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RIPENSARE LA PROSTITUZIONE IN UN’OTTICA DI EVOLUZIONE SOCIALE. BREVI SPUNTI A PARTIRE DALL’ESPERIENZA NEOZELANDESE

Luana Leo
Dottoranda di ricerca in Diritto Costituzionale – Università Lum “Giuseppe Degennaro”

Abstract [It]: Prendendo le mosse dall’ondata progressista innescatasi in Nuova Zelanda volta alla decriminalizzazione della prostituzione, il presente lavoro intende porre in luce il superamento della normativa nazionale in materia (c.d. legge Merlin), rea di trascurare l’esercizio dell’attività prostitutiva volontaria e consapevole, espressione non vigente nel periodo post-bellico. L’inerzia del legislatore e la posizione rigorosa della giurisprudenza costituzionale risultano imputabili non solo a richiami di carattere morale, ma anche alla permanenza di posizioni conservatrici. L’urgenza di affrontare tale questione deriva dalla necessità di offrire una valida risposta ai nuovi fenomeni e ai mutamenti maturati a livello sociale.

Abstract [En]: Starting from the progressive wave triggered in New Zealand aimed at the decriminalization of prostitution, this work intends to highlight the overcoming of the national legislation on the matter (so-called Merlin law), guilty of neglecting the exercise of voluntary and conscious prostitution , an expression not in force in the post-war period. The inertia of the legislator and the rigorous position of constitutional jurisprudence are attributable not only to moral references, but also to the permanence of conservative positions. The urgency of addressing this issue derives from the need to offer a valid response to new phenomena and changes occurring at a social level.

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il modello neozelandese: aspetti positivi e negativi della decriminalizzazione. – 2.1. Timide prospettive di riforma oltre i confini. – 3. Le “piaghe” della Legge Merlin. Sull’ormai evidente scostamento della normativa italiana dal contesto storico vigente. – 4. L’approccio restrittivo della giurisprudenza costituzionale. I limiti “vistosi” della sentenza n. 141/2019. – 4.1. L’ascesa della dignità umana. – 5. “Il mestiere più antico del mondo” tra buon costume, morale pubblica e laicità. – 6. Conclusioni.

 

1. Premessa

Ove si volesse tentare di offrire una prima e puntuale definizione al fenomeno della “prostituzione” sarebbe sufficiente consultare il Digesto di Giustiniano del 533: in tale cornice, la figura della “prostituta” coincide con la donna che concede l’uso del proprio corpo a scopo di lucro. Praticata sin dal 2000 a.c., tale fenomeno trova terreno fertile anche nella Bibbia, giacchè i termini “prostitute”, “meretrici” e “ruffiani” sono rinvenibili con costante frequenza. Quel che desta perplessità non è la sua esistenza già in età risalente, quanto invece l’approccio favorevole adottato dagli organi governativi1, a fronte di una concezione che considerava la prostituzione “un male necessario”, avente il compito di allontanare il pericolo di peccati più gravi, tra cui l’adulterio, il disonore delle giovani consorti, gli atti innaturali ed il concubinaggio; sulla medesima linea, San Tommaso paragonava tale fenomeno al “pozzo nero in casa”, essendo “sgradevole ma necessario” 2.

Oggi, la prostituzione, intesa generalmente come “vendita del proprio corpo” o più specificatamente come “far commercio del proprio corpo e della propria sessualità”3 è un processo in persistente trasformazione e in rapida evoluzione e modificazione nei tempi e negli spazi, uno scenario complesso e vulnerabile per la vastità degli attori coinvolti e per tutta una serie di altre realtà e fenomeni che ne sono indirettamente interessati4. Il fine perseguito in tale sede non è quello di provare a tracciare un quadro comparatistico della disciplina della prostituzione, che risulterebbe arduo essendo la prostituzione un fenomeno molto eterogeneo5. Chi scrive intende analizzare da vicino il modello di regolamentazione accolto in Nuova Zelanda, volto a decriminalizzare la prostituzione, divenuto un rilevante punto di riferimento per attivisti pro sex work. La necessità di prestare maggiore attenzione al modello progressista scaturisce dall’indiscutibile arretratezza della legge n. 75/1958 (c.d. Legge Merlin)6 rispetto al contesto storico vigente, ritenendo ormai preminente non solo compiere una definitiva separazione tra prostituzione libera e coatta, ma anche giungere ad una disciplina tesa a conciliare la dignità, la libertà e la sicurezza della persona che si prostituisce con la dignità, la libertà e la sicurezza di tutti i cittadini7.

2. Il modello neozelandese: aspetti positivi e negativi della decriminalizzazione

Sul piano internazionale, la Nuova Zelanda rappresenta un unicum in materia di prostituzione, avendo optato per l’adozione di un modello progressista basato sulla sua “decriminalizzazione”: il Prostitution Reform Act 2003 ammette il libero esercizio della prostituzione, in maniera individuale e anche in forma associata, purché essa sia esercitata volontariamente e tra soggetti adulti8. Alla luce di ciò, la prostituzione è intesa come una ordinaria attività di prestazione di servizi su base contrattuale; essendo la sex worker pienamente riconosciuta, il rapporto di lavoro è sottoposto alle regole ed alla giurisdizione proprie della generalità delle prestazioni lavorative9. Appare doveroso precisare che la “decriminalizzazione” non implica la totale assenza di ogni regolamentazione del lavoro sessuale, bensì l’abrogazione di talune fattispecie penalistiche; nel caso neozelandese, quelle che puniscono l’adescamento, la gestione di un bordello e il vivere dei proventi della prostituzione10. È indiscutibile la “vicinanza” di tale modello legislativo a quello regolamentare in termini di riconoscimento della prostituzione come sex work, oltre all’introduzione di una normativa che garantisca una tutela assistenziale e sociale alle persone che si prostituiscono. Tuttavia, una sottile differenza emerge in ordine all’esercizio della prostituzione in strada: l’ordinamento neozelandese non prevede peculiari oneri di registrazione per i sex worker e considera lecita la prostituzione, senza restrizioni; al contrario, i Paesi regolamentaristi ne limitano la liceità, individuando specifiche aree in cui è possibile praticarla11.

Prima di soffermarsi sugli aspetti positivi e negativi del modello neozelandese, si ritiene necessario entrare nel merito dell’approvazione della storica riforma del 2003. È interessante constatare la notevole influenza esercitata da un gruppo di attivisti sulla scelta legislativa di adottare un modello progressista: il New Zealand Prostitute Collective (Nzpc), avente un ruolo centrale nella prevenzione dell’Aids negli anni ’80 e ’90 del XX secolo, fa propria la teoria della “riduzione del danno”, ispirata alla protezione della salute e del benessere della categoria dei sex worker, visti come individui emarginati e a rischio12.

Le ricerche condotte a partire dal 2003 mostrano un lieve miglioramento della condizione delle sex worker sotto vari profili. Innanzitutto, tale categoria gode di servizi e forme di sostegno sociale grazie all’impegno del Nzpc, che presenta tre sedi in tutto il territorio nazionale13. Si rileva, altresì, un incremento della fiducia nei confronti delle autorità di polizia, prevenendo così potenziali casi di violenza sessuale e sfruttamento14. Infine, il modello neozelandese sembra avere generato effetti proficui anche nel campo della salute, giacchè le sex worker si sottopongono con continuità a test per Hiv e malattie sessualmente trasmissibili; lo stesso Nzpc collabora con il Ministero della Salute per garantire che le sedi di lavoro rispettino le misure di sicurezza e di igiene15.

In senso opposto, si denuncia un incremento considerevole dei casi di abuso e sfruttamento a partire dal 2004, nonché proprio a seguito dell’approvazione della Prostitution Reform Act 2003; in realtà, i report annuali elaborati dalla Prostitution Law Review Committee smentiscono quanto riportato, pur dovendo tenere conto della loro parziale trasparenza in termini di imparzialità trattandosi di indagini a carattere sostanzialmente governativo16. In via generale, chi scrive rileva nella decriminalizzazione una risposta efficace alle diverse piaghe della prostituzione, intravedendo il problema effettivo nella mancata circolazione del modello; come ben osservato in dottrina, quest’ultimo finisce per essere “una sorta di eccezione nel panorama comparatistico”17. Il tratto interessante del modello neozelandese risiede – a parere di chi scrive – nel riconoscere la prostituzione come una prestazione di servizi su base contrattuale. È innegabile che quello del sesso non possa essere considerato un mercato come tutti gli altri per via della natura dell’attività svolta. Tuttavia, il tema del sex work non implica categoricamente il suo inquadramento nei contratti collettivi del lavoro o nelle categorie professionali; a tale proposito, vi è chi invita piuttosto a “proporre un pensiero critico sull’uso sessualizzato del corpo in tutte le sue forme, anche al di fuori di ciò che è comunemente definito prostituzione, e insieme riconoscere le lavoratrici o i lavoratori del sesso come soggetti di parola politica e di diritti”18. Si giunge, dunque, ad inquadrare il lavoro sessuale come un’attività economica con caratteristiche differenti che richiedono un trattamento specifico, accostato da politiche ad hoc, di protezione sociale e giuridica; ciò non esclude la condanna di talune fattispecie come la coercizione, lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù.

2.1 Timide prospettive di riforma oltre i confini

In tale sede, si ritiene necessario prestare attenzione all’esperienza statunitense in materia di prostituzione al fine di comprendere l’importanza dei meccanismi progressisti innescatesi di recente nello Stato di New York. Le normative adottate dai singoli Stati federati incarnano un modello volto alla criminalizzazione totale della prostituzione, in quanto si punisce il cliente, la persona che si prostituisce e tutto ciò che possa favorirne l’esercizio in base ai valori morali del matrimonio, della castità e della dignità della donna19. Sebbene l’ondata proibizionista muove i primi passi già verso la fine degli anni Ottanta, è solo nel 1910 che si interviene a livello legislativo con il Mann Act, avente l’obiettivo originario di contrastare il trasporto commerciale interstatale od internazionale “di qualsiasi donna o ragazza allo scopo della prostituzione o di atti immorali, o a qualsiasi altro scopo immorale”. Tale disciplina è stata oggetto di lievi modifiche nel 1978 (aggiornando la definizione di “trasporto”) e nel 1986 (introducendo altre tutele per i minori, oltre a forme di protezione anche per gli adulti di sesso maschile). In realtà, è con lo Standard Vice Repression Law che il proibizionismo ottiene definitiva consacrazione, in quanto si invita ciascuno Stato a punire la prostituzione di per sé, a parte tutte le attività ad essa connesse.

In dottrina, si tende a condividere l’approccio repressivo seguito nel contesto statunitense; in una posizione intermedia si pone quella corrente di pensiero che ne richiede una modifica parziale, preferendo puntare su un modello orientato alla c.d. “riduzione della domanda”: su esempio svedese, l’intento perseguito è quello di abrogare le disposizioni che incriminano la principale figura, lasciando intatte quelle che puniscono la condotta del cliente20. Lo Stato del Nevada, invece, aderisce ad una linea più liberale, in quanto attribuisce alle singole contee ampia discrezionalità sulle decisioni da adottare: in talune la prostituzione è ammessa sulla base di un permesso rilasciato dalle autorità locali, in altre sussiste un rigido divieto21. In realtà, il Nevada potrebbe non rappresentare l’unica eccezione nello scenario statunitense, giacchè anche lo Stato di New York, da sempre terreno di accesi scontri, appare orientato a regolamentare il mercato sessuale, accordando valore alle scelte della persona che si prostituisce. È recente la proposta di legge presentata da Tiffany Cabán, consigliera comunale del Queens e sostenitrice della depenalizzazione del lavoro sessuale, che mira a fornire sostegno economico alle sex workers, nonchè sussidi pubblici attraverso organizzazioni non profit ed altre organizzazioni umanitarie. Il tratto rilevante della proposta in discussione risiede – a parere di chi scrive – nel suo dichiarato intento antidiscriminatorio, andando ad intervenire sulle norme locali relative alla privacy, al fine di prevenire qualsiasi discriminazione basata sull’impiego attuale o passato di una sex worker che voglia prendere in locazione un’abitazione. In origine, il fenomeno della prostituzione nella realtà newyorkese ha conosciuto un andamento altalenante, con periodi di clemenza alternati a periodi di intolleranza22, cedendo alla sua criminalizzazione verso gli anni ’80, nel momento in cui la strategia politica della “quality-of-life” ha comportato un “giro di vite” da parte delle agenzie istituzionali, determinando un intensificarsi dell’azione repressiva soprattutto nei confronti delle prostitute streetwalkers; difatti, le principali autorità facevano leva sulla teoria delle broken windows a sostegno delle loro politiche repressive, dirette a migliorare la qualità della vita mediante la lotta al degrado urbano23. Tale proposta sembra riflettere la volontà di mutare l’approccio del sistema di giustizia penale nei confronti delle sex workers, trovando – con molta probabilità – un punto di riferimento proprio nel Prostitution Reform Act 2003 adottato in Nuova Zelanda. Da tempo, il sistema penale statunitense in materia di prostituzione soffre di sostanziali criticità, che si traducono in disuguaglianze di trattamenti. Tra le diverse, si segnala l’anomala tendenza ad incriminare soltanto uno dei soggetti coinvolti, violando così il dato normativo. Oggi, l’attività repressiva negli Stati Uniti si concentra con maggiore insistenza sui consumatori; tale circostanza trova conferma nella larga diffusione delle c.d. “John School”, ossia progetti rieducativi riservati ai clienti, identificati come portatori sani di una condizione di degrado, foriera di criminalità diffusa, di possibili malattie sessuali, di immoralità24. Alla luce di ciò, la recente proposta, pur fortemente ambiziosa e ben sviluppata, risulta incompleta e ancora lontana dalla realtà statunitense, giacchè non offre una risposta a tutte le esigenze emerse in tempi moderni.

3. Le “piaghe” della Legge Merlin. Sull’ormai evidente scostamento della normativa italiana dal contesto storico vigente

Il confronto con il quadro comparato consolida la necessità di giungere ad un superamento della disciplina nazionale in materia di prostituzione, a fronte della mancata proposizione di alternative da parte del nostro legislatore, che si mostra ignaro del rilievo della tematica tanto per il suo impatto sociale, quanto per la sua incidenza sui principi fondamentali dell’ordinamento e sui principi connotati da una vocazione transnazionale. Innanzitutto, appare doveroso sottolineare come la legge n. 75/195825 – c.d. Legge Merlin – abbia destato forti perplessità sin dalla sua entrata in vigore, divenendo così un terreno di scontro ideologico e giuridico. In realtà, la stessa approvazione finale alla Camera, avvenuta il 29 gennaio 1958, si ottiene solo a seguito di un iter parlamentare decennale, segnato da persistenti stralci, rinvii e ostruzionismi, che testimoniano la condivisione istituzionale delle resistenze attive nella società post-bellica contro la volontà di restituire alle donne legalmente prostituite nelle case di tolleranza la dignità di cittadine, liberandole dalla degradazione della schedatura, senza offrire in cambio alcuna reale forma di protezione rispetto all’assoggettamento dei tenutari26. In concreto, la predetta legge capovolge la prospettiva del sistema regolamentarista previgente, fondato sul principio della libertà di scelta del meretricio e sullo sfruttamento economico della prostituzione27, facendo propria l’impostazione secondo cui “il corpo di una donna non può essere oggetto di regolamentazione pubblica, perché questo offende, a un tempo, l’eguaglianza e la libertà di ciascuna, e mette a repentaglio tutte le coordinate di una convivenza civile”28. Da qui ne scaturisce la chiusura delle case di tolleranza, considerate luoghi di mortificazione dell’identità e della dignità delle prostitute, e l’estensione dell’area di rilevanza penale di tutte quelle condotte connesse alla prostituzione, volte a favorirla o a trarne benefici di vario genere29.

Prima di entrare nel merito delle ragioni volte a giustificare il superamento del modello abolizionista, si ritiene imprescindibile fare leva sulle esigenze avvertite in Italia intorno alla metà del Novecento. Sull’onda di uno slancio rivoluzionario, la legge del ’58 risponde ad un profondo desiderio di emancipazione sociale della figura femminile, nonché ad uno spazio di libertà irrinunciabile; come ammesso in sede parlamentare, la stessa costituisce un elemento di rottura con il passato, auspicando di contribuire ad una mutazione del costume30. In tale senso, vi è chi sostiene che tale legge nasca da un’interpretazione femminile della Costituzione, spinta da una “coraggiosa, spregiudicata e intelligente rivolta contro la patente violenza diffusa ai danni delle donne nelle pratiche e nella mentalità”31. È indubbio che la legge del 1958 tenda a conformarsi ai principi abolizionisti stabiliti dalla Convenzione ONU per la repressione della tratta degli essere umani e dello sfruttamento della prostituzione del 194932, resa esecutiva in Italia però dopo quasi vent’anni33: essa si proponeva di impedire a soggetti terzi di aiutare o comunque di trarre profitto dalla prostituzione altrui, finendo per imporsi come modello dominante a livello europeo. Tale intento emerge chiaramente nel preambolo della Convenzione, ove si sancisce che “la prostituzione e il male che l’accompagna, vale a dire la tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione, sono incompatibili con la dignità ed il valore della persona umana e mettono in pericolo il benessere dell’individuo, della famiglia e della comunità”. Non deve ritenersi una semplice casualità se la legge Merlin richiami i seguenti riferimenti costituzionali: il principio di eguaglianza, in virtù del quale “tutti hanno pari dignità sociale”, sono eguali davanti alla legge, innanzitutto “senza distinzioni di sesso” (art. 3); il diritto alla salute, che implica il divieto di trattamenti sanitari obbligatori, se non per disposizione di legge (art. 32, co. 2); il principio per cui la libertà di iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con la dignità, la libertà e la sicurezza umana” (art. 41, co. 2).

Giunti a tale punto, appare ragionevole chiedersi se i propositi perseguiti dalla legge Merlin trovino riscontro nel contesto storico vigente. Tra le tante posizioni, desta interesse quella che ritiene ormai superata l’aura di rinnovamento morale e giuridico che accompagnava la nuova legge contro il meretricio – confusa con un moralismo tradizionale sulla sessualità – per due valide ragioni, condivisibili in tale sede: da una parte, la consapevolezza che il consumismo di massa abbia generato quella “mutazione antropologica”, quella “semplificazione dell’essere” tutt’altro che avverse alla crescita di tendenze discordanti rispetto ai precedenti umanesimi socialisti o cattolico-democratici volti ad una rinascita integrale della persona; dall’altra, la presa d’atto che il rifiuto di modelli etici imposti deponga a favore del paradosso di libere scelte pur eventualmente ostili al proprio “bene”, in virtù dell’impossibilità di imporre un “bene” di natura morale ad altri, nonché una fatale accettazione dello stesso fenomeno quale scelta individuale consentita, – anche se non incentivata dall’ordinamento – e oggettivamente non debellabile34. In linea di principio, oggetto di discussione è la medesima adozione del modello abolizionista, che pone le sex workers in una condizione di debolezza sociale, oltre ad esporle a maggiori pericoli sul piano sanitario. A partire dalla metà degli anni Ottanta, le sex workers – strutturate in associazioni, collettivi e sindacati – iniziano a reclamare il rispetto della loro libertà di autodeterminarsi35, evocando politiche pubbliche volte ad intervenire sui concreti episodi di violenza; tali rivendicazioni sfociano nel World Charter for Prostitutes’ Rights, messo a punto dall’International Committee for Prostitutes’ Rights (ICPR) e presentato in occasione del primo World Whores Congress tenutosi ad Amsterdam il 15 febbraio 1985. Tuttavia, all’interno del pensiero femminista affiora una profonda spaccatura: al c.d. femminismo sex work si accosta il c.d. femminismo abolizionista che, su forte pressione di talune posizioni a carattere conservatore volte a considerare la prostituzione come una forma di degradazione e svilimento della persona, richiedono la contrazione del predetto fenomeno, poichè porterebbe ad una sopraffazione di genere36. In realtà, è proprio tale aspetto che segna uno spartiacque tra l’abolizionismo e gli altri due modelli vigenti (proibizionismo e regolamentarismo): nella prima prospettiva, il meretricio non è più criminalizzato e disciplinato in quanto atto intrinsecamente immorale, bensì quale espressione di una società autoritaria e patriarcale in cui la stessa rappresenta una forma di sfruttamento della donna ad opera del cliente; in sostanza, oggetto dell’intervento normativo non è più la lotta (o il controllo) contro la mercificazione della sessualità, quanto piuttosto la tutela della persona che risulta impossibilitata a prestare validamente il proprio consenso, per motivi sociali giudicati strutturali all’attività che esercita37. Chi segue tale orientamento però tende a trascurare un elemento di particolare rilievo: a distanza di un breve lasso di tempo dall’entrata in vigore della normativa abolizionista, lo spazio in cui si svolge la prostituzione diviene “uno spazio intimo, che viene riconosciuto come dimensione di esperienza di rapporti umani […]. Uno spazio da cui il diritto si ritrae per permettere la costruzione di una sessualità scelta dalle persone, uomini e donne, che ne fanno esperienza”38.

Le numerose proposte di riforma della legge Merlin, avanzate sin dagli esordi, non sembrano prendere atto di tale mutamento, pur provenendo da diversi fronti politici39. A conferma di ciò si pone proprio l’ultimo disegno di legge presentato il 22 febbraio 202240, che interviene sulla normativa del 1958 introducendo, oltre le ipotesi già prescritte, anche la punibilità per il soggetto/cliente atto a compiere atti sessuali in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, con chi eserciti attività di meretricio, prevedendo una diversa gradualità di sanzioni in relazione all’abitualità della condotta del soggetto agente.

4. L’approccio restrittivo della giurisprudenza costituzionale. I limiti “vistosi” della sentenza n. 141/2019

È ormai assodato che le questioni c.d. “eticamente sensibili” costituiscano una sfida cruciale per gli apparati normativi e gli strumenti interpretativi disponibili, costringendo così il giudice costituzionale a fare leva su taluni “valori” di fondo. Il persistente richiamo alla “dignità umana” nella giurisprudenza costituzionale – non sempre tradotto in un suo punto di forza – scaturisce dalla mancanza di un interlocutore affidabile, che si attribuisca l’onere di mediare tra diritti e interessi implicati fornendo alla comunità la regola41. Nella celebre sentenza n. 141/201942, la Corte costituzionale prende atto della sua estraneità alla questione, limitandosi ad appoggiare la rigorosa linea legislativa del 1958. In tale senso, vi è chi tiene a ricordare che la rimessione al legislatore delle scelte politiche eticamente sensibili “è un irrinunciabile dogma della democrazia rappresentativa, per il quale non è possibile erigere il giudice a “rappresentante popolare” privo di una legittimazione che non sia semplicemente tecnico-intellettuale”43. In concreto, il giudice costituzionale predilige la strada meno travagliata, al fine di mitigare l’emersione di una nuova forma di prostituzione, quella per “libera scelta” che pone in luce la figura della sex worker, identificata come “l’accompagnatrice ovvero la persona retribuita per accompagnare qualcuno e che è disponibile anche a prestazioni sessuali, con esclusione, quindi, di quelle forme di esercizio coattivo della prostituzione ovvero necessitato da ragioni di bisogno”44.

Sebbene non si intenda procedere ad un’analisi scrupolosa, appare doveroso riportare sinteticamente i principali argomenti dell’ordinanza di rimessione della Corte d’Appello di Bari, la quale solleva incidente di costituzionalità nell’ambito di un procedimento di estrema valenza mediatica. La prima censura riguarda la presunta violazione della libertà di autodeterminazione della persona umana in campo sessuale, diritto collocato nel catalogo aperto di cui all’art. 2 Cost., tale da racchiudere la facoltà di disporre del proprio corpo “nei termini contrattualistici dell’erogazione della prestazione sessuale contro pagamento di denaro o altra compatibile utilità”. La seconda censura concerne invece la presunta violazione della libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.)45, dal momento che l’incriminazione del favoreggiamento e del reclutamento impedirebbero alla prostituta di svolgere la propria attività in idonee condizioni di sicurezza, incolumità ed igiene; in altri termini, il remittente giunge a chiedere la piena assimilazione di tale attività alle forme imprenditoriali vigenti nel nostro ordinamento. Desta peculiare interesse la risposta concessa dalla Consulta relativamente alla prima censura: la libertà di autodeterminazione sessuale non comprende l’attività prostitutiva, escludendo un collegamento con la tutela e lo sviluppo del valore della persona di cui all’art. 2 Cost. La prostituzione “volontaria e consapevole” – nell’ottica della Corte – non è altro che una particolare forma di attività economica, connotata da un rapporto a prestazioni corrispettive inerente l’offerta della prestazione sessuale in cambio di un’utilità economica. Alla base di tale ragionamento vi è la ferma convinzione che “anche nell’attuale momento storico, quando pure non si sia al cospetto di vere e proprie forme di prostituzione forzata, la scelta di “vendere sesso” trova alla sua radice, nella larghissima maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, riducendo, talora drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali”. Replicando allo schema argomentativo elaborato dal giudice a quo, la Corte raccoglie l’eredità del legislatore storico, giungendo alla seguente conclusione: l’ipotetica presenza di persone gratificate dall’esercizio dell’attività prostitutiva non muta “la sostanza delle cose”46. Con tale chiusura, la Consulta non offre una risposta esaustiva, omettendo di riportare il motivo per cui il richiamo al parametro dell’art. 2 Cost. non permette di “elevare” a diritto inviolabile la scelta volontaria e consapevole di usare la propria libertà sessuale prostituendosi. In tale senso, un implicita risposta potrebbe ricavarsi nel puntuale passaggio che sconfessa l’assunto del giudice rimettente, per il quale la prostituzione volontaria rappresenterebbe una “modalità autoaffermativa della persona umana, che percepisce il proprio sé in termini di erogazione della propria corporeità e genitalità (e del piacere ad essa connesso) verso o contro la dazione di diversa utilità”47. Tuttavia, ciò sminuisce il concetto-chiave di “autodeterminazione individuale”; a tale proposito, si tiene a ricordare che la libertà di scelta delle donne è raramente difesa in senso assoluto, nonché solo rispetto ad alcuni specifici frangenti, di cui il meretricio costituisce un ottimo esempio, che rappresentano per altri i segni evidenti dell’oppressione patriarcale48. Come osservato in dottrina “l’impressione è che la Corte costituzionale, in questa decisione, abbia agito come l’autore di quella dissenting opinion, ragionando, sì, di diritto, ma tralasciando il peso del ‘fatto’”49, nonché sottovalutando l’incremento esponenziale della prostituzione volontaria e consapevole nel contesto nazionale. Partendo proprio dalla diffusa convinzione che il meretricio costituisca un “male necessario” 50, la Corte avrebbe dovuto intervenire con maggiore fermezza sulla questione, al fine di individuarne le principali cause e scongiurare una possibile escalation del fenomeno. È noto che un numero sempre più crescente di sex worker adotti strategie di autopromozione sul web; lo scenario attuale induce a collocare tale categoria di prostitute – in una vera e propria scala “gerarchica” predisposta sulla base del disvalore dei fatti di cui le stesse sono bene o male protagoniste – all’estremità “inferiore”51, giacchè chi esercita questo mestiere “non corrisponde a nessuno dei tratti tipici di vulnerabilità e di costrizione che caratterizzano da sempre la prostituzione”52. Al contempo, ammettere l’esistenza di tale forma di prostituzione non sollecita “la necessità di richiedere un nuovo vaglio di costituzionalità della legge Merlin”, in vista del “capovolgimento della prospettiva valutativa del concetto di libertà all’esercizio prostitutivo che il fenomeno delle escort comporta”. Vi è chi ben sottolinea che un intervento concreto sulla legge del 1958, pur volto alla depenalizzazione delle singolari condotte agevolatrici della prostituzione volontaria e consapevole, andrebbe ad incidere sull’individuazione delle forme di induzione, agevolazione e sfruttamento della prostituzione coattiva, rendendo ardua ogni azione penale finalizzata al loro contrasto; parimenti, risulterebbe complessa la perseguibilità di quelle condotte parallele al c.d. meretricio necessitato, non trascurando altresì l’introduzione di una presunzione di non vulnerabilità in virtù della quale una sex worker non potrebbe mai dirsi influenzata o influenzabile, anche solo da fattori ambientali o culturali o sociali o familiari53. Senza esimere la Corte costituzionale da responsabilità, spetta in primis legislatore raccogliere le nuove istanze sociali, nell’ottica di una progressione del diritto.

4.1. L’ascesa della dignità umana

In tempi risalenti, il filosofo tedesco Immanuel Kant, pur ricollegandosi al solo genere maschile, ammetteva che “nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito con qualcos’altro come equivalente. Ciò che invece non ha un prezzo, e dunque non ammette alcun equivalente, ha una dignità”, ed è l’individuo “considerato come persona”54. Su tale base poggia la risoluta risposta del giudice costituzionale in relazione ad uno dei quesiti più interessanti sollevati dall’ordinanza di rimessione: la prostituzione libera e consapevole, configurata soltanto come “una particolare forma di attività economica” (art. 41, co. 2, Cost.), entra in contrasto con la dignità umana (art. 3 Cost)55. “È il legislatore che – facendosi interprete del comune sentimento sociale in un determinato momento storico – ravvisa nella prostituzione, anche volontaria, un’attività che degrada e svilisce l’individuo, in quanto riduce la sfera più intima della corporeità a livello di merce a disposizione del cliente”. In questo passaggio della motivazione della sentenza n. 141/2019 affiora la declinazione della dignità umana in senso oggettivo; una scelta che non rimane esente da contestazioni e dubbi. Come noto, il bene della dignità umana inteso in un’accezione oggettiva “maschera una riedizione sotto mentite spoglie di esigenze di tutela tradizionalmente espresse dai meno seducenti, anche se più ‘sinceri’, beni del buon costume o dell’ordine pubblico”56, minando la libera scelta di un soggetto capace di autodeterminarsi57. In realtà, la Corte costituzionale risulta consapevole dei limiti di una declinazione della dignità umana in senso oggettivo58. A tale riguardo, si è chi tiene a sottolineare come la Corte non si preoccupi di compiere un’accurata riflessione “onnicomprensiva” di tale concetto, circoscrivendola all’interno della “cornice” dell’art. 41 Cost., ossia riferendosi all’individuazione del contenuto del limite alla libertà di iniziativa economica posto dalla tutela della dignità umana59. Occorre considerare altresì che nella stessa giurisprudenza costituzionale risulta complicato restare coerenti circa il valore da riconoscere ora alla dignità in senso oggettivo ora a quella in senso soggettivo, come deducibile nelle varie pronunce inerenti il fine vita60. Nella sentenza n. 141/2019, il Giudice delle Leggi attua una scelta di campo rispetto al fenomeno, reputandolo negativo tanto per la persona che si prostituisce quanto per la società, giungendo ad una piena penalizzazione dei comportamenti paralleli, in nome della dignità umana di tutti coloro che solo apparentemente possono ritenersi liberi61.

Tuttavia, l’effettivo aspetto problematico della pronuncia in commento risiede – ad avviso di chi scrive – nel chiedersi se la dignità umana, nella fattispecie della prostituzione volontaria e consapevole, sia o meno un bene disponibile, e dunque irrinunciabile. La questione è complessa; la stessa dottrina si presenta eterogenea, non mancando comunque di sottolineare la necessità di prendere posizione: solo una volta assodato ciò si potrà rispondere all’interrogativo se la prostituzione sia semplicemente tollerata a livello giuridico o se essa, al contrario, sia ricollegabile ad una libertà garantita dall’art. 2 Cost., ovvero al diritto di esprimere la propria sessualità62. Ritornando alla sentenza costituzionale, chi scrive ritiene che la Corte non avrebbe potuto muoversi diversamente, al punto di deludere le aspettative: il principio della dignità umana, che trova applicazione nel quadro delle relazioni sociali, impone il riconoscimento del divieto di deumanizzazione non solo tra gli individui, ma anche rispetto ai poteri pubblici che devono rispristinare la dignità anche ove l’individuo dimostri di non rispettare sé stesso63. Pertanto, qualificare la dignità come un bene disponibile avrebbe significato trasmettere un messaggio negativo sul piano culturale.

5. “Il mestiere più antico del mondo” tra buon costume, morale pubblica e laicità

Giunti a tale punto, appare indispensabile interrogarsi sui principali fattori che tendono ad ostacolare il riconoscimento dell’attività prostitutiva, anche nella sua forma libera e consapevole. Il tema della prostituzione – tanto dibattito pubblico nazionale quanto nelle sedi istituzionali – non sembra trovare terreno fertile, data la difficoltà di reperire una chiave di lettura rispetto ad un fenomeno “perdurante, in termini fortemente morali, delle coscienze individuali e pubbliche”64. Come già visto, l’obiettivo-chiave del regime abolizionistico adottato dalla legge del 1958 risiede nel tutelare la figura della prostituta, quale “vittima” del fenomeno. In tale senso, affrontare la predetta questione in una prospettiva di tutela della persona umana significa partire dal fermo presupposto che “il tentativo di appiattire la prostituzione a solo fenomeno criminale è determinato da una lettura parziale e sicuramente funzionale all’interpretazione moralizzante del fenomeno”65. In realtà, nel 2004, la Suprema Corte tiene a chiarire che l’interesse protetto dalla legge abolizionista non risiede tanto nel buon costume e nella moralità pubblica, quanto invece nella dignità e libertà della persona66. Tuttavia, le criticità collegate alla sessualità umana ed il mancato riconoscimento della prostituzione come lavoro autonomo inducono a smentire la giurisprudenza di legittimità67.

La distinzione tra prostituzione coattiva (o necessitata) e prostituzione libera assume un rilievo centrale ai fini che interessano, dal momento che l’inclinazione velatamente paternalistica della Legge Merlin attiene esclusivamente alla prima forma di meretricio, essendo la seconda invece sconosciuta al legislatore storico. Pertanto, occorre chiedersi se l’esercizio della prostituzione – anche in assenza di evidenti influenze – possa ritenersi contrario con la presunta morale comune del Paese, nonché se sia giustificato il ricorso alla sanzione penale da parte dello Stato relativamente ad un “danno” avvertito nella stessa società. Finendo per attirarsi un ventaglio di critiche serrate68, il giudice è intervenuto – solo implicitamente – sulla definizione del bene giuridico tutelato dalle norme penali della normativa repressiva, insito nella dignità umana. A tale riguardo, una corrente di pensiero ammette che, laddove nell’atto del prostituirsi fosse ravvisabile ancora una forma di corrompimento dei costumi, si dovrebbe ricorrere ad una riproposizione della “vecchia” tutela penale della morale pubblica dominante; al contempo, ciò non significa escludere l’esistenza di una ristretta parte della società civile che confida nella funzione del diritto penale come mezzo di conservazione dei valori ormai vacillanti, come argine all’avvento di una società fragile, priva di solidi principi69. Ai tempi dello Stato regolamentarista si erano intrecciate e sovrapposte altre e diverse ispirazioni, orientate da una tutela paternalistica; uno scenario inevitabile se si tiene conto che nelle sedi istituzionali la presenza femminile rappresentava una novità difficile da accettare, segnata da una cultura patriarcale che stentava a riconoscere l’autonomia femminile70. Al contrario, oggi si è ben consapevoli che ciascuno possiede una sfera privata di cui “è dominus e che deve restare tale se non si vuole che lo Stato torni ad essere “etico” imponendo al corpo sociale propri valori o, più semplicemente, i valori della maggioranza. Tra un’etica pubblica uniforme e imposta per legge e una sfera privata interamente libera ci può tuttavia essere uno spazio anche minimo nell’ambito del quale far emergere elementi valutativi su taluni comportamenti pur liberamente scelti”71. Il rischio è quello di evocare la dignità umana per negare l’autonomia di scelta di chi si prostituisce senza costrizioni, appoggiandosi “su luoghi comuni più che su verità evidenti”72. Il Giudice delle Leggi è tenuto a prestare maggiore attenzione, senza sostituirsi al “legislatore, che in un sistema democratico-rappresentativo dovrebbe essere la prima “antenna” sensibile”73 a recepire i mutamenti della coscienza sociale.

Oltre ad essere ispirata alla tutela della moralità pubblica e del buon costume, la normativa del 1958 sembra risentire dell’influenza cattolica; come osservato in dottrina, nelle intenzioni del legislatore “si voleva moralizzare la società, purgandola di una piaga sociale ritenuta insopportabile e disgustosa, nonché contraria ai principi della religione cattolica”74. Gli archivi di Stato però smentiscono quanto riportato, rivelando l’atteggiamento ambiguo assunto dal fronte cattolico nella prima metà del Novecento: la prostituzione rappresentava una “piaga” prettamente sociale, come deducibile dalle varie richieste avanzate dal clero ai politici democristiani, richieste che rimasero sempre “lettera morta”75; i ministri del culto si limitavano a condannare la presenza delle case di tolleranza accanto alle proprie parrocchie, non soffermandosi sul problema della liceità dell’istituto76. Si ritiene emblematico – a giudizio chi scrive – che ciò avvenga proprio in un clima di rinnovamento per la religione cattolica, favorito dal processo di cambiamento epocale messo in atto sull’importanza dei diritti fondamentali della persona umana verso la fine della seconda guerra mondiale. Nel 1949, il Consiglio Ecumenico delle Chiese istituiva una commissione avente il compito di studiare il ruolo della donna nella Chiesa; in concomitanza, il versante cattolico – sotto la guida del magistero di Giovanni XXIII – avviava un processo di riflessione e di impegno culturale, che trovava nei documenti del Concilio Vaticano II il momento più alto di riflessione e di spinta al cambiamento77. Occorre considerare che il magistero cattolico risultava ancora condizionato dal pensiero cristiano di Sant’Agostino. Partendo dalla convinzione che in una società preordinata al conseguimento del bene anche il male poteva assumere connotati positivi, quest’ultimo qualificava il meretricio come un “male necessario”, riconoscendo alle meretrici la funzione sociale di distrarre la libido maschile dalle donne rispettabili, in un’ottica di necessaria stabilità del vincolo matrimoniale, a beneficio della comunità78. È solo nel 1963 che la Chiesa cattolica romana adotta una posizione di estrema intolleranza, collocando la prostituzione ed il mercato delle donne tra quelle situazioni che offendono la dignità dell’uomo e pertanto suscitano profonda vergogna (“mentre guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si comportano, che non coloro che le subiscono”)79.

Resta da chiedersi se la disciplina entri in contrasto con il principio di laicità80. In primis, preme evidenziare che quello della laicità non è solo un “carattere” del diritto penale, ma anche (e soprattutto) un “principio supremo dell’ordinamento costituzionale”81, da intendersi “non solo come distanza dal confessionismo ma anche come rispetto degli stili di vita non confacenti con la morale apprezzata dai più o con la stessa “morale ufficiale” dello Stato”82. Il predetto problema è stato sollevato proprio nel contesto della richiamata sentenza n. 141/2019 in materia di favoreggiamento e reclutamento della prostituzione. È legittimo interrogarsi sulla ragione per cui dovrebbe considerarsi illecita una condotta di aiuto, o di collaborazione, rivolta nei confronti di un terzo che esercita la propria libertà sessuale83, considerando che il nostro ordinamento non pone limiti alla possibilità di disporre liberamente del proprio corpo nella sfera sessuale, salvo che tale condotta limiti l’altrui libertà sessuale. A tale riguardo, la dottrina è piuttosto eterogenea. Vi è chi ritiene che la

sentenza non rechi alcun vulnus al principio di laicità; la Consulta sarebbe mossa unicamente dalla volontà di fare i conti con “la realtà di una prostituzione maschile e femminile che nel nostro Paese, come ovunque nel mondo, è popolata di persone fragili, vulnerabili, in gran parte straniere e senza permesso di soggiorno, spesso minorenni; di persone, comunque, che non compiono in modo libero e responsabile le proprie scelte”84. La Corte costituzionale giunge a tale conclusione facendo leva sulla necessità di proteggere la persona umana, in nome della dignità declinata in senso oggettivo,

senza rendersi conto però che ciò “può sostanziarsi nella trasfigurazione di legittime, ma inoffensive visioni ideologiche”85. Chi scrive ritiene che il giudice costituzionale – anche evitando accuse di “paternalismo morale” – avrebbe dovuto puntare sul bene giuridico della libertà sessuale, mettendo da parte l’incognita della “dignità oggettiva”86.

6. Conclusioni

Sono trascorsi più di settant’anni dall’entrata in vigore della legge n. 78/1958, con la quale il nostro legislatore – volto ad innescare un mutamento culturale – si è posto l’obiettivo di colpire i terzi propensi a trarre benefici dall’esercizio della prostituzione, facendo leva sulla figura della prostituta quale vittima che implica protezione, giacchè priva della piena capacità di scelta. Nel corso del tempo, tale disciplina è stata oggetto di discussione, sia per l’evidente difficoltà di definire i contorni delle condotte criminalizzate, sia per l’insorgenza di numerose forme di meretricio che inducono ad abbandonare l’inquadramento del fenomeno in senso unitario. Sebbene possa trovarsi in una condizione psico-fisica critica, la persona che decide in maniera volontaria e consapevole di concedere prestazioni sessuali a pagamento non richiede protezione, in quanto l’attività prostitutiva è svolta in assoluta autonomia, anche in presenza e con l’ausilio di un terzo. A tale riguardo, sembra sfuggire la distinzione cruciale tra favoreggiamento della prostituzione e agevolazione della persona che la esercita: l’aiuto alla prostituzione si esaurisce nell’intermediazione tra la prostituta ed i clienti, ossia nell’attività volta in modo specifico, univoco ed esclusivo a mettere in contatto chi concede la prestazione e chi ne usufruisce87. Il terzo, dunque, riveste il ruolo di “mediatore”, il cui intento non è quello di recare un danno, certamente non alla persona che si prostituisce. Si tratta di uno dei diversi aspetti che inducono a ritenere ormai superata la legge n. 75/1958, non essendo in grado di cogliere i plurimi “volti” del fenomeno della prostituzione, che richiedono necessariamente un trattamento differenziato. Alla stasi legislativa si accompagna l’incapacità della giurisprudenza costituzionale di intervenire sui vistosi difetti della normativa vigente; per converso, si privilegia l’approccio moralistico, chiamando in causa la “dignità umana” per giustificare “odiose repressioni penali di libertà individuali, eludendo ulteriori più puntuali ma anche più complicate argomentazioni a sostegno di simili limitazioni”88; ciò non è accettabile in un ordinamento rispettoso dei diritti di libertà dei singoli, tra i quali rientra il diritto di disporre liberamente del proprio corpo per scopi sessuali.

Dallo scenario riportato affiora chiaramente la distanza ideologica con la realtà neozelandese, ove le medesime sex workers reclamano il rispetto della loro libertà di autodeterminazione, e dunque il diritto di fare parte della cittadinanza attiva del Paese. Quella entrata in vigore nel 2003 è una riforma di stampo progressista, specialmente nel punto in cui attribuisce rilievo alle procedure di c.d. “riduzione del danno”: si pone l’accento sulla necessità di contenere le conseguenze negative che la vendita di prestazioni sessuali può comportare, evitando di ricadere nella “violenza immaginaria” della prostituzione, ossia nel pregiudizio stereotipato e nelle semplificazioni mistificatorie secondo cui l’oppressione sarebbe intrinseca in tale attività89.

Con riguardo al contesto italiano, quel che desta forte timore – a parere di chi scrive – è la volontà di lasciare ai giudici comuni il compito di interpretare i valori da proteggere a fronte dei cambiamenti sociali. Se è vero che il nostro legislatore ha dimostrato di non essere un interlocutore credibile, è altrettanto vero che allo stesso spetta sempre farsi interprete degli interessi della collettività90. Occorre poi considerare che la predetta tematica si presenta complessa non solo in ordine alla distinzione storica tra prostituzione coattiva e prostituzione libera, ma anche in relazione al riconoscimento degli operatori che prestano assistenza sessuale alle persone affette da disabilità e che rivendicano da tempo la definitiva separazione sul piano professionale91.

In conclusione, è oggi avvertita la necessità di “rifuggire da schemi chiusi e norme eccessivamente e vanamente analitiche […] (tale per cui) si tende a creare un diritto più aderente a una realtà in rapida trasformazione”. In tale ottica, la comparazione gioca un ruolo-chiave, in ragione della marcata divaricazione delle soluzioni maturate nel corso del tempo92, una divaricazione che impone agli operatori del diritto una profonda riflessione.

Note:

1 Sul punto, si veda I. TAVOLATO, Elogio della prostituzione, in Lacerba, n. 9, 1913.

2 A. BARZAGHI, Donne o cortigiane? La prostituzione a Venezia, Verona, 1980, p. 7.

3 C. CIPOLLA, Epistemologia della tolleranza, Milano, 1997, p. 2280.

4 C. CIPOLLA, La sessualità come obbligo all’alterità, Milano, 2005, p. 91.

5 Come ammesso da P. PASSAGLIA, Un (sommario) inquadramento comparatistico della disciplina della prostituzione, in Consulta Online, 2019, p. 770, “pur operando una semplificazione (certo non scevra di semplicismo) tale da considerare il fenomeno come unitario, emerge chiaramente come le soluzioni presenti nei vari ordinamenti siano estremamente diversificate, tanto da rendere assai aleatorio qualunque tentativo di classificazione”.

6 Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (“Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”).

7 A. ANNECCHIARICO, La prostituzione tra regolazione giuridica e politiche di sicurezza, in Astrid-Online, 2009, p. 18.

8 In realtà, il modello neozelandese non può essere considerato a completa decriminalizzazione, considerata la presenza di un’apposita clausola (Section 19) che proibisce a tutte le persone migranti senza permesso di soggiorno permanente di lavorare in tale contesto.

9 P. PASSAGLIA, Un (sommario) inquadramento comparatistico della disciplina della prostituzione, cit., p. 777. Sul punto, P. DEGANI, Diritti umani e questioni di policy nel dibattito sulla prostituzione in Europa, in Studi sulla questione criminale, n. 3, 2017, p. 59 aggiunge che “la prostituzione si configura oggi come una issue inserita all’interno di un’agenda di ricerca e di lavoro politico delle organizzazioni internazionali a carattere intergovernativo sulle global policies che ha portato in questi anni ad importanti iniziative non riducibili al mero coordinamento delle politiche nazionali, ma piuttosto al delinearsi di evidenti intenti problem solving in materia”.

10 In tale senso, P.G. MACIOTI, I processi di decriminalizzazione del sex work in Australia e Nuova Zelanda, in G. GAROFALO GEYMONAT, G. SELMI (a cura di), Prostituzione e lavoro sessuale in Italia. Oltre le semplificazioni, verso i diritti, Torino, 2022, p. 203.

11 F. PARISI, Prostituzione: Aporie e tabù di un nuovo diritto penale tutorio, Torino, 2018, p. 64. Sulle realtà a vocazione regolamentarista, si veda M. HELFER, La prostituzione nell’ordinamento austriaco e in quello tedesco, in AA.VV., Prostituzione e diritto penale, Padova, 2014, p. 87 ss.; E.C. RAUTENBERG, Prostitution: Das Ende der Heuchelei ist genommen!, in NJW, 2002, p. 650 ss.; M. HEGER, Zum Einfluss der Prostitutiongesetzes auf das Strafrecht, in StV, 2003, p. 350 ss.; M. GALEN, Rechtsfragen der Prostitution. Das ProstG und seine Auswirkungen, Beck, München, 2004.

12 P.G. MACIOTI, I processi di decriminalizzazione del sex work in Australia e Nuova Zelanda, cit., p. 210.

13 G. ABEL, C. HEALY, Sex Worker-Led Provision of Services in New Zealand: Optimising Health and Safety in a Decriminalised Context, in Sex Work, Health, and Human Rights, 2021, p. 175 ss.

14 L. ARMSTRONG, Screening clients in a decriminalised street-based sex industry: Insights into the experiences of New Zealand sex workers, in Australian & New Zealand Journal of Criminology, 47 (2), p. 207 ss.

15 G. ABEL, C. HEALY, Sex Worker-Led Provision of Services in New Zealand: Optimising Health and Safety in a Decriminalised Context, cit.

16 F. PARISI, Prostituzione: Aporie e tabù di un nuovo diritto penale tutorio, Torino, 2018, p. 65.

17 Così, P. PASSAGLIA, Un (sommario) inquadramento comparatistico della disciplina della prostituzione, cit., p. 777.

18 Così, G. SERUGHETTI, Prostituzione: violenza o lavoro? Riflessioni su volontarietà, costrizione e danno nel dibattito sulle alternative politico-normative, in Ag About GenderInternational Journal of Gender Studies, Vol. 8, n. 15, 2019, pp. 175-176.

19 J. MEZEI, Sex and taxes: Prostitution as a legal business, in Illinois Business Law Journal, Vol. 21, 2013, p. 68 ss.

20 A. FARREL, S. CRONIN, Policing prostitution in an era of human trafficking enforcement, in Crime, Law and Social Change, n. 64, 2015, p. 211 ss.

21 S. PASETTO, Stati Uniti, in P. PASSAGLIA (a cura di), Cenni sull’inquadramento giuridico della prostituzione, Servizi Studi Corte Costituzionale. Area di diritto comparato, febbraio 2019, p. 47.

22 A.L. J ACKSON, The History of Prostitution Reform in the United States, University of Tennesee Honors Thesis Projects, 2004.

23 F. PARISI, Prostituzione: Aporie e tabù di un nuovo diritto penale tutorio, cit., pp. 189-190. Sul punto, si veda anche A.M. LUCAS, Race, Class, Gender, and Deviancy: The Criminalization of Prostitution, in Berkeley Women’s Law Journal, vol. 10, 1995, p. 47 ss.

24 F. PARISI, Prostituzione: Aporie e tabù di un nuovo diritto penale tutorio, cit., pp. 189-190.

25 Legge 20 Febbraio 1958, n. 75 (“Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”).

26 B. PEZZINI, Donne, corpo e mercato di fronte alle categorie del diritto costituzionale: la legge Merlin nella prospettiva costituzionale antisubordinazione di genere, in A. APOSTOLI. (a cura di), Donne, corpo e mercato di fronte alle categorie del diritto costituzionale, Torino, 2021, p. 71.

27 Per un approfondimento sul fenomeno della prostituzione in Italia prima dell’entrata in vigore della legge Merlin, tra le numerose voci, si veda G. GIBSON, Stato e prostituzione in Italia 1860-1915, Milano, 1995; S. BELLASSAI, La legge del desiderio. Il progetto Merlin e l’Italia degli anni cinquanta, Roma, 2006.

28 Così, S. NICCOLAI, La legge Merlin e i suoi interpreti, in D. DANNA, S. NICCOLAI, L. TAVERNINI, G. VILLA (a cura di), Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, Milano, 2019, p. 78.

29 Per un primo commento sulla suddetta riforma, in ottica penalistica, si veda F. MANTOVANI, La nuova disciplina penale della lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, p. 452 ss.

30 Così, R. LOMBARDI, seduta del 28 gennaio 1958, Atti Camera II Legisl., p. 39364.

31 È la posizione di S. NICCOLAI, La legge Merlin: eredità femminile da riconoscere, in P. TORRETTA, V. VALENTI (a cura di), Il corpo delle donne. La condizione giuridica femminile (1946-2021), Torino, 2021, p. 197.

32 La Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui è stata Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 317 (IV) del 2 dicembre 1949.

33 Legge 23 settembre 1966, n. 1173 (“Adesione alla Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione adottata a New York il 21 marzo 1950 e sua esecuzione”).

34 A. SERENI, Il controllo penale della prostituzione tra etica ed economia, in M. CATENACCI, R. RAMPIONI, V. N. D’ASCOLA, Studi in onore di Antonio Fiorella, vol. II, Roma, p. 1390.

35 In particolare, in Italia vige il Comitato per i diritti civili delle prostitute, un’associazione no profit fondata nel 1982, che svolge attività culturali per orientare scelte di politiche sociali tese al miglioramento della condizione di chi si prostituisce, per suscitare un dibattito per la sensibilizzazione della società in generale volta al rispetto della dignità e dei diritti delle sex workers, per interventi formativi per l’empowerment delle donne prostitute e migliorarne la qualità di vita.

36 F. PARISI, Prostituzione: Aporie e tabù di un nuovo diritto penale tutorio, cit., p. 30.

37 M.R. MARELLA, Sesso, mercato e autonomia privata, in S. CANESTRARI, G. FERRANDO, C.S. MAZZONI, S. RODOTÀ, P. ZATTI (a cura di), Il governo del corpo. Trattato di biodiritto (curato da S. Canestrari, P. Zatti), I, Milano, 2011, p. 894.

38 Così, B. PEZZINI, La questione femminile e di genere nella Costituzione: leggere la prostituzione come questione paradigmatica, in G. BASCHERINI, G. REPETTO (a cura di) Per una storia costituzionale italiana attraverso la letteratura, Milano, 2022, p. 170 ss.

39 Per un approfondimento sulle plurime proposte di riforma della Legge Merlin, si veda G. SERUGHETTI, Riflessioni critiche sulle alternative politico-normative sulla prostituzione in Italia, in G. GAROFALO GEYMONAT, G. SELMI (a cura di), Prostituzione e lavoro sessuale in Italia. Oltre le semplificazioni, verso i diritti, cit., pp. 25-48; C. ANNECCHIARICO, La prostituzione tra regolazione giuridica e politiche di sicurezza, in Astrid-Online, 26 febbraio 2009; A. CADOPPI, Una proposta di riforma della legge Merlin, in Prostituzione e diritto penale. Problemi e prospettive, Roma, 2014, pp. 333-344.

40 Ddl n. 2537, comunicato alla Presidenza il 22 febbraio 2022 (“Modifiche alla legge 20 febbraio 1958, n. 75, e altre disposizioni in materia di abolizione della prostituzione”).

41 R. BIN, Libertà sessuale e prostituzione (in margine alla sent. 141/2019), in M. MANETTI, M. SICLARI (a cura di), Libertà sessuale e prostituzione in una recente sentenza della Corte Costituzionale, Roma, 2023, pp. 101-102.

42 Corte cost., 7 giugno 2019, n. 141. Tra le prime voci ad intervenire, A. DE LIA, Le figure di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione al banco di prova della Consulta. Un primo commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 141/2019, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2019; M. PICCHI, La legge Merlin dinanzi alla Corte costituzionale. Alcune riflessioni sulla sentenza n. 141/2019 della Corte costituzionale, in ibidem, 2019; C.P. GUARINI, La prostituzione «volontaria e consapevole»: né libertà sessuale né attività economica privata “protetta” dall’art. 41 Cost. A prima lettura di Corte costituzionale n. 141/2019, in Osservatorio AIC, n. 4, 2019; P. SCARLATTI, La sentenza n. 141 del 2019 della Corte costituzionale tra discrezionalità del legislatore e tutela dei diritti fondamentali delle persone vulnerabili, in Diritti fondamentali, n. 1, 2020.

43 Così, A. LAURO, Opzioni etiche e scelte individuali: la criminalizzazione della prostituzione fra giudici e legislatori nell’ “Europa latina”, in A. APOSTOLI, Donne, corpo e mercato di fronte alle categorie del diritto costituzionale, cit., p. 122.

44 App. Bari, III sez., ord. 6 febbraio 2018. Per un commento su tale ordinanza, si veda A. BONOMI, Il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione al banco di prova dei principi costituzionali. Qualche osservazione alla luce di una recente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, in Consulta Online, n. 1/2018; N. MADIA, Legge Merlin e fenomeno delle Escort: un binomio al vaglio di costituzionalità, in Diritti comparati, 22 febbraio 2018.

45 Sulla libertà di iniziativa economica privata in una prospettiva costituzionale, a titolo esemplificativo, si veda C. ESPOSITO, I tre commi dell’art. 41, in Giur. cost., 1962, p. 37 s.; A. BALDASSARRE, Iniziativa economica privata, in Enc. dir., vol. XXI, Milano, 1971, p. 582 ss.; M. LUCIANI, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983; ID., Economia (nel diritto costituzionale), in Dig. Disc. Pubbl., vol. V, Torino, 1991, p. 373 ss.; ID., Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, in AIC, Annuario 2011. Costituzionalismo e Costituzione nella vicenda unitaria italiana, Napoli, 2014, p. 99 ss.; G. MORBIDELLI, Iniziativa economica privata, in Enc. giur. Trecc., vol. XVII, Roma, 1989; G. AMATO, Il mercato nella Costituzione, in Quad. cost., 1992, p. 7 ss.; A. PACE, Libertà “del” mercato e “nel” mercato, in Pol. dir., 1993, p. 329 ss.; S. CASSESE, La nuova Costituzione economica. Lezioni, Bari-Roma, 1995; G. DE VERGOTTINI, La Costituzione economica italiana: passato e attualità, in Dir. e soc., 2010, p. 333 ss

46 Per F. POLITI, La prostituzione non è un diritto fondamentale ed è un’attività economica in contrasto con la dignità umana. La sent. n. 141 del 2019 e la “sostanza delle cose”, in Rivista AIC, n. 2, 2020, p. 25, la “sostanza delle cose” è “la realtà di un mondo caratterizzato da soprusi e da sfruttamento”.

47 Sulla stessa linea, C.P. GUARINI, La prostituzione «volontaria e consapevole»: né libertà sessuale né attività economica privata “protetta” dall’art. 41 Cost. A prima lettura di Corte costituzionale n. 141/2019, cit., p. 184.

48 M. MARRAS, Distopia femminista. Analisi di un genere, Milano, 2023, p. 92.

49 Così, D. BIFULCO, Del reclutare escort per un premier: chi offende cosa? Riflessioni sul rapporto fra diritto e fatto in un affaire giudiziario, in Etica & Politica, XXIII/1, 2021, p. 447.

50 Tale espressione è imputabile a S. AGOSTINO DI IPPONA, De Ordine, libr. II (4, 12).

51 Come ritenuto da A. CADOPPI, L’incostituzionalità di alcune ipotesi della legge Merlin e i rimedi interpretativi ipotizzabili. Osservazioni a margine di Corte App. Bari, Sez. III, ord. 6.2.2018, in Diritto penale contemporaneo, n. 3, 2018, p. 157.

52 Così, R. BIN, Libertà sessuale e prostituzione (in margine alla sent. 141/2019), cit., p. 90.

53 C.P. GUARINI, La Corte costituzionale ancora in tema di prostituzione. Osservazioni a partire dalla sentenza n. 278 del 2019, in Diritto fondamentali, n. 2, 2020, pp. 185-186.

54 Così, I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, Roma-Bari, 1997, p. 103 ss.

55 Sul concetto di “dignità umana” in un’ottica costituzionale, tra gli innumerevoli, si veda A. BARBERA, Pari dignità sociale e valore della persona umana nello studio del diritto di libertà personale, in Iustitia, 1962, p. 129 ss.; G. FERRARA, La pari dignità sociale. Appunti per una ricostruzione, in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, vol. II, Milano, 1974, p. 1089 ss.; A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc. giur. Trecc., XI, Roma, 1989; A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, Padova, 1990, p. 47; A. RUGGERI, A. SPADARO, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale (prime notazioni), in Politica del diritto, 1991, p. 343 ss; R. BIFULCO, Dignità umana e integrità genetica nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in Rass. parl., 2005, p. 63 ss.; A. PIROZZOLI, Il valore costituzionale della dignità. Un’introduzione, Roma, 2007; F. VIOLA, I volti della dignità umana, in A. ARGIROFFI, P. BECCHI, D. ANSELMO (a cura di), Colloqui sulla dignità umana, Roma, 2008 P. GROSSI, La dignità nella Costituzione italiana, in E. CECCHERINI (a cura di), La tutela della dignità dell’uomo, Napoli 2008, p. 79 ss; M. DI CIOMMO, Dignità umana e Stato costituzionale. La dignità umana nel costituzionalismo europeo, nella Costituzione italiana e nelle giurisprudenze europee, Firenze, 2010, p. 99 ss; M. RUOTOLO, Appunti sulla dignità umana, in Studi in onore di Franco Modugno, Napoli, 2011; V. BALDINI, Teoriche della dignità umana e loro riflessi sul diritto positivo (a proposito della disciplina sul trattamento del malato mentale), in Diritti fondamentali, n. 2, 2012.

56 Così, A. TESAURO, Spunti problematici in tema di dignità umana come bene penalmente rilevante, in D&Q, n. 11, 2011, p. 933.

57 In tale senso, V. CHAMPEIL-DESPLATS, Dignitè de la personne, in Iuris Classeur Libertés, fasc. 540, 2007, p. 5, secondo il quale “l’individuazione del bene protetto nella dignità oggettiva rappresenterebbe un tentativo per eludere le conseguenze del rilevato spostamento dell’asse di tutela dalla moralità pubblica al bene privatistico della libertà di autodeterminazione”.

58 P. SCARLATTI, La sentenza n. 141 del 2019 della Corte costituzionale tra discrezionalità del legislatore e tutela dei diritti fondamentali delle persone vulnerabili, cit., p. 40.

59 In particolare, F. POLITI, La prostituzione non è un diritto fondamentale ed è un’attività economica in contrasto con la dignità umana. La sent. n. 141 del 2019 e la “sostanza delle cose”, cit., p. 28, aggiunge che “il richiamo (da parte della Corte) al ruolo del legislatore implica la necessità che il limite del rispetto della dignità umana da parte della libertà di iniziativa economica debba trovare esplicitazione in una norma di legge chiamata dunque a dare concretezza alla “tutela della dignità umana”. Emerge così un ulteriore profilo di riflessione […] che riguarda il rapporto intercorrente fra l’art. 2 Cost. e l’art. 41 Cost.”.

60 Sul punto, si veda A. SERENI, Il controllo penale della prostituzione tra etica ed economia, cit., p. 1408.

61 L. VIOLINI, La dignità umana al centro: oggettività e soggettività di un principio in una sentenza della Corte Costituzionale (sent. 141 del 2019), in Diritti fondamentali, n. 1, 2021, p. 454.

62 A. BONOMI, Il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione al banco di prova dei principi costituzionali. Qualche osservazione alla luce di una recente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, cit., p. 137.

63 A. APOSTOLI, “Questioni di genere” tra Costituzione e corpo delle donne, in ID. (a cura di), Donne, corpo e mercato di fronte alle categorie del diritto costituzionale, cit., pp. 6-7.

64 Così, S. SCODANIBBIO, La prostituzione femminile, in AA.VV., Porneia. Voci e sguardi sulle prostituzioni, Padova, 2003, p. 67.

65 Così, S. SCODANIBBIO, La prostituzione femminile, cit., 58.

66 Cass. pen., sez. III, 8 giugno 2004, n. 35776.

67 Sul punto, si veda G. FIANDACA, Punire la semplice immoralità? Un vecchio interrogativo che tende a riproporsi, in A CADOPPI (a cura di), Laicità, valori, e diritto penale. The Moral Limits of The Criminal Law. In ricordo di Joel Feinberg, Milano, 2010, p. 208 ss. In un’ottica diversa, si veda C. RINALDI, Sesso, se’ e società. Per una sociologia delle sessualità, Milano, 2016.

68 In particolare, A. DE LIA, Le figure di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione al banco di prova della Consulta. Un primo commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 141/2019, cit., parla di “truffa delle etichette”. In senso critico, si veda anche G. M. LOCATI, Libere di prostituirsi? Commento alla sentenza n. 141/2019 della Corte costituzionale, in Questione Giustizia, 2019.

69 A. SERENI, Il controllo penale della prostituzione tra etica ed economia, cit., p. 1404. Sul punto, A. CADOPPI, Dignità, prostituzione e diritto penale. Per una riaffermazione del bene giuridico della libertà di autodeterminazione sessuale nei reati della legge Merlin, in Archivio Penale, n. 1, 2019, p. 38, osserva che “il paternalismo morale è – fra i vari paternalismi giuridici – quello che più coralmente viene condannato dagli studiosi. Invero, ammettendo un intervento paternalistico di tipo morale nell’ambito del diritto penale, si finirebbe a tutelare col più terribile dei diritti la pura morale, cosa che confliggerebbe addirittura con il principio di laicità dello Stato e con altri diritti e libertà costituzionalmente garantiti. Si punirebbe il “modo di essere” delle persone, e nel caso di specie addirittura un esercizio di una libertà di autodeterminazione in materia sessuale. Simili rilievi si ritrovano, con specifico riferimento alla prostituzione”.

70 B. PEZZINI, Donne, corpo e mercato di fronte alle categorie del diritto costituzionale: la legge Merlin nella prospettiva costituzionale antisubordinazione di genere, cit., pp. 72-73.

71 Così, L. VIOLINI, La dignità umana al centro: oggettività e soggettività di un principio in una sentenza della Corte Costituzionale (sent. 141 del 2019), cit., p. 448.

72 Così, R. BIN, Libertà sessuale e prostituzione (in margine alla sent. 141/2019), cit., p. 95.

73 Così, N. ZANON, Corte costituzionale, evoluzione della “coscienza sociale”, interpretazione della Costituzione e diritti fondamentali: questioni e interrogativi a partire da un caso paradigmatico, in Rivista AIC, 2017, p. 13.

74 Così, A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Sub-art. 2, in A. CADOPPI (a cura di), Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, Padova, III ediz., 2002, p. 504.

75 Un’eccezione è rappresentata da M. JERVOLINO, La regolamentazione della prostituzione. Aspetto politico-legislativo, in Cronache sociali, n. 23-24, 31 dicembre 1948, pp. 4-8.

76 Archivio di Stato di Padova, Prefettura, Gabinetto, b. 627, Cat. XV/1, “Affari di P.S. Varie”, 1945-1948, f. xv/1 “Riservato”, Merlin al prefetto Manno, 17-6-1946.

77 Sul punto, G. DAMMACCO, La condizione della donna nel diritto delle religioni, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2007, pp. 10-11, tiene a sottolineare come il Concilio Vaticano II e i pontefici successivi (Paolo VI, Giovanni Paolo I, e soprattutto Giovanni Paolo II) abbiano contribuito fortemente a spingere il cattolicesimo verso la riscoperta della autenticità del messaggio evangelico, cercando di liberarlo dalle sovrastrutture culturali, che lo hanno incrostato nel tempo, e che sono anche alla base della questione femminile”.

78 Aug. De nupt, 2.20.35; Aug. De bono coniug. 11.12; Aug. De ordine 2.4.12.

79 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione, Gaudium et spes, II, 27.

80 Per una lettura “laica” della ratio ispiratrice e dei contenuti della legge Merlin S. NICCOLAI, La legge Merlin e i suoi interpreti, in D. DANNA, S. NICCOLAI, L. TAVERNINI, G. VILLA, Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, Milano, 2019, p. 114 ss.

81 Corte cost., 12 aprile 1989, n. 203. Sul tema, la dottrina è fiorente. A titolo esemplificativo, si veda S. DOMIANELLO, Sulla laicità nella Costituzione, Milano 1999; S. PRISCO, Il principio di laicità nella recente giurisprudenza, in Costituzionalismo.it, 2007; A. BARBERA, Il cammino della laicità, in AA.VV., Laicità e diritto (a cura di S. Canestrari), Bologna, 2007; S. SICCARDI, Il principio di laicità nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (e rispetto alle posizioni dei giudici comuni), in Diritto pubblico, n. 2, 2017, pp. 501-570; P. CARETTI, Il principio di laicità in trent’anni di giurisprudenza costituzionale, in ibidem, n. 3, 2011, pp. 761-778; N. COLAIANNI, Trent’anni di laicità (Rileggendo la sentenza n. 203 del 1989 e la successiva giurisprudenza costituzionale), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 21, 2020.

82 Così, A. CADOPPI, Il “bicchiere mezzo pieno”. Un tentativo di lettura costruttiva delle Sentenze della Corte costituzionale in tema di favoreggiamento della prostituzione, in Archivio Penale, n. 3, 2020, p. 2. In tale prospettiva, A. MANNA, A. DE LIA, Convinzioni etico-religiose e principio di laicità, in Il diritto penale della globalizzazione, 2019, osservano che il principio di laicità “non può non comportare l’esistenza di una pluralità, anche antitetica, di “concezioni del mondo, che, proprio in rapporto all’impianto costituzionale, dovrebbero essere “tollerate” se non addirittura alimentate, dovendosi rifuggire da gerarchizzazioni fondate su interpretazioni che, specie in ambiti controversi, ambiscano ad identificare il … “sano sentimento” del Popolo Italiano”.

83 Si ricorda che il principio di laicità è collegato al principio di offensività, ove ai sensi dell’art. 25, co. 2, Cost., si fa espresso divieto di punire un individuo per la commissione di un fatto inoffensivo, ovverosia privo di offesa ad un bene giuridico.

84 Così, F. VIGANÒ, Il principio di laicità e le recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di aiuto al suicidio e favoreggiamento della prostituzione, in Sistema Penale, 2022, pp. 18-19. In particolare, egli tiene a ricordare che la prostituzione rientra tra quelle situazioni delle quali “è necessario che lo Stato si faccia carico venendo incontro ai bisogni reali delle persone che vi si trovino, anziché semplicemente attraverso il riconoscimento […] della loro libertà di prostituirsi”.

85 Così, F. GIUNTA, I beni della persona penalmente tutelati, in Criminalia, 2018, p. 18.

86 Su tale scia, A. CADOPPI, Il “bicchiere mezzo pieno”. Un tentativo di lettura costruttiva delle sentenze della Corte costituzionale in tema di favoreggiamento della prostituzione, cit., p. 13; A. MANNA, La legge Merlin e i diritti fondamentali della persona: la rilevanza penale della condotta di favoreggiamento, in Archivio Penale, n. 3, 2013, p. 11.

87 F. GIUNTA, Le prostituzioni: tra fatto e diritto, in Giust. pen., n. 7, 2013, p. 479.

88 Così, A. CADOPPI, Prospettive di riforma delle norme in tema di prostituzione, in https://www.aipdp.it/.

89 F. PARISI, Prostituzione: Aporie e tabù di un nuovo diritto penale tutorio, cit., p. 29.

90 M. PICCHI, Una nuova pronuncia sulle condotte criminali parallele alla prostituzione. (Brevi osservazioni sulla sentenza n. 278/2019), in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 1, 2020, p. 371

91 Per un approfondimento sul tema, si veda M.C. REALE, Disabilità e diritti fondamentali in ottica costituzionale: accessibilità e assistenza sessuale come nuove possibili frontiere, in Gruppo di Pisa, 2018; B. CASALINI, Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale, in Etica & Politica, vol. XV, n. 2, 2013, pp. 301-320; L. LEO, “Animae duae, animus unus”. Note sul diritto alla sessualità delle persone disabili, in AmbienteDiritto, n. 2, 2023.

92 Di tale avviso è anche P. PASSAGLIA, Un (sommario) inquadramento comparatistico della disciplina della prostituzione, cit., p. 779.