IL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E IL G.P.P. – REQUISITI DI PARTECIPAZIONE E DI ESECUZIONE NELLA RECENTE EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE.
Giuseppina Cinieri
ABSTRACT. “La Pubblica Amministrazione è il più grande consumatore delle moderne società”. Il presente studio, dopo una breve analisi del rapporto in termini evolutivi tra la società civile, le autorità pubbliche e l’impresa industriale da una parte e l’ambiente dall’altra, rapporto che nel tempo ha certamente orientato la politica in materia ambientale, si occupa del Green Public Procurement, ovvero “Appalti Verdi” quale strumento di sviluppo sostenibile mediante cui le pubbliche amministrazioni cercano di ottenere beni, servizi e opere con un impatto ambientale ridotto per l’intero ciclo di vita. Dopo avere illustrato il quadro normativo europeo e nazionale in materia di appalti verdi, l’elaborato analizza le principali norme del Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 50 del 18 aprile 2016) rivolte alla costruzione di una procedura di gara nel rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale e i più recenti interventi della magistratura amministrativa. L’elaborato si conclude con alcune riflessioni sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), strettamente connesse con l’oggetto del presente studio.
“Public Administration is the biggest consumer of modern societies”. This study, after a brief analysis of the relationship in evolutionary terms between civil society, public authorities and the industrial enterprise on the one hand and the environment on the other, a relationship that over time has certainly oriented environmental policy, deals with Green Public Procurement, or “Green Procurement” as a tool for sustainable development through which public administrations seek to obtain goods, services and works with a reduced environmental impact for the entire life cycle. After presenting the European and national regulatory framework for green procurement, the paper analyzes the main rules of the Code of Public Contracts (Legislative Decree no. 50 of 18 April 2016) aimed at the construction of a tender procedure in compliance with the criteria of environmental sustainability and the most recent interventions of the administrative judiciary. The report concludes with some reflections on the National Recovery and Resilience Plan (PNRR), closely related to the subject of this study.
Sommario: 1. Introduzione. 2. Sviluppo Sostenibile. 3. Il Green Public Procurement (GPP). – Appalti verdi come strumento di sviluppo sostenibile. 4. La legislazione europea in materia di appalti verdi. 5. La legislazione italiana in materia di appalti verdi. 6. Il Codice dei Contratti Pubblici. 7. I requisiti di partecipazione e di esecuzione in un appalto pubblico: elementi differenziali. 8. I requisiti ambientali quali requisiti di partecipazione, di esecuzione e criteri di aggiudicazione: C.A.M.. 9. Riflessioni sul PNRR.
1.Introduzione.
“La Pubblica Amministrazione è il più grande “consumatore” delle moderne società. È subito evidente l’importanza di una politica pubblica di “Acquisti Verdi”.
Partendo dal concetto di Sviluppo Sostenibile che ha da tempo caratterizzato in termini evolutivi il rapporto tra società civile, autorità pubbliche e impresa industriale da una parte e l’ambiente dall’altra, il presente elaborato si occupa del Green Public Procurement, strategia economica di sviluppo sostenibile che ha l’obiettivo di integrare considerazioni di carattere ambientale nelle procedure di acquisto delle Pubbliche Amministrazioni; è cioè il mezzo per potere scegliere “quei prodotti e servizi che hanno un minore, oppure un ridotto, effetto sulla salute umana e sull’ambiente rispetto ad altri prodotti o servizi utilizzati allo stesso scopo.
L’elaborato prosegue con l’esame del quadro normativo di riferimento, sovranazionale e nazionale, delle principali norme del vigente Codice dei Contratti Pubblici dedicate agli acquisti verdi e dei più recenti e significativi interventi giurisprudenziali in materia di requisiti ambientali.
2. Sviluppo Sostenibile.
Nel corso del tempo si è assistito ad una continua evoluzione del rapporto tra la società civile, le autorità pubbliche e l’impresa industriale da una parte e l’ambiente dall’altra. Tale evoluzione è stata determinata da tre diverse tipologie di fattori tra loro consequenziali:
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la presa di coscienza, soprattutto negli ultimi decenni, che i problemi di inquinamento e di deterioramento delle risorse naturali si sono aggravati notevolmente e, di conseguenza, che ciò ha comportato una maggiore attenzione sociale e politica verso la salvaguardia delle risorse naturali e la difesa dell’ambiente;
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l’evolversi della normativa ambientale in senso sempre più restrittivo e vincolante, e l’incremento dei controlli sempre più incisivi e delle sanzioni sempre più pesanti. In modo particolare per le imprese aumentano le difficoltà dovendosi adeguare ad una legislazione in continua evoluzione sempre più farraginosa, e di difficile interpretazione;
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la consapevolezza, da parte dell’impresa, che la variabile ambiente diventa sempre più importante e critica ai fini della sua competitività e della sua redditività.
Questi elementi hanno determinato dagli anni ’50 del secolo scorso fino ad oggi una progressiva evoluzione all’interno di questo rapporto, connotata da diverse fasi non sempre facilmente separabili e distinguibili per la coesistenza di elementi comuni.
Si passa da una prima fase, cosiddetta fase agnostica, collocata nel periodo della ricostruzione successiva al secondo conflitto mondiale e del boom economico, durante la quale non esiste ancora una legislazione in materia ambientale e il problema della salvaguardia ambientale viene completamente ignorato, ad una seconda fase, cosiddetta fase regolamentativa, nella quale la società e le autorità si rendono conto che la crescita industriale incide pesantemente sull’ambiente, ragion per cui si cerca di risolvere il problema dell’inquinamento con l’emanazione di alcune norme. Queste, tuttavia, non modificano sostanzialmente l’atteggiamento delle imprese, che pur impegnandosi al rispetto dei vincoli legislativi, non cambiano la loro impostazione mentale.
Verso la fine degli anni ’70 si entra nella fase del risanamento. Il livello di degrado ambientale non può più essere trascurato e, sotto le pressioni dell’opinione pubblica che diventava sempre più sensibile alle problematiche ambientali, le autorità si rendono conto che è necessario intervenire con maggiore decisione e incisività. In questa fase il principio ispiratore è “rimediare all’inquinamento esistente” attraverso un’ampia serie di provvedimenti di emergenza con lo scopo di contenere nel breve termine i danni causati all’ambiente.
Negli anni ’80 si passa, invece, alla fase di prevenzione. In questa fase l’atteggiamento prevalente delle autorità non è più rimediare all’inquinamento esistente, ma prevenirlo. Per cui, ad una legislazione di tipo vincolistico e punitivo si affiancano altri principi come:
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principio di precauzione;
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principio di responsabilità (chi inquina paga): la persona o l’organizzazione responsabile dell’inquinamento dovrà sostenere i costi necessari per rimediare ai danni provocati all’ambiente.
All’inizio degli anni novanta si entra nella cosiddetta fase di gestione, durante la quale si rafforza l’impegno verso lo sviluppo sostenibile come principio-guida. Si comincia ad avvertire, sia a livello pubblico che a livello privato, la necessità di adottare una vera e propria politica ambientale. Durante questa fase il tradizionale approccio di tipo comando e controllo, dominante nella legislazione ambientale degli anni ’70 e ’80, viene gradualmente sostituito con l’approccio sempre più fortemente orientato alla prevenzione, all’auto-controllo e alla responsabilizzazione degli operatori coinvolti. In questa fase la cultura prevalente tende a rivalutare lo sviluppo economico e riconosce che il sistema industriale può contribuire alla salvaguardia dell’ambiente. Questo tipo di impostazione richiede un quadro giuridico strutturato ed organico, sia a livello nazionale che a livello sovranazionale, con lo scopo di incentivare la green orientation delle imprese.
Intanto, le autorità della Comunità Europea approvano il Quinto Programma di azione in tema di protezione ambientale (1993/2001). Mentre i precedenti Programmi d’azione si basavano quasi esclusivamente su provvedimenti legislativi, il Quinto Programma sottolinea l’esigenza di allargare la gamma di strumenti utilizzati, proponendo in particolare quattro categorie:
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strumenti legislativi
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strumenti di mercato
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strumenti orizzontali di supporto (ad es. migliori dati statistici, ricerca e sviluppo tecnologico, pianificazione settoriale e territoriale, informazione ed educazione del pubblico, istruzione e formazione del personale)
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meccanismi di sostegno.
L’Italia, da parte sua, emana nel 1993 il primo “Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile, in attuazione dell’Agenda 21”, che costituisce un esame dello stato di attuazione delle politiche ambientali.
Con l’inizio del nuovo millennio si entra nell’attuale fase della gestione integrata, durante la quale si comincia a considerare e ad attuare l’integrazione tra i fattori della qualità, della sicurezza, dell’ambiente e dell’etica, sia a livello pubblico che a livello privato.
In questo contesto viene approvato dalle autorità dell’Unione Europea il Sesto Programma d’azione per l’ambiente (2002/2010). I principi sui quali il Sesto Programma ha fondato le sue basi sono quelli ormai consolidati nella cultura ambientale comunitaria: sussidiarietà; chi inquina paga; precauzione; azione preventiva; riduzione dell’inquinamento alla fonte. La filosofia del Sesto Programma evidenzia due aspetti interessanti:
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un completamento del concetto di sviluppo sostenibile. Non si tratta più solo di integrazione fra ecologia ed economia, ma di una qualità congiunta di ambiente globale, economia e sviluppo sociale;
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la legislazione resta l’elemento centrale della tutela ambientale. Devono comunque essere considerati anche altri strumenti e l’attività legislativa deve fondarsi sulla migliore valutazione scientifica ed economica disponibile e sulla conoscenza dello stato dell’ambiente.
Dal Sesto Programma emerge anche che la Commissione Europea ha individuato nella Politica Integrata di Prodotto (Integrated Product Policy, IPP) un approccio in grado di dare un forte contributo alla tutela ambientale. L’IPP non si pone come un nuovo strumento di intervento da parte del decisore, pubblico o privato, quanto piuttosto come un nuovo approccio diretto ad analizzare e raccordare tra loro politiche esistenti focalizzate su varie fasi del ciclo di vita o sull’adozione di particolari strumenti. La Politica Integrata di Prodotto ha lo scopo di rafforzare ed orientare le politiche ambientali riguardanti i prodotti e i servizi per promuovere lo sviluppo di un mercato più “ecologico”, incentrandosi, a tal fine, sul sistema prodotto/servizio con un approccio basato sull’analisi del ciclo di vita; propone una serie di strumenti e strategie mirati ad indirizzare la progettazione, stimolare la domanda e l’offerta, favorire scelte informate dei consumatori e integrare le considerazioni economiche con quelle ambientali.
In questo scenario, la tutela dell’ambiente rientra certamente tra le priorità strategiche delle imprese trasformandosi così in opportunità competitiva e il ruolo delle autorità pubbliche diventa sempre più determinante per il raggiungimento di tale scopo.
Tra gli strumenti della IPP più adatti ad assecondare il ruolo delle autorità pubbliche in questo contesto c’è sicuramente quello degli Acquisti Pubblici Verdi (Green Public Procurement, GPP).
3. Il Green Public Procurement (GPP) – Appalti verdi come strumento di sviluppo sostenibile.
Il Green Public Procurement (GPP) rappresenta una particolare categoria di Public Procurement in cui la selezione dei prodotti e servizi tende a ridurre al minimo gli impatti ambientali, il che richiede la valutazione degli stessi in tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto/servizio, dalla produzione, alla fase di utilizzo e consumo, fino allo smaltimento finale. Il GPP viene appunto definito dalla Commissione Europea come “un processo mediante cui le pubbliche amministrazioni cercano di ottenere beni, servizi e opere con un impatto ambientale ridotto per l’intero ciclo di vita rispetto ai beni, servizi e opere con la stessa funzione primaria ma oggetto di una procedura di appalto diversa”1.
In Europa gli Enti pubblici rappresentano la categoria quantitativamente più rilevante di consumatori. La spesa da questi sostenuta per la stipulazione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture incide significativamente, in termini percentuali sul PIL dell’UE e, pertanto, “usando il loro potere d’acquisto per scegliere beni, servizi ed opere a ridotto impatto ambientale, possono fornire un importante contributo agli obiettivi di sostenibilità a livello locale, regionale, nazionale e internazionale”. Promuovendo e utilizzando il GPP, le Pubbliche Amministrazioni sono in grado di favorire l’innovazione sul mercato, offrendo all’industria incentivi reali per sviluppare prodotti e tecnologie verdi. Inoltre, qualora un’amministrazione decidesse di stipulare un appalto “verde” non solo si porrebbe in condizione di proteggere l’ambiente, ma anche di risparmiare una rilevante somma di denaro, soprattutto se si prende in considerazione il costo dell’intero ciclo di vita di un contratto di appalto e non solamente il suo prezzo di acquisto (Life-Cycle Thinking)2.
Il GPP ha, quindi, l’obiettivo di integrare considerazioni di carattere ambientale all’interno dei processi di acquisto delle Pubbliche Amministrazioni e di orientare il mercato (ovvero le scelte su beni, servizi e lavori), verso scelte più eco-compatibili, con minori impatti ambientali; ha, quindi, un ruolo molto importante per la diffusione di un mercato e di una cultura più attenti all’ambiente.
Per l’Ente che lo applica ed in generale per il contesto delle politiche ambientali ed economiche, il GPP:
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favorisce la diffusione di modelli di consumo e di acquisto sostenibili anche presso le aziende private e i singoli cittadini, attraverso il ruolo di esempio che le P.A. possono rivestire nei confronti dell’opinione pubblica;
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favorisce la razionalizzazione della spesa pubblica, da un lato tramite la diffusione di una cultura attenta a contenere i consumi non necessari non solo presso chi materialmente effettua gli acquisti ma anche da parte del personale che a vario titolo opera presso gli uffici pubblici, dall’altro tramite la diffusione di un approccio più corretto per valutare il prezzo del bene/servizio o lavoro oggetto dell’acquisto. Il GPP infatti facilita una considerazione del costo totale, includendo, accanto al prezzo, anche i costi indiretti (connessi all’utilizzo e allo smaltimento del prodotto stesso) in modo da effettuare scelte d’acquisto convenienti dal punto di vista economico-finanziario in un’ottica di medio e lungo termine; inoltre, se affiancato da un’analisi costi benefici/prestazionale, permetterebbe una allocazione ottimale delle risorse da parte degli enti pubblici;
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favorisce l’integrazione delle considerazioni ambientali nelle altre politiche dell’ente, coinvolgendo in modo trasversale settori che tradizionalmente non si occupano di ambiente e settori che possono incidere notevolmente sulle performance ambientali dell’ente, quali i trasporti, le infrastrutture e l’edilizia;
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favorisce la diffusione di una cultura ambientale sia nel cercato dell’offerta che della domanda. Ed infatti, la politica degli acquisti sostenibili permette di rafforzare in maniera significativa presso gli operatori economici gli stimoli esistenti in favore della ricerca e sviluppo e dell’innovazione, in particolare nel campo delle tecnologie ambientali;
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favorisce l’accrescimento delle competenze degli acquirenti pubblici in quanto mette in prima linea la responsabilità e la capacità di ottimizzare da un punto di vista economico e non solo finanziario le scelte d’acquisto;
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stimola le imprese ad investire in R&S e a proporre soluzioni ecoinnovative che possano soddisfare il committente pubblico o per esigenze specifiche o per effettuare proposte di offerta più competitive in risposta a requisiti di performance. La domanda pubblica può costituire un importante volano per orientare l’offerta a qualificarsi verso l’ecoinnovazione che rientra tra gli obiettivi strategici dell’UE e presenta un nesso evidente con il Programma Quadro per la competitività e l’innovazione.
4. La legislazione europea in materia di appalti verdi.
L’impiego del GPP venne inizialmente incoraggiato a livello europeo, se ne parla infatti sia nel Libro Verde sulla politica integrata dei prodotti del 1996, sia nel Sesto Programma d’Azione in campo ambientale e sviluppato nella Politica Integrata di Prodotto (IPP – Integrated Product Policy). Numerosi sono gli atti e i documenti che nel tempo si sono succeduti a livello europeo:
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le due comunicazioni interpretative speculari del 2001 “sul diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici” e sul “diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare aspetti sociali negli appalti pubblici”;
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Comunicazione COM 2003/302, con la quale sono stati invitati gli Stati membri ad adottare dei Piani d’azione nazionali sul GPP, per garantirne la massima diffusione;
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I Manuali della Commissione UE, rispettivamente, “Buying Green I” (III edizione del 2016) e “Buying social” del 2011 che costituiscono due Guide per introdurre gli aspetti ambientali e sociali negli appalti pubblici;
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le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, con le quali si fa chiarezza del quadro normativo, riconoscendo esplicitamente sia la possibilità di inserire la variabile ambientale come criterio di valorizzazione dell’offerta di acquisto sia le modalità con le quali le amministrazioni pubbliche potevano procedere;
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le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE. Il 28 marzo 2014 sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 94/65 tre direttive che riformano il settore degli appalti e delle concessioni: la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei cd. “settori ordinari”, la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cd. “settori speciali” (acqua, energia, trasporti, servizi postali) e la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Le direttive sono entrate in vigore il 18 aprile 2014 e le relative disposizioni sono state recepite nell’ordinamento italiano entro il 18 aprile 2016, con D.Lgs. n. 50/2016. È così giunto a compimento un articolato percorso di elaborazione di nuove norme in grado di innovare e sostituire le precedenti disposizioni comunitarie in materia. In particolare, le direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE sugli appalti abrogano rispettivamente le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE recepite in Italia con le norme del Codice degli Contratti Pubblici approvato con d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 in esecuzione della delega contenuta nella legge comunitaria 2004 (legge 18 aprile 2005, n. 62). Quanto alla direttiva 2014/23/UE in materia di contratti pubblici di concessione va segnalato che essa interviene a colmare un vera e propria lacuna normativa: a differenza di quanto occorso per le procedure di appalto, l’aggiudicazione delle concessioni di servizi con interesse transfrontaliero scontava un deficit di disciplina al quale era possibile sopperire solo mediante l’applicazione dei principi contenuti nei Trattati, con evidenti ricadute negative in termini di certezza e uniformità della disciplina applicata in concreto.
Le nuove Direttive 23, 24 e 25 del 2014 hanno, tra gli obiettivi, quello di favorire una migliore integrazione dei requisiti ambientali nella procedure di appalto. Una delle principali novità della nuova normativa europea consiste infatti nell’introduzione, tra i principi generali, dell’obbligo degli Stati membri di adottare misure adeguate a garantire l’integrazione dei requisiti in materia ambientale, sociale e del lavoro nelle procedure di gara nonché nell’esecuzione dei contratti, e fare in modo che gli operatori economici rispettino questi obblighi stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, dai contratti collettivi o dal diritto internazionale3.
Il rispetto di tali obblighi è fatto oggetto di valutazione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici nel corso della procedura di aggiudicazione e di verifica dell’offerta anomala e può riguardare anche il subappaltatore nelle ipotesi in cui l’impresa aggiudicataria abbia fatto ricorso a questa tipologia di contratto: tale previsione, infatti, scoraggia la stazione appaltante a ricorrere al subappalto nei confronti di società, anche provenienti da paesi terzi, caratterizzate da un minor costo del lavoro, da una minore tutela sociale e da standard di tutela vigenti meno stringenti in confronto a quelli imposti a livello europeo, al solo scopo di eludere il rispetto della relativa disciplina. Per cui un’impresa, anche se avesse presentato l’offerta più vantaggiosa, potrebbe essere esclusa se non rispettasse tutti gli obblighi normativi derivanti dalla legislazione ambientale nazionale, europea ed internazionale.
Il quadro normativo europeo di riferimento denota come sul piano politico-economico si sia passati da un modello di economica lineare quale quello del “prendi, produci, usa e getta” affermatosi fin dalla rivoluzione industriale a un modello di economia circolare nel quale il prodotto quando raggiunge la fine del ciclo di vita, invece di diventare rifiuto, resta all’interno del sistema economico e può essere riutilizzato più volte a fini produttivi e creare così di conseguenza nuovo valore. Tuttavia, è chiaro che “per passare ad un’economica più circolare occorre apportare cambiamenti nell’insieme delle catene di valore, dalla progettazione dei prodotti ai modelli di mercato e di impresa, dai metodi di trasformazione dei rifiuti in risorse alle modalità di consumo”: ciò implica un vero e proprio cambiamento sistemico e un forte impulso innovativo, non solo sul piano della tecnologia, ma anche dell’organizzazione, della società, dei metodi di finanziamento e delle politiche.
5. La legislazione italiana in materia di appalti verdi.
Nel nostro Paese un quadro di riferimento complessivo sia tecnico che metodologico del Green Public Procurement è stato introdotto con:
– il decreto interministeriale dell’11 aprile 2008, successivamente aggiornato con il D.M. 10 aprile 2013 che, accogliendo l’indicazione della Commissione Europea di dotarsi di un Piano di Azione in materia, ha approvato il Piano d’Azione Nazionale sul GPP (PAN GPP), approvato successivamente con Decreto interministeriale dell’11 aprile 2008, aggiornato dal D.M. del 10 aprile 2013, con lo scopo di facilitare l’adozione e implementare il sistema degli acquisti verdi e che ha previsto l’entrata in vigore, con successivi decreti ministeriali, dei Criteri Ambientali Minimi per ogni categoria di prodotti, servizi e lavori acquistati o affidati dalla pubblica amministrazione.
Gli obiettivi strategici su cui il GPP a livello italiano intende incidere sono essenzialmente tre:
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riduzione dei consumi di energia da fonti fossili attraverso i criteri ambientali che favoriscano l’aumento dell’efficienza energetica e l’utilizzo delle fonti rinnovabili;
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riduzione dei rifiuti prodotti e della loro pericolosità attraverso criteri ambientali che favoriscono l’acquisto e la diffusione di prodotti della durata di vita maggiore, facilmente riutilizzabili contenenti materiali riciclati, riciclabili, con ridotto volume di prodotti di scarto (imballaggi);
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riduzione dell’uso e dell’emissione di sostanze pericolose.
Il PAN GPP si articola in 2 parti:
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una parte generale relativa alla struttura del Piano e alle indicazioni metodologiche;
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una serie di atti aggiuntivi (Decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, attualmente Ministero della Transizione Ecologica), contenenti i c.d. “Criteri Ambientali Minimi” che vanno inseriti nel Bandi di gara per l’acquisto di beni e servizi delle Amministrazioni centrali e degli altri Enti Pubblici.
I Criteri Ambientali Minimi o CAM, consistono quindi in considerazioni ambientali inseribili nelle diverse fasi delle procedure di gara (oggetto dell’appalto, specifiche tecniche, criteri premianti, condizioni di esecuzione dell’appalto/clausole contrattuali) volte ad indirizzare l’Ente verso una razionalizzazione dei consumi e degli acquisti. Vendono definiti “Minimi” in quanto, affinché i Capitolati possano essere considerati “verdi”, essi dovranno essere obbligatoriamente inseriti.
Ma la vera svolta nel nostro Paese per il GPP è stata determinata prima dall’approvazione del cosiddetto Collegato ambientale alla legge di stabilità 2016 (legge n. 221/2015 “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo delle risorse naturali) e poi dall’emanazione del nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 50/2016), che ha recepito le direttive comunitarie sopra richiamate fornendo, in qualche passaggio, input ancor più vigorosi di quelli di matrice comunitaria e che integra pienamente le politiche di GPP finora promosse a livello nazionale e regionale, trasformandole -per le stazioni appaltanti – da volontarie a cogenti.
Quanto disposto dalla legge n. 221/2015 trova attuazione nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici con l’integrazione e l’ampliamento di nuove previsioni normative.
6. Il Codice dei Contratti Pubblici.
Ad oggi, la spinta più importante per lo sviluppo in Italia degli acquisti verdi si è avuta con la versione definitiva dell’articolo 34 del nuovo Codice degli Appalti, d.lgs 50/2016 così come modificato dal decreto legislativo 19 aprile 2017 n. 56, il quale ha previsto l’obbligatoria applicazione, per l’intero valore dell’importo della gara, delle “specifiche tecniche” e delle “clausole contrattuali” contenute nei criteri ambientali minimi (CAM) prevedendo, altresì, che si debba tener conto degli stessi anche per la definizione dei “criteri di aggiudicazione dell’appalto”. Altre norme del Codice, propriamente rivolte alla costruzione di una procedura di gara, sono integrate da considerazioni ambientali e, come tali, collocati al Titolo III afferenti disposizioni sulla procedura di affidamento.
Gli articoli 4 e 30 affermano principi di carattere generale che devono presiedere i contratti pubblici, anche quelli esclusi dall’applicazione del codice, ovvero il principio di tutela dell’ambiente ed efficienza energetica (art. 4) ed il principio di economicità (art. 30) il quale può essere subordinato, nei limiti in cui è consentito dalle norme vigenti e dal codice medesimo, ai criteri ispirati alla tutela dell’ambiente, del patrimonio e alla promozione dello sviluppo sostenibile.
L’articolo 34 è la vera rivoluzione del nuovo Codice ed ha il merito di dedicare al principio della sostenibilità ambientale una disposizione isolata all’interno dei principi generali; il suo scopo è la garanzia di una sostenibilità minima alla base di ogni procedura pubblica. L’articolo definisce l’obbligo di utilizzare nella documentazione progettuale e di gara almeno le specifiche tecniche e le clausole contrattuali riportate nei CAM (Criteri Ambientali Minimi) per le categorie merceologiche di riferimento e la facoltà di applicare i criteri premianti riportati nei CAM nelle fasi di selezione nelle gare aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’articolo 95 comma 6. La portata innovativa di questo articolo è che il medesimo si applica agli affidamenti di qualunque importo, relativamente alle categorie di forniture e di affidamenti di servizi e lavori oggetto dei criteri ambientali minimi.4
Tali criteri si definiscono “minimi” in quanto sono requisiti “di base”, per qualificare gli acquisti dal punto di vista della sostenibilità. Essi sono solitamente definiti un’insieme di requisiti previsti per le varie fasi del processo di acquisto, volti ad individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita.
La definizione delle specifiche tecniche è contenuta all’articolo 68 e nell’allegato XIII richiamato dal medesimo articolo: insieme di prescrizioni, contenute in particolare nei documenti di gara, che definiscono le caratteristiche previste per un materiale, un prodotto, una fornitura o un servizio, i livelli di qualità, i livelli di prestazione ambientale, le ripercussioni sul clima, le procedure riguardanti il sistema di garanzia della qualità, il collaudo e metodi di prova, la marcatura e l’etichettatura, nonché i processi e i metodi di produzione in qualsiasi momento del ciclo di vita dei lavori, delle forniture o dei servizi.
Le amministrazioni che intendono appaltare lavori, forniture o servizi con specifiche caratteristiche ambientali, possono, ai sensi del successivo articolo 69, imporre nelle specifiche tecniche, oltre che nei criteri di aggiudicazione o nelle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto, un’etichettatura specifica come mezzo di prova che i lavori, le forniture o i servizi corrispondono alle caratteristiche richieste.5
L’articolo 69 comma 1, quarto periodo, a sua volta, dispone che i bandi di gara, da redigere conformemente ai bandi tipo adottati dall’ANAC, “contengono, altresì, i criteri ambientali minimi di cui all’art. 34”.
In fase di gara la stazione appaltante può richiedere particolari certificazioni di qualità e, segnatamente la “certificazione ambientale”. A tale documento è dedicato l’articolo 87 del Codice. La certificazione ambientale consiste in un attestato che certifica l’impiego dell’organizzazione per il rispetto dell’ambiente; appartiene all’impresa, non solo al prodotto, e inerisce gli aspetti relativi alla gestione e al controllo ambientale delle attività produttive. La certificazione ambientale non copre il prodotto realizzato o il servizio reso, ma attesta semplicemente che l’imprenditore opera in conformità a specifici standard internazionali per quanto attiene la qualità dei propri processi produttivi.
L’articolo 82 definisce le caratteristiche degli organismi di valutazione della conformità (Enti di certificazione), ammette i certificati rilasciati da organismi “equivalenti” e riporta indicazioni analoghe a quelle dell’articolo 69.
L’articolo 95, titolato “Criteri di aggiudicazione dell’appalto” individua nell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglio rapporto qualità/prezzo, il criterio che consente di introdurre considerazioni ambientali e sociali, purché pertinenti all’oggetto dell’appalto e rispettosi dei principi fondamentali del diritto comunitario di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento.
A differenza degli articoli innanzi citati, che convergono a monte della costruzione di una procedura di gara in materia ambientale, l’articolo 100, “Requisiti per l’esecuzione di un appalto”, non a caso collocato nel Titolo V- Esecuzione – del D.Lgs.. n. 50/2016 si pone a valle della costruzione di un appalto in materia ambientale. Recita tale articolo che le stazioni appaltanti “possono” richiedere specifiche condizioni per l’esecuzione del contratto, che possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali, purché compatibili con i principi di diritto comunitario di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e innovazione.
7. Requisiti di partecipazione e di esecuzione in un appalto pubblico: elementi differenziali.
Come già anticipato nel recedente paragrafo, ai “requisiti di esecuzione in un appalto pubblico” è dedicato l’articolo 100 del D.Lgs. n. 50/2016 che, nel dare recepimento alla normativa eurocomune e, segnatamente, alla previsione di cui all’art. 70 della direttiva 2014/24 e all’art. 87 della direttiva 2014/25, faculta le stazioni appaltanti a richiedere agli operatori economici, in aggiunta al possesso dei “requisiti” e delle “capacità” oggetto di valutazione selettiva di cui all’art. 83, ulteriori “requisiti particolari”, a condizione che:
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siano rispettosi degli ordinari canoni di “parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione” che ispirano le procedure evidenziali, nella logica della garanzia di compatibilità “con il diritto europeo” (comma 1);
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siano individuati ed indicati con precisione (distinti, quindi, dai requisiti di partecipazione) nel corpo della lex specialis di procedura (comma 1);
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gli operatori economici si impegnino, già in sede di formalizzazione dell’offerta e con espressa dichiarazione di accettazione, a garantirne il possesso “nell’ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari” (comma 2).
Trattasi, quindi, di specifiche condizioni che la stazione appaltante può richiedere per l’esecuzione del contratto e che i concorrenti devono accettare già al momento della partecipazione in vista della possibile aggiudicazione e che l’aggiudicatario dovrà poi osservare in fase di esecuzione, al fine di assicurare lo standard realizzativo ad esse connesso. Tali condizioni sono requisiti di esecuzione e non di partecipazione in quanto volti non a selezionare i concorrenti al momento della partecipazione, ma ad imprimere all’esecuzione il giusto indirizzo, creando le premesse per un adempimento corretto sotto il profilo delle esigenze e degli obiettivi della stazione appaltante. Tali requisiti, quindi, impongono (astrattamente) ai concorrenti e (concretamente) all’aggiudicatario determinate precondizioni di esecuzione, non afferenti all’operatore economico e alle sue caratteristiche soggettive ma alla prestazione oggettivamente considerata, che l’Amministrazione considera essenziali per il raggiungimento dei previsti livelli prestazionali (normalmente relativi ai mezzi impiegati per l’adempimento). Ciò giustifica la previsione dei citati requisiti nell’ambito dell’articolo 100 collocato tra le disposizioni relative all’esecuzione del contratto (titolo V della parte II del D.lgs. n. 50/2016) e separato dagli articoli 83 e 84 relativi ai requisiti speciali di partecipazione, quali criteri di selezione dei concorrenti in vista della partecipazione alla gara.
Quali sono gli “ulteriori requisiti particolari” cui fa riferimento il citato disposto normativo dell’art. 100 e, soprattutto, in che modo è possibile operare una corretta distinzione tra requisiti di esecuzione e requisiti di partecipazione ad una procedura di affidamento atteso che entrambi sono elementi caratterizzanti un’offerta? Oltretutto, distinguere tra le varie condizioni alle quali i concorrenti si impegnano ad eseguire le loro prestazioni, alcune solo qualificabili come “requisiti di esecuzione” non è semplice, ove si tenga conto del fatto che si tratta, in ogni caso, di elementi caratterizzanti l’offerta rivolta alla stazione appaltante, integrandone il contenuto. Infatti, normalmente tali requisiti/condizioni sono oggetto di valutazione da parte della commissione giudicatrice ai fini dell’attribuzione del punteggio, e logica impone che tutto quanto consenta di incrementare il punteggio attribuito all’offerta tecnica costituisca esso stesso elemento dell’offerta.
Sul punto, è intervenuta la giurisprudenza amministrativa con l’intendimento di fornire elementi chiarificatori sull’argomento e la corretta interpretazione della legge di gara, ove ambigua.
Si è formato da tempo un orientamento maggioritario nella giurisprudenza amministrativa secondo cui per “requisiti di esecuzione” devono intendersi i mezzi (strumenti, beni, attrezzature) necessari all’esecuzione della prestazione promessa alla stazione appaltante e la disponibilità degli stessi è richiesta al concorrente, non al momento della presentazione dell’offerta (come al contrario avviene per i “requisiti di partecipazione”), ma al momento dell’esecuzione o, per meglio dire, della stipulazione del contratto, che non sarebbe possibile ove se ne constati la mancanza, per cui potrebbero essere definiti come “condizione” per la stipulazione del contratto d’appalto (si veda, tra gli altri, Cons. Stato, sez. V, sent. 5734/2020; Cons. Stato, sez. V, sent. 5740/2020; Cons. Stato, sez. V, sent. 1071/2020). Quindi, i requisiti di esecuzione identificano le condizioni soggettive ed oggettive dell’appaltatore, richieste dalle legge di gara per assicurarsi il puntuale adempimento di obbligazioni inerenti al contratto pubblico per cui è indetta la gara e, pertanto, sono esigibili non in capo al concorrente fin dal momento della gara, ma solo in capo all’appaltatore ed al momento della stipulazione del contratto, essendo solo tale soggetto colui che deve assicurare la corretta esecuzione delle prestazioni contrattuali. Esemplificativamente, mentre i requisiti di esecuzione afferiscono all’appaltatore, i requisiti di partecipazione afferiscono al concorrente, sia in quanto operatore economico (c.d. requisiti generali) sia quale imprenditore del settore (c.d. requisiti speciali). Seguendo tale impostazione, sempre il giudice amministrativo ha affermato che ove la stazione appaltante, nella legge di gara, si sia avvalsa della facoltà di richiedere un requisito per l’ipotesi di aggiudicazione del contratto, le clausole del bando (se ambigue) debbano essere interpretate nel senso che, in sede di gara l’operatore economico dovrà produrre apposita “dichiarazione impegnativa” con la quale assume l’obbligo di dotarsi (o di acquisire, comunque, la titolata disponibilità) del requisito richiesto (strumenti, beni, attrezzature) per l’eventualità di aggiudicazione del contratto (in tal senso Cons. Stato, sez. V, sent. 8101/2020; Cons. Stato, sez. III, sent. 4795/2020; Cons. Stato, sez. V, sent. 5308/2019; Cons. Stato, sez. V, sent. 2190/2019).
Questo primo orientamento, posto chiaramente a presidio del principio di massima concorrenza in quanto consente al concorrente, sprovvisto del requisito richiesto ed impossibilitato a procurarsi già al momento dell’offerta mezzi, attrezzature, strumenti o beni destinati ad essere utilizzati solo in caso di possibile ma non certa aggiudicazione, di partecipare alla competizione, all’unica condizione di produrre una dichiarazione di impegno ad acquisirne la disponibilità in fase di esecuzione.
Più recentemente, tuttavia, tale orientamento è stato arricchito di ulteriori riflessioni.
Potrebbe, infatti, accadere che un operatore economico, al solo scopo di accaparrarsi un più alto punteggio in sede di offerta, produca una dichiarazione di impegno ad acquisire sì il requisito richiesto in fase di esecuzione del contratto (ovvero al momento della sua stipulazione), salvo poi non essere realmente in grado di disporne effettivamente, con grave pregiudizio all’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, ove la stazione appaltante si vedesse costretta a revocare l’aggiudicazione. Da qui la necessità di conciliare l’esigenza di evitare inutili aggravi di spesa a carico dell’operatore economico concorrente nella gara per procurarsi già al momento dell’offerta mezzi destinati ad essere utilizzati solo in caso di aggiudicazione con l’esigenza che la stazione appaltante possa ragionevolmente confidare nella serietà dell’operatore che di tali mezzi abbia dichiarato la disponibilità, senza correre il rischio di trovarsi, al momento della stipulazione del contratto, senza la prestazione attesa (e, per la quale, spesse volte il concorrente era stato preferito agli altri). Tale riflessione ha condotto i giudici amministrativi a spostare il problema sul piano probatorio. Si è, quindi, ritenuto che le clausole del bando (anche se ambigue) devono essere interpretate nel senso che, quanto ai mezzi e alle dotazioni funzionali all’esecuzione del contratto, è necessaria la loro individuazione alla presentazione dell’offerta, ragion per cui l’offerta deve essere accompagnata da documentazione comprovante l’impegno del terzo, proprietario dei beni e delle attrezzature delle quali il concorrente intenda servirsi per l’esecuzione dell’appalto, di metterle a disposizione di questi (contratto preliminare condizionato o strumenti negoziali similari). Documentazione che, pertanto, attesta la serietà ed affidabilità dell’impegno assunto.6
Ancora più recentemente, il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n 2523/2021, soffermandosi nuovamente sulla distinzione tra “requisiti di partecipazione” e “requisiti di esecuzione” dell’appalto, con posizione più radicale rispetto ai precedenti pronunciamenti, ha affermato il principio secondo cui il momento distintivo tra requisiti di partecipazione e requisiti di esecuzione va ravvisato nella legge di gara, nel senso che, ove la disciplina di gara intende riservare alla fase esecutiva il possesso di requisiti inerenti la prestazione oggetto di affidamento (o, più correttamente, di autorizzare le parti a differire alla fase esecutiva la relativa acquisizione) ha, sotto il profilo formale, l’onere di formulare una inequivoca indicazione in tal senso nel corpo del disciplinare di gara; in difetto di che, tutti i requisiti devono ritenersi presuntivamente previsti per l’utile partecipazione alla gara. 7
Prospettati gli interventi giurisprudenziali della magistratura amministrativa in materia di distinzione tra requisiti di partecipazione e requisiti di esecuzione in un appalto pubblico, la trattazione prosegue soffermandomi sui requisiti ambientali quali requisiti di partecipazione, di esecuzione ai sensi dell’articolo 100 del Codice dei Contratti Pubblici, e criteri di aggiudicazione.
8. I requisiti ambientali quali requisiti di partecipazione, di esecuzione e criteri di aggiudicazione: C.A.M..
I Criteri Ambientali Minimi, dall’acronimo “C.A.M.” nascono in Italia con la legge 28 dicembre 2015 n. 221 recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy de per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” e, successivamente, con l’articolo 34 del Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. n. 50/2016, rubricato “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” che ne ha reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti.
I Criteri Ambientali Minimi sono, quindi, requisiti ambientali ed ecologici volti ad indirizzare le Pubbliche Amministrazioni verso una razionalizzazione dei consumi e degli acquisti fornendo indicazioni per l’individuazione di soluzioni progettuali, prodotti o servizi migliori sotto il profilo ambientale e lungo l’intero ciclo di vita. Si collocano normalmente nella fase ideativa e creativa di una procedura di gara che ha, comunque, una connotazione obbligatoria, secondo quanto previsto all’articolo 34 del Codice dei Contratti Pubblici. Sotto tale aspetto “i CAM non possono essere qualificati in senso proprio né come requisiti di partecipazione e né di esecuzione. Non di partecipazione, dal momento che questi afferiscono al concorrente sia in quanto operatore economico (c.d. requisiti generali), sia quale imprenditore del settore (c.d. requisiti speciali); i requisiti di esecuzione sono, invece, condizioni oggettive e soggettive dell’appaltatore, previsti per assicurare il puntuale adempimento di obbligazioni inerenti il contratto per cui è indetta una gara, sicché gli stessi sono esigibili solo in capo all’appaltatore ed al momento della stipulazione.8
La connotazione obbligatoria dei CAM, declarata all’art. 34 del Codice dei Contratti Pubblici, garantisce che la politica nazionale in materia di appalti verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibile, “circolare”, e diffondere l’occupazione “verde”. Oltre alla valorizzazione della qualità ambientale e al rispetto dei criteri sociali, i CAM consentono alla pubblica amministrazione di razionalizzare i consumi.
Sul piano normativo la principale norma di riferimento è l’articolo 34 del Codice dei Contratti Pubblici, ai sensi del quale “le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi ….. attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare…..”. Inoltre, “i criteri ambientali minimi……., in particolare i criteri premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell’articolo 95 comma 6”. Sempre l’art. 34 aggiunge poi che l’obbligo di attuazione dei CAM “si applica per gli affidamenti di qualunque importo relativamente alle categorie di forniture e di affidamenti di servizi e lavori oggetto dei criteri ambientali adottati nell’ambito del Piano. D’azione”.
Il Codice dei Contratti Pubblici prevede, dunque, l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire, nella documentazione progettuale e di gara, quanto meno le specifiche tecniche e le clausole contrattuali contenute nei CAM approvati con decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutele del Territorio e del Mare. Obbligo, questo, che si estende a tutti gli appalti, indipendentemente dal loro importo.
La stazione appaltante non ha, dunque, discrezionalità in merito all’applicazione o meno dei CAM, specialmente a seguito della modifica apportata all’articolo 23 del D.Lgs. n. 56/2017 (primo correttivo al Codice dei Contratti Pubblici) che ha esteso l’obbligo all’intero del valore del contratto e per tutti i CAM in vigore, superando la versione iniziale del Codice che ne prevedeva un’applicazione graduata nel tempo e con percentuali diverse a seconda delle categorie merceologiche interessate.
Ad oggi sono stati adottati CAM per n. 18 categorie di forniture e affidamenti: arredi per interni; arredo urbano; ausili per l’incontinenza; calzature da lavoro e accessori in pelle; carta; cartucce; edilizia; illuminazione pubblica (fornitura e progettazione); illuminazione pubblica (servizio); illuminazione, riscaldamento/raffrescamento per edifici; lavaggio industriale e noleggio di tessili e materasseria; rifiuti urbani; ristorazione collettiva; sanificazione; stampanti; veicoli; verde pubblico. Alcuni Criteri ambientali Minimi sono in corso di revisione o di nuova adozione.
Indipendentemente dalle particolarità di ciascun decreto ministeriale, sul piano strutturale i CAM sono dotati di una struttura standardizzata in modo da garantire un facile utilizzo anche da parte delle amministrazioni che intendano, o meglio che devono, adottarli. La struttura di ciascun criterio è costituita da una prima parte generale e una seconda parte focalizzata sui criteri veri e propri. La prima parte contiene un documento ove riporta l’oggetto dell’appalto, il suo collegamento con le prescrizioni del Piano di Azione e gli scopi specifici da perseguire tramite il bene o servizio oggetto della commessa pubblica. Inoltre, la parte generale contiene una “relazione di accompagnamento” in cui vengono condensate le criticità ambientali, i riferimenti normativi del prodotto e le motivazioni tecnico scientifiche che giustificano l’adozione dei criteri ambientali contenuti nel documento e i riferimenti normativi principali riguardanti la tipologia di bene. Infine, la parte generale fornisce al soggetto pubblico banditore le indicazioni generali, dal criterio con cui valutare le offerte presentate alle modalità di gestione del prodotto acquistato o dell’esecuzione del servizio. Nella seconda parte sono riportate le prescrizioni da seguire per qualificare come “verde” un appalto e vengono citati i criteri che definiscono ambientalmente le fasi del processo di acquisto. Questi ultimi costituiscono i criteri ambientali veri e propri che si distinguono in criteri ambientali di base e premianti, collegati alle diverse fasi della procedura di gara. In tal senso, i Criteri ambientali di base prevedono sia criteri di selezione dei candidati, ovvero requisiti di qualificazione soggettiva che devono essere necessariamente posseduti dagli operatori economici per partecipare alle procedure di gara (atti a provare la capacità tecnica del concorrente ad eseguire l’appalto recando i minori danni possibili all’ambiente) sia specifiche tecniche, ossia le caratteristiche di base richieste per lavori, servizi o forniture (ad esempio, l’obbligo che i progetti di nuovi edifici mantengano i profili morfologici esistenti) e sia clausole contrattuali, vale a dire le indicazioni necessarie per garantire una migliore esecuzione dell’appalto sotto il profilo della sostenibilità ambientale e sociale (clausole di esecuzione che in sede di gara l’operatore economico dovrà impegnarsi ad adempiere in caso di aggiudicazione e che, pertanto, in fase di post aggiudicazione, saranno oggetto di puntuale verifica da parte della stazione appaltante). Chiaramente, solo l’elemento delle clausole contrattuali, chiaramente riconducibile alla fase esecutiva dell’affidamento, è strettamente collegato all’articolo 100 del Codice dei Contratti Pubblici secondo l’esegesi operata dalla giurisprudenza amministrativa.
I CAM possono anche prevedere criteri premianti, ovvero requisiti volti a selezionare lavori/prodotti/servizi con prestazioni ambientali migliori di quelle garantite dalle specifiche tecniche, ai quali attribuire un punteggio tecnico ai fini dell’aggiudicazione secondo l’offerta al miglio rapporto qualità-prezzo (ad esempio, può essere premiato l’operatore che sia dotato di una struttura di progettazione con almeno un professionista accreditato dagli organismi di certificazione energetico-ambientale). Peraltro, nell’esercizio della sua discrezionalità amministrativa, la stazione appaltante potrebbe valorizzare tutti o solo alcuni dei criteri premianti indicati nel decreto ministeriale, ovvero prevederne di ulteriori in base alla specificità di ciascuna procedura di gara (ad esempio, potrebbe valorizzare l’utilizzo di materiali locali nella costruzione di un edificio, in armonia con il contesto storico-edilizio in cui tale edificio va ad integrarsi).
Il progetto predisposto dalla stazione appaltante deve dunque essere elaborato nel rispetto dei CAM e i criteri premianti, eventualmente richiesti quali elementi di valutazione delle offerte, devono essere rapportati a tale progetto.
Le specifiche tecniche di progetto (le quali possono essere documentate già in sede di gara, a seconda di quanto richiesto dalla stazione appaltante nelle legge di gara, tramite autocertificazione, allegazione di certificazione o risultati di prove, presentazione di campioni, etc), nonché le eventuali migliorie offerte dal concorrente dovranno, ben inteso, poi essere concretamente applicate nell’esecuzione dell’appalto. Da qui l’importanza di un attento controllo (invero non semplice) da parte della stazione appaltante, sia in fase di aggiudicazione che in fase esecutiva, imponendo – in caso di violazione delle specifiche tecniche progettuali o di non applicazione delle migliorie offerte in sede di gara – e ove possibile la sostituzione del servizio/bene, applicando penali o (in casi estremi) risolvendo il contratto.
L’aspetto, però, forse più importante è la specificazione che le specifiche tecniche di progetto e gli eventuali criteri premianti dovrebbero essere, per così dire, soppesati e ragionevoli, non dovendosi chieder agli operatori “l’impossibile”. In tal senso, compito della stazione appaltante è effettuare un’attenta analisi di mercato, con l’obiettivo di verificare la disponibilità di materiali con le caratteristiche richieste e la distanza dal cantiere degli impianti di produzione di tali materiali. Siffatta analisi può essere utilizzata anche nella definizione dei criteri premianti.
Inoltre, altro elemento di grande rilievo è il riconoscimento che i CAM hanno un costo, il quale deve essere tenuto in debita considerazione nella definizione della base d’asta. Se, come visto, i CAM sono obbligatori e richiedono agli operatori economici notevoli sforzi di adeguamento ed investimenti, le stazioni appaltanti – nel definire la base d’asta per l’acquisto di un lavoro, di un servizio o di una fornitura – devono considerare anche i costi legati all’applicazione dei CAM. In tal senso il Consiglio di Stato9 ha ritenuto illegittima la previsione, come prezzo a base d’asta, di un importo uguale a quello della identica gara bandita alcuni anni prima, anteriormente all’adozione dei CAM di riferimento. Ciò, appunto, in quanto l’adeguamento ai Criteri Ambientali Minimi comporta n costo per gli operatori economici, costo che deve essere adeguatamente remunerato, anche nella prospettiva dei concorrenti i quali devono poter coprire i costi del lavoro/servizio/fornitura oggetto dell’appalto e conseguire un utile dalla propria attività di impresa. Nè, come ulteriormente precisato dal Consiglio di Stato nella citata sentenza, l’Amministrazione può giustificarsi adducendo difficoltà nella quantificazione del costo del servizio a causa della mancanza di parametri di riferimento.
I requisiti ambientali possono essere configurati anche quali criteri di aggiudicazione: è quanto sostenuto dal Consiglio di Stato10 in una significativa sentenza in merito alla legittimità delle previsioni del bando che premiavano, per l’esecuzione del servizio, sia la “stabilità del personale” sia l’applicazione di specifici CCNL (Metalmeccanico, Edile, Multiservizi). Il Consiglio di Stato, muovendo dalla previsione normativa di cui all’articolo 95 del Codice dei Contratti Pubblici titolato “Criteri di aggiudicazione dell’appalto” ed, in particolare dal comma 6 nella parte in cui prescrive che nell’ambito dei criteri di aggiudicazione,…. L’offerta economicamente più vantaggiosa ……. è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti….. ambientali o sociali”, argomenta che tale disposto non prefigura un elenco tassativo di parametri sui quali basare i criteri di valutazione delle offerte tecniche, ma individua un catalogo aperto e quindi integrabile con ulteriori criteri (tra i quali, appunto gli “aspetti …ambientali e sociali), ragion per cui la stazione appaltante può discrezionalmente inserire tra i criteri di aggiudicazione anche particolari condizioni di esecuzione dell’appalto volti a conseguire obiettivi di natura sociale, riferiti all’applicazione di un determinato contratto di lavoro individuale, volti a conseguire specifici obiettivi di stabilità occupazionale e di trattamento economico e normativo dei lavoratori impiegati nell’appalto. La condizione necessaria per il legittimo esercizio di tale potere discrezionale è costituita dalla verifica della sussistenza di una connessione tra i criteri e l’oggetto dell’appalto (come predicato dall’art. 95 comma 6), nei termini della definizione di cui al successivo comma 11 del medesimo articolo 95 che considera connessi all’oggetto dell’appalto i “criteri di aggiudicazione che riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell’ambito di tale appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori, forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del loro ciclo di vita, anche se queti fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale”. Quindi, argomenta il Consiglio di Stato, prendendo in considerazione anche fattori relativi all’intero ciclo di vita, tra i criteri di aggiudicazione possono essere compresi anche criteri di natura sociale riferiti all’applicazione di un determinato contratto collettivo di lavoro o di una determinata tipologia di contratto di lavoro individuale, volti a conseguire specifici obiettivi di stabilità occupazionale e di trattamento economico e normativo dei lavoratori impiegati nell’appalto; fermo restando il limite da tempo individuato dalla giurisprudenza europea, ossia che il requisito non trasmodi nella previsione di criteri sociali che, abbandonando il legame con l’oggetto del contratto, prendano in considerazione gli aspetti relativi alla politica generale dell’impresa o altri aspetti estranei al programma contrattuale. Altri limiti sono di ordine generale e riguardano il rispetto del principio di proporzionalità. Nel caso attenzionato e che qui si commenta, il Consiglio di Stato ha argomentato che la scelta dell’amministrazione è conforme alle direttive enunciate, sia perché i criteri di valutazione presentano chiari collegamenti con l’oggetto dell’appalto, facendo riferimento esclusivamente all’impegno ad applicare un determinato CCNL e ad assumere con contratti a tempo indeterminato per i lavoratori da impiegare nell’esecuzione dell’appalto (senza ricadute sulle politiche generali dell’impresa), sia perché gli stessi appaiono rispettosi del principio di proporzionalità, posto che, in relazione al punteggio attribuito, la clausola rivela una limitata incidenza sul punteggio complessivo e non appare quindi idonea a scardinare l’impianto dei criteri di valutazione.
9. Riflessioni sul PNRR.
A conclusione della trattazione degli argomenti del presente elaborato si ritiene necessario dover fare alcuni accenni al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), documento che ciascuno Stato membro dell’UE ha predisposto per accedere ai fondi del Next Generation EU (NGEU), lo strumento introdotto dall’Unione europea per la ripresa post pandemia Covid-19, ed il rilancio dell’economia degli Stati membri.
Lo sforzo di rilancio dell’Italia delineato dal Piano presentato dal Governo si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. Strettamente connesso alla presente trattazione sono il secondo ed il terzo asse strategico: la transizione ecologica che, può costituire un importante fattore per accrescere la competitività del nostro sistema produttivo, incentivare l’avvio di attività imprenditoriali nuove e ad alto valore aggiunto e favorire la creazione di occupazione stabile, il tutto nel rispetto del principio di “non arrecare danno significativo agli obiettivi ambientali” (Do no significant harm, Dnsh) e l’inclusione sociale, quale presupposto per migliorare la coesione territoriale, aiutare la crescita dell’economia e superare diseguaglianze profonde spesso accentuate dalla pandemia.
Note:
1 Commissione Europea (2008), Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Appalti pubblici per un ambiente migliore. Bruxelles, 16.07.2008, pag. 6
2 Sebbene in molti casi l’alternativa verde può avere un prezzo maggiore, se andassimo ad analizzare tutti i costi (durante tutta la durata del ciclo di vita del prodotto) nel complesso l’alternativa verde potrebbe rivelarsi più conveniente nel tempo
3 Considerando 37 e art. 18, pag. 2 della Direttiva 2014/24/UE
4La definizione dei CAM rientra tra i compiti assegnati al Comitato di Gestione del GPP. Per la loro elaborazione vengono istituiti gruppi di lavoro composti da esperti e da referenti delle associazioni di categoria dei produttori. I documenti così elaborati vengono sottoposti ad un confronto con gli operatori economici, tramite le associazioni di categoria e successivamente approvati dal Comitato di Gestione. La stesura finale dei CAM viene inviata ai ministri interessati per acquisire eventuali osservazioni. Infine, il documento viene adottato con Decreto del Ministro dell’ambiente e pubblicato in G.U.. I CAM attualmente in vigore sono n. 18.
5L’art. 3 lett. iiii) del Codice definisce “etichettatura” qualsiasi documento, certificato o attestato con cui si conferma che i lavori, i prodotti, i servizi, i processi o le procedure in questione soddisfano determinati requisiti. Le etichette ambientali, o eco-etichette sono marchi applicati a prodotti, imballaggi o servizi che forniscono informazioni sulla performance ambientale generale o su uno o più aspetti ambientali specifici. Alcuni sistemi di etichettatura sono obbligatori, come quelli energetici e dei prodotti tossici, altri sono ad adesione volontaria.
6vedasi per tutte Cons. Stato, sez. V, sent. 8159/2020 che, condividendo la tesi del giudice di primo grado, ha respinto il ricorso presentato dalla ricorrente in quanto la ricorrente non aveva fornito, al momento della presentazione dell’offerta, alcun elemento che consentisse di ritener provata la disponibilità delle sedi operative dichiarate, tale non potendosi certamente ritenere la stampa della pagina internet di Google Eart con puntini contrassegnanti il posizionamento delle sedi operative e i contratti depositati in giudizio fornivano prova del fatto che la stessa avesse acquisito la disponibilità delle sedi solamente dopo aver presentato l’offerta.
7la gara aveva ad oggetto la “messa a disposizione di un team composto da tre tipologie di figure professionali e il disciplinare di gara chiedeva inequivocabilmente che l’offerta tecnica dovesse rispettare tali caratteristiche minime ed il possesso della certificazione Xmarc Ltd in capo a ciascuna figura professionale, a pena di esclusione. Con la citata sentenza, il Consiglio di Stato non ha condiviso le eccezioni dell’appellante (Consip S.p.a.) stazione appaltante secondo cui il possesso delle certificazioni rilasciate dalla Xmarc Ltd in capo a ciascuna figura professionale oggetto di gara non sarebbe stato un requisito minimo dell’offerta (che, come tale, i concorrenti avrebbero dovuto dichiarare e possedere sin dalla fase della procedura selettiva), ma solo un requisito relativo alla fase esecutiva (che, quindi, ogni concorrente avrebbe legittimamente potuto limitarsi ad acquisire a valle della disposta aggiudicazione). Dalla lettura della documentazione di gara e del Capitolato tecnico allegato alla medesima documentazione emergeva chiaramente che il possesso dei requisiti minimi della fornitura (tre tipologie di figure professionali) ed il possesso in capo a ciascuna di esse della certificazione Xmarc Ltd fosse espressamente ed inequivocabilmente richiesto in termini di requisiti di partecipazione.
8in tal senso TAR Napoli, sent. n. 1529 dell’08.03.2021 che, nella fattispecie esaminata, identifica i CAM come elementi essenziali dell’offerta, con caratteristiche qualitative che devono essere possedute dalle cose oggetto di fornitura (nel caso di specie arredi ed attrezzature) che, sebbene appartenenti ad un genus, devono essere identificate, presentate e comprovate come qualitativamente idonee dal punto di vista del soddisfacimento dei criteri ambientali minimi.
9Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 8088/2019
10Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 7053/2021