro economico complessivo.
E’ necessario quindi entrare nei “contenitori” dei singoli proprietari assegnando a ciascuno una destinazione compatibile con quella dell’area del vicino, bisogna coordinare, nell’ambito dell’agglomerato urbano, scelte industriali, agricole o residenziali.
Siano di fronte a incompatibilità che non possono più essere superate con la ridistribuzione tra pubblico e privato, si pone pertanto il problema di studiare un nuovo sistema.
Tra gli studiosi che si occuperanno di “compatibilità urbanistiche”, vi sarà anche Le Corbusier, nessuna forma per quanto bella può convivere con un’altra se i loro contenuti sono diversi, è a questo punto che si ha la scissione tra Architetti e Urbanisti, che contemplano in ultima analisi due diversi aspetti dello stesso problema.
La risoluzione Housman non ha perso di attualità, ma soltanto di centralità, la città anche se appena ristrutturata e dotata di nuovi servizi appare insufficiente, la forma architettonica diventa espressione di una tendenza sul contenuto dei singoli involucri, per rendere compatibile un quadro generale di cui il territorio costituisce la proiezione planimetrica.
Intanto è nato un nuovo movimento di pensiero che è riconosciuto come una corrente culturale di tecnici dell’architettura, fioriscono diverse scuole, si parla tra l’altro di movimento “neoplastico”.
Nella nuova città molti sono i problemi da risolvere, basti pensare al problema dei trasporti a livello urbano, le nuove ferrovie, le metropolitane divengono necessità imprescindibili, nel 1901 Londra passa da 1 a 6 milioni di abitanti, esistono: un traffico stradale pesante, uno veloce, uno pedonale, tutti con esigenze differenziate.
Il problema della compatibilità tra insediamenti industriali di diverse tipologie e tra industria e residenza non può essere risolto semplicemente con l’esproprio, il modello di proprietà a funzione individuale ha forti punti di resistenza, e non può permettere un intervento pubblico al suo interno.
Nel frattempo il fenomeno della rendita differenziale subisce un ulteriore aggravamento, poiché la città tende ad espandersi per fasce progressive esterne, basta monopolizzare e accentrare con acquisti le fasce attorno alla città per stringerla in una “cintura”, creando in tal modo un oligopolio delle aree, l’operazione consiste pertanto nell’acquisto delle aree e nella semplice attesa da parte del nuovo proprietario, solo nel caso in cui il processo di industrializzazione si arresti si avrà una frustrazione dell’operazione speculativa.
Se l’offerta proviene esclusivamente dai pochi soggetti che hanno costituito l’oligopolio delle aree i prezzi saliranno a livelli inimmaginabili, inoltre in un secondo momento si avrà un movimento che porterà alla riqualificazione delle rendite urbanistiche più centrali, è più che mai evidente che il piano Housman non regge più, si ha paradossalmente la rivincita della proprietà privata sull’industria.
Non si tratta più di assegnare queste aree alla mano pubblica, si ritiene insufficiente la suddivisione orizzontale di spazi, l’architettura scopre quindi la pianificazione, ma soprattutto si ipotizza un controllo pubblico generalizzato che contrasta con qualsiasi principio giuridico di proprietà a funzione individuale.
Nel frattempo nasce soprattutto in Francia e in Germania un movimento architettonico che studia “la nuova visione dell’architettura e dell’ingegneria”, che richiede anch’essa una nuova normativa.
L’ente pubblico nello Stato liberale e liberista era un cerchio di contenimento che non aveva la minima ingerenza nella sfera privata, nei primi anni del ‘900 lo Stato liberale è ormai alla fine, l’unica possibilità di sopravvivenza nell’impatto con la crescita industriale è di allearsi con l’industria.
In Francia alla fine del secolo Le Corbusier ha pensato al territorio non come ad uno spazio ove collocare le forme, ma come ad un elemento sul quale dovevano articolarsi le diverse funzioni che la società industriale richiedeva, spostando il fulcro dell’immagine tecnica dalla forma all’organizzazione delle funzioni.
La città liberale della dine dell’800 privilegiava la localizzazione industriale quale centro motore di tutto, Le Corbusier rivendica di fronte a questa centralità del fenomeno industriale la centralità del fenomeno “uomo”, in questo periodo si comincia a parlare di “città a misura d’uomo”.
Secondo Le Corbusier un territorio deve essere immaginato come uno spazio nell’ambito del quale vanno collocate più scelte, già indicate dagli utopisti in modo impreciso e imperfetto, queste sono: la residenza, l’industria, il commercio, le infrastrutture, il tempo libero inteso come “spazi riservati non ad attività direttamente produttive o primarie dell’uomo”.
La gerarchia tra queste funzioni è nel senso indicato, sradicando il primato dell’industria sulla residenza, Le Corbusier studia modelli di edifici che realizzino le diverse funzioni , ad esempio progettando una costruzione con palestra e solarium all’ultimo piano, la Chiesa e l’Ospedale nei piani inferiori.
In Germania una scuola di architetti, tra cui anche Wright, e pensatori immaginano i piani regolatori di ampliamento delle città non più come semplici linee che dividono la proprietà privata da quella pubblica come nel piano Housman, ma come piani coordinanti tutte le funzioni tra loro.
All’indomani della Prima Guerra Mondiale si ha il crollo di assetti istituzionali protagonisti di tutta l’Europa dell’800, nel 1920 in Germania viene varata una legge per il bacino della Ruhr, in cui si forma un consorzio tra più comuni aventi l’obbligo di elaborare un piano di compatibilità tra le diverse attività, anche in altre città tedesche come Berlino si cerca di organizzare il territorio nel rispetto della compatibilità delle singole funzioni.
Nel 1928 Cornelius van Hesteren viene incaricato dall’amministrazione comunale di Amsterdam di presiede l’ufficio del piano regolatore della città, il suo tentativo nuove dall’idea che per rendere compatibili le diverse funzioni è necessario separarle.
Van Hesteren pensa alla funzione della residenza in termini nuovi: parte dallo studi delle abitazioni già esistenti, della loro capienza, delle abitazioni che devono essere rinnovate o ricostruite e del numero di vani necessari, il suo piano viene realizzato nel 1935, in seguito si riveleranno le sue carenze in quanto non era stato previsto il successivo sviluppo industriale.
La città risulta divisa in quartieri, per ciascuno dei quali è previsto un piano particolareggiato sorvegliato da un competente ufficio della pianificazione, questo piano regolatore prevede la “zonizzazione”, individuazione delle funzioni di ogni singola zona, sta nascendo la proprietà a funzione sociale, si ha un passaggio di poteri dal privato al pubblico.
Questo piano prevede:
1) allineamento;
2) localizzazione, che indica le aree soggette all’esproprio;
3) zonizzazione, che realizza il controllo pubblico di tutto il territorio sia pubblico che privato.