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CORTE COSTITUZIONALE  22 febbraio – 24 marzo 2022 SENTENZA N. 74

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Giudizio sulle richieste  di  riabilitazione  del
  condannato e di valutazione sull'esito dell'affidamento  in  prova,
  anche in casi particolari - Svolgimento - Rito  camerale  c.d.  "de
  plano",  a  contraddittorio  eventuale  e  differito  -  Denunciata
  irragionevolezza, violazione del diritto di difesa,  del  principio
  della funzione rieducativa della pena nonche' dei  principi,  anche
  convenzionali,  del  giusto  processo  -   Non   fondatezza   delle
  questioni. 
- Codice di procedura penale, artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis. 
- Costituzione, artt. 24, secondo comma, 27, terzo comma, 111 e  117,
  primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo
  e delle liberta' fondamentali, art. 6. 

(GU n.13 del 30-3-2022 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis, del codice di procedura
penale, promossi dal Tribunale di sorveglianza  di  Messina  con  due
ordinanze del 5 marzo 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 78 e
79 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del  5  marzo  2020  (r.o.  n.  78  del  2021),
pervenuta  a  questa  Corte  il  18  maggio  2021,  il  Tribunale  di
sorveglianza  di  Messina  ha  sollevato   d'ufficio   questioni   di
legittimita' costituzionale del combinato disposto degli  artt.  667,
comma 4, e 678, comma 1-bis, del  codice  di  procedura  penale,  «in
relazione al [...] giudizio di riabilitazione ex artt. 178 e ss. c.p.
e 683 c.p.p.», nella parte in  cui  stabilisce  che  quest'ultimo  si
svolga obbligatoriamente nelle forme del rito cosiddetto "de  plano",
in riferimento agli artt. 24,  27,  111  e  117  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo (CEDU). 
    1.1.-  Il   rimettente   deve   decidere   sulla   richiesta   di
riabilitazione presentata da M. C. 
    Tale richiesta - che sarebbe conforme alle  condizioni  stabilite
dall'art. 179 del codice penale, e  percio'  ammissibile  -  dovrebbe
essere trattata nella forma semplificata prevista dalle  disposizioni
censurate, atteso che, secondo il diritto vivente (e' citata Corte di
cassazione, sezione  prima  penale,  ordinanza  16  aprile  2019,  n.
19826), sarebbe irrituale l'immediata trattazione con procedimento  a
contraddittorio pieno.  Del  resto,  quand'anche  si  ipotizzasse  di
disattendere  l'indirizzo  della  giurisprudenza   di   legittimita',
rimettendo la  scelta  del  rito  alla  discrezionalita'  dell'organo
procedente,  «non  verrebbero  comunque   soddisfatte   le   esigenze
sostanziali   e   processuali   sottese   ai   plurimi   profili   di
incostituzionalita' della disciplina impugnata». 
    Di qui l'asserita rilevanza delle questioni. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
osserva anzitutto che il principio rieducativo di  cui  all'art.  27,
terzo comma, Cost. non potrebbe  che  «abbracciare  l'intera  vicenda
penale»,  compreso  il  procedimento  di  riabilitazione,  il   quale
presuppone l'avvenuta esecuzione, o comunque l'estinzione, della pena
principale e il ravvedimento  del  condannato,  e  «si  proietta  nel
settennio  successivo  alla  sua  concessione  in  cui  il   soggetto
riabilitato e' chiamato ad astenersi dalla commissione di reati, pena
la revoca del beneficio». 
    1.3.- In riferimento poi agli artt. 24, secondo comma, 111 e 117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.  6  CEDU,  il
rimettente sottolinea  la  centralita',  anche  nei  procedimenti  di
esecuzione e di sorveglianza, dei «fondamentali principi  del  giusto
processo in  ordine  alle  garanzie  del  diritto  di  difesa  e  del
contraddittorio   processuale,   alla    formazione    della    prova
nell'immediatezza, oralita' e concentrazione di tale  contraddittorio
ed alla pubblicita' dell'udienza». 
    La necessita' della partecipazione personale dell'interessato  ai
procedimenti che «comportano l'accertamento della  sua  personalita',
del suo carattere o del suo stato mentale» e  della  celebrazione  di
un'udienza pubblica risulterebbero dalla  consolidata  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo (sono citate le sentenze  8
febbraio 2000, Cooke contro Austria; 10 dicembre 2002,  Waite  contro
Regno Unito; 6 luglio 2004, Dondarini contro San  Marino;  25  aprile
2013, Zahirović contro Croazia). 
    Questa Corte avrebbe poi costantemente valorizzato la pubblicita'
del  giudizio,  quale  principio   connaturato   a   un   ordinamento
democratico fondato sulla sovranita'  popolare  (sono  richiamate  le
sentenze n. 12 del 1979 [recte: 1971], n. 50  del  1989,  n.  69  del
1991, n. 373 del 1992 e n. 97 del 2015), delineando, con  riferimento
specifico ai procedimenti innanzi alla magistratura di  sorveglianza,
un   «diritto   potestativo»   dell'interessato   alla   celebrazione
dell'udienza pubblica (sono citate le sentenze n. 135 del 2014  e  n.
97 del 2015). 
    Per  contro,  il  procedimento  a  contraddittorio  eventuale   e
differito delineato dai censurati artt. 667, comma 4,  e  678,  comma
1-bis, cod. proc. pen. - che comporta  «l'esclusione  "coatta"  della
necessita' originaria della partecipazione delle parti processuali  e
del loro contraddittorio, della presenza personale  dell'interessato,
della formazione della prova nel contraddittorio e della  pubblicita'
dell'udienza» - determinerebbe un vulnus ai parametri  costituzionali
menzionati. 
    In  effetti,  il  giudizio  di  riabilitazione  implicherebbe  un
«accertamento altamente discrezionale del raggiungimento o meno delle
finalita'  rieducative,  risocializzative  e  riparative  della  pena
espiata  o  comunque   estinta».   In   particolare,   esso   sarebbe
caratterizzato,    da     un     lato,     da     una     «dimensione
diagnostico-retrospettiva» finalizzata all'accertamento del requisito
della buona condotta, intesa come condotta  «rispettosa  delle  leggi
non  solo  penali  dello   Stato   laico,   osservante   dei   doveri
costituzionali del cittadino, dei principi di convivenza  civile»  ed
espressiva di un  «ravvedimento  "operoso"  attraverso  comportamenti
socialmente apprezzabili, in particolare, attraverso il  risarcimento
dei danni morali e materiali alle parti offese e l'adempimento  delle
altre obbligazioni  civili  nascenti  dal  reato,  nei  limiti  delle
proprie possibilita'». Dall'altro lato, il giudizio in parola avrebbe
altresi'  una  «dimensione  di  tipo   prognostico-preventivo»,   che
implicherebbe in particolare una «incompatibilita' tra  il  requisito
della buona condotta e  l'attuale  pericolosita'  del  riabilitando»,
quest'ultima parimenti destinata a essere accertata dal tribunale. 
    Tali complessi accertamenti non potrebbero risolversi, secondo il
rimettente, «in un giudizio notarile  con  rilascio  cartaceo  di  un
certificato  burocratico  di  buona  condotta»,   e   richiederebbero
piuttosto un procedimento a contraddittorio  necessario  con  udienza
pubblica,  non  ricorrendo  alcuna  delle  ipotesi   che   potrebbero
giustificarne una deroga (elevato grado di tecnicismo delle questioni
trattate, non particolare complessita' della regiudicanda,  frequenza
statistica delle decisioni  di  accoglimento,  esigenze  di  economia
processuale   legate   allo    snellimento    delle    procedure    e
all'accelerazione dei tempi di definizione del giudizio). 
    Un  procedimento  semplificato   come   quello   previsto   dalla
disciplina  censurata  in  una  materia  cosi'  delicata   finirebbe,
piuttosto, per «cartolarizzare, deprocessualizzare e depersonalizzare
il  giudizio,  sacrificando  fondamentali  garanzie,  a  tutela   sia
dell'individuo che della collettivita', in omaggio ad un paradigma di
efficientismo giudiziario che  privilegia  in  chiave  statistica  la
quantita' a scapito  della  qualita'  delle  decisioni  giudiziarie».
Rischi a fronte dei quali occorrerebbe  «invertire  [la]  tendenza  e
riaffermare che il procedimento giurisdizionale  con  contraddittorio
pieno, nella forma collegiale e con l'ausilio degli esperti,  non  e'
un  intralcio  alla   celerita'   ed   efficienza   delle   decisioni
giudiziarie, non e' un orpello inutile o una sovrabbondanza retorica,
sibbene e' il modello assiologicamente pregnante, il metodo  genetico
e   funzionale   della   giurisdizione   rieducativa,    in    quanto
costitutivamente    discorsiva,    dialettica,     multidisciplinare,
individualizzata  e  personalizzata  [...],  inverando  l'idea  e  la
realta' del procedimento di sorveglianza come  luogo  privilegiato  e
culmine giudiziario del trattamento rieducativo che vede la Persona e
la Comunita' al centro della prossemica processuale». 
    Piu' in particolare, la disciplina censurata sarebbe lesiva degli
interessi   «processualmente   qualificati    e    costituzionalmente
rilevanti»  di  tutti  i  soggetti  coinvolti  nel  procedimento   di
sorveglianza e in particolare: 
    - del soggetto riabilitando, il quale si vedrebbe  privato  senza
apprezzabili ragioni  del  diritto  a  partecipare  personalmente  al
giudizio ab initio, di incidere  sulla  formazione  delle  prove,  di
vedere pubblicamente  riconosciuto  il  proprio  ravvedimento,  e  di
chiedere  ed  ottenere,  nella  richiesta   con   cui   promuove   il
procedimento, la  celebrazione  dell'udienza  pubblica  (nella  quale
vedersi riconoscere una «riabilitazione come  apice  in  cui  culmina
[l]'intera  vicenda  penale  e  come  frutto  maturo   del   processo
giurisdizionale con udienza pubblica  nella  coralita'  dell'Aeropago
giudiziario»),  essendo  egli,  invece,  costretto   a   subire   una
"decisione cartolare", che non potrebbe non condizionare  il  giudice
in caso di opposizione; 
    - del difensore, che non potrebbe esercitare il  proprio  ufficio
nell'immediatezza e nell'oralita' del contraddittorio e  vedrebbe  il
proprio ruolo ridimensionato anche rispetto all'assunzione dei  mezzi
di prova; 
    - del pubblico ministero, che non potrebbe contribuire ab  initio
alla  formazione  della  prova,  ne'  partecipare  all'udienza,   ne'
influire direttamente sul convincimento del giudice,  esercitando  il
proprio  fondamentale  ruolo  «sia   come   advocatus   diaboli   per
scongiurare le "cattive" riabilitazioni, sia come amicus  curiae  per
favorire le riabilitazioni "meritevoli"»; 
    - dell'organo giudicante, che non potrebbe disporre di «un quadro
informativo completo e di un  corredo  probatorio  comprensivo  delle
prove costituite e costituende, dell'esame personologico diretto  del
soggetto interessato e degli apporti conoscitivi di tutti gli  attori
processuali», con conseguente rischio  che  la  riabilitazione  venga
concessa a condannati ancora gravemente pericolosi, ma a  carico  dei
quali non risultino ulteriori procedimenti penali pendenti,  e  venga
invece negata a  soggetti  autenticamente  ravvedutisi  i  quali,  ad
esempio, non abbiano avuto l'opportunita' di risarcire il danno  alle
persone offese; 
    -  del  «Popolo  sovrano,  nel  cui  nome  e'   amministrata   la
giustizia», che non potrebbe esercitare  alcun  controllo  in  ordine
alla  trasparenza,  obiettivita',  imparzialita'  e  qualita'   delle
decisioni giudiziarie in un procedimento altamente discrezionale,  in
cui  sono   coinvolti   «fondamentali   e   indisponibili   interessi
costituzionalmente rilevanti della Persona e della Comunita'». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
siano dichiarate non fondate. 
    I  principi  elaborati  dalla  giurisprudenza  costituzionale   e
richiamati dal rimettente  risulterebbero  inconferenti  rispetto  al
procedimento  di  riabilitazione,  finalizzato   ad   assicurare   il
reinserimento sociale del condannato attraverso l'eliminazione  degli
ostacoli alla vita lavorativa e di  relazione  frapposti  dalle  pene
accessorie e dagli effetti penali  della  condanna;  circostanza  che
varrebbe  a  giustificare  il  diverso  regime  procedurale  rispetto
all'applicazione delle misure di prevenzione  e  di  sicurezza,  alla
concessione  dei  provvedimenti  di  competenza  del   tribunale   di
sorveglianza  di  cui  all'art.  678   cod.   proc.   pen.,   nonche'
all'applicazione di misure ablative quali la confisca. 
    La  decisione   sulla   richiesta   di   riabilitazione   sarebbe
semplicemente  destinata  ad  accrescere   la   sfera   di   liberta'
dell'istante (ovvero  a  lasciarla  immutata)  in  funzione  del  suo
reinserimento sociale, sicche'  sarebbe  pienamente  giustificata  la
trattazione con il procedimento di cui agli artt.  667,  comma  4,  e
678, comma 1-bis cod. proc. pen. - tra l'altro in grado di assicurare
la rapidita' della  decisione  e  di  tutelare  la  riservatezza  dei
soggetti  coinvolti  -  non  venendo  in  rilievo  esigenze  tali  da
prevalere  sull'obiettivo  di  celerita'  e   semplificazione   delle
procedure. 
    La  stessa   Corte   EDU   avrebbe,   d'altra   parte,   ritenuto
inapplicabile l'art. 6, paragrafo 1, CEDU a procedimenti  relativi  a
questioni riguardanti l'esecuzione delle pene. 
    3.- Con altra ordinanza del 5 marzo 2020 (r.o. n. 79  del  2021),
pervenuta a questa Corte il 18 maggio 2021, il medesimo Tribunale  di
sorveglianza  di  Messina  ha  censurato,  d'ufficio,  il   combinato
disposto degli artt. 667, comma 4, e 678,  comma  1-bis,  cod.  proc.
pen., nella parte in cui stabilisce  che  la  valutazione  giudiziale
dell'esito dell'affidamento in prova, anche in casi  particolari,  ai
sensi dell'art. 47, comma 12, della legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta') e dell'art. 94, comma  6,  del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), venga
effettuata obbligatoriamente nelle  forme  del  rito  cosiddetto  "de
plano", in riferimento agli artt. 3, 27, 111, 117 Cost., quest'ultimo
in relazione all'art. 6 CEDU. 
    3.1.- In questo  caso,  il  giudice  a  quo  e'  investito  della
decisione  sull'esito  di  un   affidamento   in   prova   cosiddetto
"terapeutico", disposto nei confronti di S. R. presso  una  comunita'
per tossicodipendenti. 
    3.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente  richiama   per   relationem   i   «plurimi   profili   di
incostituzionalita' [...] illustrati nella coeva e analoga  ordinanza
di rimessione», soggiungendo  che,  con  specifico  riferimento  alla
valutazione dell'esito dell'affidamento in prova, elementi  ulteriori
renderebbero costituzionalmente  illegittima  l'«esclusione  "coatta"
delle garanzie processuali della partecipazione personale  ab  initio
del soggetto interessato e delle  parti  processuali  al  giudizio  e
della pienezza del contraddittorio». 
    In primo luogo, si sarebbe in  questo  caso  in  presenza  di  un
giudizio de libertate, atteso che l'esito  positivo  dell'affidamento
in prova avrebbe un'«efficacia simil-riabilitativa»,  estinguendo  la
pena principale e ogni altro effetto penale della condanna,  ma,  per
converso, il suo esito  negativo  determinerebbe  «immediati  effetti
carceratori, con ripercussioni traumatiche nella  sfera  giuridica  e
personale del condannato». 
    In secondo luogo, sarebbe manifestamente irragionevole e  percio'
contraria all'art.  3  Cost.  la  differenziazione  della  disciplina
processuale della valutazione dell'esito  dell'affidamento  in  prova
rispetto a quella applicabile ad altre  fattispecie  nelle  quali  la
partecipazione personale dell'interessato e il  contraddittorio  sono
garantiti ab initio, come la  decisione  sulla  revoca  della  stessa
misura - assimilabile per ratio e contenuto alla prima  -  oppure  la
declaratoria di estinzione del reato ex art. 93 t.u.  stupefacenti  -
provvedimento che avrebbe carattere «meramente ricognitivo». 
    Verrebbe infine in  rilievo  la  complessita'  della  valutazione
personologica e terapeutica del soggetto  tossicodipendente  e  della
conseguente prognosi rieducativa e  specialpreventiva,  cui  dovrebbe
corrispondere  un  rito  improntato  all'«immediatezza,  oralita'   e
concentrazione di un pieno contraddittorio processuale».  Cio'  anche
in ragione della complessita' e  discrezionalita'  della  valutazione
sull'affidamento in prova, che comporta - in caso di esito negativo -
la necessita' di determinare la pena residua da espiare;  nonche'  la
possibilita' di sostituire l'affidamento in prova  con  altra  misura
alternativa alla detenzione, ai sensi dell'art. 51-ter ordin. penit. 
    4.- E' intervenuto in giudizio anche in questo caso il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
manifestamente inammissibili per carenza di motivazione in  punto  di
non manifesta infondatezza. 
    Il giudice a quo si sarebbe limitato a recepire per relationem le
argomentazioni svolte nella coeva ordinanza r.o. n. 78 del 2021, cio'
che  comporterebbe,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa   Corte,
l'inammissibilita' delle questioni (ordinanza n. 139 del 2000). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze entrambe datate 5 marzo 2020 (r.o. n. 78  e
n. 79 del 2021), pervenute a questa  Corte  il  18  maggio  2021,  il
Tribunale di sorveglianza di Messina ha sollevato d'ufficio questioni
di legittimita' costituzionale del  combinato  disposto  degli  artt.
667, comma 4, e 678, comma 1-bis, del  codice  di  procedura  penale,
nella parte in cui stabilisce che  il  giudizio  sulle  richieste  di
riabilitazione e quello di valutazione dell'esito dell'affidamento in
prova, anche in casi particolari, si svolgano obbligatoriamente nelle
forme del rito cosiddetto "de plano", in riferimento  agli  artt.  3,
24, 27, 111 e  117  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 
    In particolare, con l'ordinanza iscritta al n. 78 del  r.o.  2021
il combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678,  comma  1-bis,
cod. proc. pen. e' censurato in relazione al giudizio sulle richieste
di riabilitazione di cui agli artt. 178 e seguenti del codice  penale
e all'art. 683 cod. proc. pen. 
    Con l'ordinanza iscritta al n. 79 del  r.o.  2021,  invece,  tale
combinato  disposto  e'  censurato  in  relazione  alla   valutazione
sull'esito dell'affidamento in prova, anche in casi  particolari,  di
cui rispettivamente all'art. 47, comma  12,  della  legge  26  luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta')  e  all'art.  94,
comma 6, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico  delle  leggi
in materia di disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza). 
    In sostanza, il giudice a quo ritiene che  la  previsione  di  un
procedimento semplificato, a contraddittorio  meramente  "cartolare",
avanti al tribunale di sorveglianza  nei  giudizi  di  riabilitazione
(ordinanza iscritta  al  n.  78  del  r.o.  2021)  e  di  valutazione
sull'esito dell'affidamento in prova (ordinanza iscritta al n. 79 del
r.o. 2021) vulneri il diritto di  difesa  delle  parti,  la  funzione
rieducativa della pena, i principi del giusto processo, nonche' - per
cio' che concerne la valutazione dell'esito dell'affidamento in prova
-  il  principio  di  eguaglianza  in  relazione  al  diverso  regime
processuale  previsto  per  giudizi  assimilabili  per  ratio  e  per
contenuto. 
    2.-   Le   due   ordinanze   sollevano    questioni    ampiamente
sovrapponibili e i relativi giudizi  meritano,  pertanto,  di  essere
riuniti ai fini della decisione. 
    3.- Le questioni sono ammissibili. 
    Non  e'   fondata,   in   effetti,   l'eccezione   di   manifesta
inammissibilita' formulata dall'Avvocatura generale  dello  Stato  in
relazione all'ordinanza iscritta al n. 79 del r.o. 2021, che  sarebbe
motivata  soltanto  per  relationem  rispetto  alla  coeva  ordinanza
iscritta al n. 78 del r.o. 2021. 
    In realta', l'ordinanza iscritta al n. 79  del  r.o.  2021  -  la
quale peraltro contiene una censura ex art. 3 Cost. che non e' svolta
nell'altra ordinanza - esibisce una, sia  pur  succinta,  motivazione
anche  sulle  restanti  censure,  che  consente  a  questa  Corte  di
coglierne con chiarezza il senso. 
    Ne'  sono  ravvisabili   altre   ragioni   di   inammissibilita',
sussistendo - in  particolare  -  la  rilevanza  delle  questioni  in
entrambi i giudizi a  quibus,  alla  luce  degli  orientamenti  della
giurisprudenza di legittimita', che  ha  qualificato  come  irrituale
l'anticipazione al primo segmento del procedimento ex art. 667, comma
4, cod. proc. pen. del contraddittorio tra  le  parti  in  camera  di
consiglio (ex multis, Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,
ordinanze 12 gennaio 2021, n. 31387, e 16 aprile 2019, n. 19826). 
    4.- Oggetto delle censure del rimettente e' la  norma  risultante
dal richiamo compiuto dall'art. 678, comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.
all'art. 667, comma 4, del medesimo codice. 
    4.1.- La prima disposizione - inserita nell'art. 678  cod.  proc.
pen. dall'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 23  dicembre
2013,  n.  146  (Misure  urgenti  in  tema  di  tutela  dei   diritti
fondamentali  dei  detenuti  e   di   riduzione   controllata   della
popolazione carceraria), convertito, con modificazioni,  nella  legge
21  febbraio  2014,  n.  10  -  prevede   l'applicazione   del   rito
semplificato disegnato dall'art. 667, comma 4, cod.  proc.  pen.  per
una serie di procedimenti, tra i quali la decisione  sulle  richieste
di riabilitazione e la  valutazione  dell'esito  dell'affidamento  in
prova, che vengono in considerazione nei giudizi a quibus. 
    A sua volta, l'art. 667, comma 4, cod. proc. pen., prevede  -  in
deroga alla disciplina generale del procedimento di esecuzione di cui
all'art. 666 cod. proc. pen.,  articolato  attorno  a  un'udienza  in
camera di consiglio  con  la  partecipazione  delle  parti  -un  rito
semplificato, mediante il quale il giudice  «provvede  in  ogni  caso
senza formalita' con ordinanza comunicata  al  pubblico  ministero  e
notificata  all'interessato»,  chiarendo  che  «[c]ontro  l'ordinanza
possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il  pubblico
ministero, l'interessato e il difensore» entro il termine di quindici
giorni  dalla  comunicazione  o  notificazione  dell'ordinanza.  Tale
opposizione comporta la  fissazione  di  una  udienza  in  camera  di
consiglio con la partecipazione delle parti ai  sensi  dell'art.  666
cod. proc. pen. 
    4.2.- Nella  Relazione  illustrativa  del  disegno  di  legge  di
conversione del d.l. n. 146 del 2013 si afferma che le  modifiche  al
procedimento  di  sorveglianza  ivi  introdotte  «rielaborano  alcune
proposte gia' avanzate dalla Commissione  mista  per  lo  studio  dei
problemi della magistratura di sorveglianza, istituita su  iniziativa
del  Ministero  della  giustizia  e  del  Consiglio  superiore  della
magistratura,  e  gia'  in  parte  accolte  dallo  stesso   Consiglio
superiore con la "Risoluzione in ordine a soluzioni  organizzative  e
diffusione  di  buone  prassi   in   materia   di   magistratura   di
sorveglianza" adottata il 24 luglio 2013; e  alle  quali  si  intende
dare ora "copertura" normativa». 
    Dichiaratamente ispirandosi alle proposte di tale Commissione, il
legislatore del 2013 ha introdotto un modello di definizione de plano
di una serie di procedimenti  di  competenza  della  magistratura  di
sorveglianza  ritenuti  di  agevole  definizione,  tra  i  quali   le
richieste   di   riabilitazione   e   la    valutazione    sull'esito
dell'affidamento in prova, facendo comunque  salva  -  come  proposto
dalla Commissione medesima - la  possibilita'  di  instaurazione  del
contraddittorio orale in camera di consiglio su istanza di parte,  in
funzione di una riduzione complessiva dei tempi processuali. 
    4.3.- Come ha chiarito  la  giurisprudenza  di  legittimita',  le
ordinanze emesse de plano ai sensi dell'art. 667, comma 4, cod. proc.
pen. non sono immediatamente esecutive, salvi  i  casi  espressamente
previsti dalla legge o comunque specificamente desumibili dal sistema
normativo. Esse diventano invece esecutive allo scadere  del  termine
di  quindici  giorni  dalla  comunicazione  o  notificazione  per  la
proposizione dell'opposizione, ove essa non sia  proposta  (Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 18 giugno 2015, n. 36754). 
    Tale conclusione e' stata  recentemente  ribadita  con  specifico
riguardo all'ordinanza emessa ex art. 667, comma 4, cod.  proc.  pen.
in sede di valutazione dell'esito dell'affidamento in prova (Corte di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 23 ottobre 2020-2 febbraio
2021, n. 4025). 
    4.4.- Una volta che  sia  stata  presentata  opposizione  avverso
l'ordinanza emessa de  plano  dal  giudice  competente,  quest'ultimo
dovra' fissare udienza in camera di consiglio,  essendo  il  relativo
procedimento integralmente disciplinato dall'art. 666 cod. proc. pen.
Con la conseguenza  che  -  come  chiarito  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' - il giudice dell'esecuzione avra' il dovere, a pena  di
nullita' generale e assoluta,  di  fissare  l'udienza  in  camera  di
consiglio  e  di  procedere  con  la  necessaria  partecipazione  del
difensore  e   del   pubblico   ministero,   provvedendo,   altresi',
all'audizione dell'interessato che ne abbia fatto richiesta, a  norma
dell'art. 666, commi 3 e 4, cod. proc.  pen.  (Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenza 6 marzo 2015, n. 12572, in relazione a
un incidente di  esecuzione  parimenti  disciplinato  dall'art.  667,
comma 4, cod. proc.  pen.;  in  senso  conforme,  in  relazione  alla
decisione su di una  richiesta  di  riabilitazione,  sezione  settima
penale, ordinanza 9 novembre 2018-16 settembre 2019, n. 38160). 
    La giurisprudenza di legittimita'  ha  affermato,  altresi',  che
l'opposizione «non ha natura di  mezzo  di  impugnazione,  bensi'  di
istanza diretta al  medesimo  giudice  allo  scopo  di  ottenere  una
decisione in contraddittorio» (Corte  di  cassazione,  sezione  prima
penale, sentenza 14 febbraio 2017, n. 30638, che per tale ragione  ha
giudicato manifestamente  infondata  un'eccezione  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in
cui non prevede  l'incompatibilita'  a  partecipare  al  giudizio  di
opposizione ex art. 667,  comma  4,  cod.  proc.  pen.  del  medesimo
giudice che abbia  emesso  il  provvedimento  opposto;  negli  stessi
termini, sezione prima penale, sentenza 1° ottobre  2019-27  febbraio
2020, n. 7910). 
    5.- Le censure del rimettente non sono fondate. 
    5.1.- Giova premettere all'esame  delle  singole  doglianze  che,
secondo  la  costante   giurisprudenza   di   questa   Corte,   nella
configurazione degli istituti  processuali  il  legislatore  gode  di
ampia  discrezionalita',  censurabile  soltanto  nei   limiti   della
manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte  operate  (ex
plurimis, sentenze n. 213 del 2021, n. 95 del 2020, n. 79 e n. 58 del
2020, n. 155 e n. 139 del 2019, n. 225 del 2018 e n. 241  del  2017).
Cio' vale anche rispetto a discipline processuali  che,  come  quella
ora  all'esame,  abbiano  una  funzione   acceleratoria   dei   tempi
processuali (si veda, mutatis mutandis, sentenza  n.  260  del  2020,
punto 10.2. del Considerato  in  diritto:  in  «uno  sfondo  fattuale
caratterizzato  da  risorse  umane  e  organizzative  necessariamente
limitate»,  si  «impone  una  cautela  speciale  nell'esercizio   del
controllo,  in  base  all'art.  111,  secondo  comma,  Cost.,   della
legittimita' costituzionale delle  scelte  processuali  compiute  dal
legislatore, al quale compete individuare le soluzioni piu' idonee  a
coniugare l'obiettivo di un processo in grado di raggiungere  il  suo
scopo naturale [...], nel pieno rispetto delle garanzie della difesa,
con l'esigenza pur essenziale di raggiungere  tale  obiettivo  in  un
lasso di tempo non eccessivo»). 
    La funzione acceleratoria dei tempi processuali  e',  d'altronde,
direttamente ispirata a  un  principio  -  quello  della  ragionevole
durata dei processi -  sancito  all'unisono  dall'art.  111,  secondo
comma, Cost. e dall'art. 6, paragrafo 1, CEDU, ma messo a dura  prova
dalla realta' di un  sistema  giudiziario  penale  sovraccarico,  che
spesso non e' in grado di fornire  risposte  di  giustizia  in  tempi
adeguati, finendo cosi' per pregiudicare la stessa effettivita' - per
gli  imputati  e  i  condannati,  per  le  vittime  e  per   l'intera
collettivita' - di tutte le restanti garanzie del "giusto processo" e
del diritto di difesa. 
    Il giudizio di sorveglianza e', oggi,  notoriamente  afflitto  da
endemici ritardi nella gestione dei carichi processuali:  dall'inizio
della vicenda  esecutiva  -  ove  si  registrano  pressoche'  ovunque
lunghissimi tempi di smaltimento delle istanze di misure  alternative
successive alla sospensione dell'ordine di esecuzione della  pena  ex
art. 656, comma 5, cod. proc. pen., con conseguente  mantenimento  di
persone  condannate  in  via  definitiva  in  uno  stato  di  "limbo"
giuridico destinato, a volte, a durare anni  prima  che  l'esecuzione
della pena abbia in concreto inizio, all'interno  o  all'esterno  del
carcere -; sino alle battute finali dell'esecuzione penale,  nel  cui
ambito si collocano i provvedimenti relativi  alla  riabilitazione  e
alla valutazione dell'esito dell'affidamento in prova, oggetto  delle
questioni ora all'esame di questa Corte. 
    A  fronte  di  questa  situazione,  discipline  che   mirino   ad
assicurare nel giudizio di sorveglianza una sollecita definizione dei
contenziosi, lungi dal rispondere  a  una  logica  di  «efficientismo
giudiziario che  privilegia  in  chiave  statistica  la  quantita'  a
scapito della qualita' delle decisioni giudiziarie», come sostiene il
giudice  a  quo,  costituiscono  attuazione  di  un  preciso   dovere
costituzionale. La ragionevole durata  e'  un  connotato  identitario
della giustizia del processo. 
    Onde il tema del presente giudizio di  costituzionalita'  e'  se,
nel perseguire il doveroso obiettivo di accelerare la definizione dei
procedimenti  relativi  alle  istanze  di   riabilitazione   e   alla
valutazione dell'esito  dell'affidamento  in  prova,  il  legislatore
abbia compiuto  un  bilanciamento  costituzionalmente  sostenibile  -
tutto interno alla logica degli artt. 24  e  111  Cost.  -  tra  tale
obiettivo  e  la  salvaguardia  delle  altre  componenti  del  giusto
processo e dello stesso diritto di difesa; ovvero abbia, all'opposto,
sacrificato in misura irragionevole  quelle  altre  componenti,  come
ritenuto dal giudice a quo. 
    5.2.- Cuore delle doglianze del  rimettente  e',  per  l'appunto,
l'allegata violazione del diritto di  difesa,  di  cui  all'art.  24,
secondo comma, Cost. e dei principi del giusto processo,  cosi'  come
risultanti dall'art. 111 Cost. e dall'art.  6  CEDU,  richiamato  dal
rimettente per mezzo dell'art. 117 Cost. 
    Le disposizioni censurate obbligherebbero, infatti, il giudice  a
decidere con un'ordinanza pronunciata de plano, e dunque  in  assenza
del  contraddittorio  tra  le  parti,  che  e'   invece   normalmente
assicurato  -  nei   procedimenti   avanti   alla   magistratura   di
sorveglianza - dall'udienza camerale a partecipazione necessaria  del
difensore e del pubblico ministero disciplinata  dall'art.  666  cod.
proc. pen. L'assenza di contraddittorio sarebbe, secondo il giudice a
quo, specialmente pregiudizievole rispetto al diritto di  difesa  del
condannato, nonche' rispetto  al  complesso  degli  interessi,  anche
pubblicistici, sottesi alla  tutela  del  giusto  processo.  Cio'  in
relazione alla delicatezza degli accertamenti oggetto delle  presenti
questioni, concernenti la richiesta di riabilitazione del  condannato
e la valutazione sull'esito dell'affidamento in prova:  accertamenti,
entrambi, strettamente connessi alla funzione rieducativa della  pena
e  alla  tutela  della  collettivita'  contro   l'eventuale   residua
pericolosita' del condannato. 
    Piu' in particolare, l'obbligo per  il  giudice  di  decidere  in
queste ipotesi senza beneficiare del confronto diretto con  le  parti
nell'udienza ex art. 666 cod. proc. pen.  pregiudicherebbe,  assieme,
gli interessi: 
    - del condannato, il quale si vedrebbe privato della possibilita'
di partecipare sin dall'inizio al procedimento, facendo richiesta  di
essere sentito personalmente ai sensi dell'art. 666,  comma  4,  cod.
proc. pen., nonche' della possibilita' di  chiedere  che  la  propria
istanza sia decisa nell'ambito  di  un'udienza  pubblica,  risultando
cosi' vulnerata la possibilita' del  condannato  stesso  di  incidere
sulla formazione della prova e di vedere  pubblicamente  riconosciuto
il proprio recupero sociale; 
    - del difensore, il quale parimenti non  potrebbe  esercitare  la
propria funzione nell'immediatezza del contraddittorio, e non sarebbe
imposto in condizione di incidere sulla formazione della prova; 
    - del pubblico ministero, il quale nella prima fase del  giudizio
non  potrebbe  in  alcun  modo  partecipare  alla  formazione   della
decisione giudiziale; 
    - del  giudice,  il  quale  non  potrebbe  giovarsi  dell'apporto
conoscitivo  offerto  dal  contraddittorio  orale,  con   conseguente
rischio di valutazioni erronee, suscettibili di  recare  grave  danno
agli interessi del condannato o a quelli della collettivita'; 
    - e, infine, dell'intera collettivita' (il «Popolo  sovrano,  nel
cui nome e' amministrata la giustizia»), cui  verrebbe  sottratta  la
possibilita' di controllo sull'operato della magistratura,  garantita
dall'udienza pubblica. 
    5.2.1.- Ritiene questa Corte che nessuno di tali argomenti sia in
grado di dimostrare l'irragionevolezza del  bilanciamento  effettuato
dal legislatore, nei termini poc'anzi precisati. 
    Con riguardo anzitutto agli asseriti  pregiudizi  arrecati  dalla
disciplina censurata agli interessi delle parti (l'imputato e il  suo
difensore, da un lato, e il pubblico ministero, dall'altro), non c'e'
dubbio che tale disciplina imponga  al  giudice  di  pronunciarsi  in
prima battuta in assenza di contraddittorio, sulla  base  della  sola
richiesta del condannato  (nel  caso  della  riabilitazione),  ovvero
della documentazione trasmessa dall'Ufficio per  l'esecuzione  penale
esterna   (UEPE)   (nel    caso    della    valutazione    sull'esito
dell'affidamento in prova), oltre che  dell'ulteriore  documentazione
eventualmente acquisita d'ufficio. Ed e' vero, altresi', che  ne'  il
condannato, ne' il pubblico ministero sono in grado  di  interloquire
su tale documentazione prima della decisione de plano del giudice. 
    Tuttavia, la costante giurisprudenza di  questa  Corte  considera
compatibili  con  gli  artt.  24,  secondo  comma,  e  111  Cost.   i
procedimenti a contraddittorio eventuale e differito, nei  quali  una
prima fase senza formalita' e'  seguita  da  una  successiva  fase  a
contraddittorio pieno, attivata dalla  parte  che  intenda  insorgere
rispetto al decisum, e nella quale avviene il  pieno  recupero  delle
garanzie difensive e del contraddittorio (sentenza n. 279 del 2019  e
ordinanza n. 255 del 2009 - entrambe relative al procedimento di  cui
all'art. 667, comma 4, cod. proc, pen. in questa  sede  censurato  -,
nonche',  in  relazione  a  diversi  procedimenti  a  contraddittorio
eventuale e differito, sentenza n. 245 del 2020; ordinanze n. 291 del
2005, n. 352 del 2003 e n. 8 del 2003). 
    Il procedimento regolato dalle  disposizioni  censurate  e',  per
l'appunto, caratterizzato dal "recupero" di tali garanzie nella  fase
eventuale  di  opposizione   al   provvedimento   pronunciato   senza
formalita'  dal  giudice,  introdotta  dalla  parte  che   vi   abbia
interesse; fase  di  opposizione  che  si  svolge  con  le  modalita'
ordinariamente previste per il procedimento di sorveglianza,  a  loro
volta  modellate  su  quelle  dell'incidente  di  esecuzione  di  cui
all'art. 666 cod. proc. pen., le quali prevedono - tra l'altro  -  la
partecipazione necessaria all'udienza camerale del  difensore  e  del
pubblico ministero, la facolta'  per  l'interessato  di  chiedere  di
essere sentito, la possibilita' per il giudice di acquisire  -  anche
su  istanza  di  parte  -  ogni  documento  o  informazione  ritenuti
necessari, di assumere prove in udienza nel  contraddittorio  tra  le
parti, nonche' - per effetto della sentenza n. 97 del 2015 di  questa
Corte - la facolta' per il condannato di chiedere che l'udienza venga
celebrata in forma pubblica. 
    D'altra parte, l'anticipazione di una  provvisoria  decisione  ad
opera del giudice in assenza  di  contraddittorio  -  gia'  suggerita
nella relazione della Commissione mista poc'anzi  menzionata  (supra,
punto 4.2.) e poi accolta con qualche modifica dal d.l.  n.  146  del
2013,  come   convertito   -   ha,   nell'ottica   del   legislatore,
semplicemente lo  scopo  di  consentire  una  rapida  definizione  di
procedimenti in cui  non  sono  necessari,  di  regola,  accertamenti
complessi. 
    Laddove il  giudice  definisca  gia'  in  questa  prima  fase  il
procedimento  in  senso  favorevole  al  condannato,   la   modalita'
semplificata prevista dalle  disposizioni  censurate  assicurera'  in
definitiva una tutela piu' tempestiva degli interessi del  condannato
stesso, il  quale  -  tanto  in  materia  di  riabilitazione,  quanto
rispetto alla valutazione  dell'esito  positivo  dell'affidamento  in
prova - potra' cosi' veder riconosciuto in tempi piu' rapidi  l'esito
positivo del proprio percorso rieducativo, con conseguente venir meno
delle limitazioni alla  propria  sfera  giuridica  discendenti  dalla
precedente condanna. 
    L'eventuale provvedimento negativo  del  giudice  nella  fase  de
plano, d'altra parte, non determina di  per  se'  alcuna  conseguenza
pregiudizievole per il condannato, dal momento che la  giurisprudenza
di legittimita' considera tale provvedimento non eseguibile sino alla
scadenza infruttuosa del termine per l'opposizione, ovvero sino  alla
sua conferma nell'udienza ex art. 666  cod.  proc.  pen.  conseguente
all'opposizione  stessa  (supra,  punto  4.3.).  Il  che  appare   di
particolare rilievo  rispetto  ai  provvedimenti  di  esito  negativo
dell'affidamento in prova, nei quali  il  tribunale  di  sorveglianza
deve rideterminare il quantum di pena ancora da espiare, tenuto conto
della durata delle limitazioni patite  dal  condannato  e  della  sua
condotta durante  il  periodo  trascorso  in  affidamento  (Corte  di
cassazione, sezioni unite  penali,  sentenza  27  febbraio  2002,  n.
10530; nonche',  recentemente,  sezione  prima  penale,  sentenza  23
ottobre 2019-13 gennaio 2020, n. 934). 
    Dal punto di vista, poi, del pubblico ministero, la  possibilita'
di  un  "recupero"  successivo   del   contraddittorio   e   la   non
eseguibilita' immediata del provvedimento assunto de plano  escludono
qualsiasi  pregiudizio  agli  interessi  pubblici  di  cui  egli   e'
portatore, a fronte della possibilita' di interloquire sulle prove  e
sulle valutazioni del giudice garantita dalla facolta' di  presentare
opposizione  contro  il  provvedimento  del  giudice  favorevole   al
condannato. 
    5.2.2.-  Ne'  pare  a  questa  Corte,  contrariamente  a   quanto
argomentato  nell'ordinanza  di  rimessione,  che   il   procedimento
semplificato  previsto  dalle  disposizioni  censurate  non  consenta
un'adeguata valutazione, da  parte  del  giudice,  delle  istanze  di
riabilitazione, ovvero dell'esito dell'affidamento in prova. 
    Il  tribunale  infatti  -  in  riferimento  alla   richiesta   di
riabilitazione - ha sempre la possibilita' di acquisire ex officio la
documentazione che ritenga necessaria ai sensi dell'art.  683,  comma
2, cod. proc. pen.; e -  con  riguardo  alla  valutazione  sull'esito
dell'affidamento in prova - dispone di tutto il materiale informativo
fornitogli   dall'UEPE   a   conclusione   del   percorso    compiuto
dall'interessato. 
    D'altra parte, il rimedio alla specifica doglianza del giudice  a
quo, secondo  cui  il  tribunale  non  potrebbe  valutare  l'avvenuto
recupero sociale del condannato senza avere un contatto  diretto  con
quest'ultimo, non potrebbe di per se' essere assicurato dalla  regola
della necessaria celebrazione dell'udienza in camera di consiglio  ai
sensi dell'art. 666 cod. proc.  pen.,  nei  termini  auspicati  dallo
stesso rimettente, giacche' anche nell'ambito di tale procedimento la
partecipazione del condannato e' rimessa alla sua volonta',  ex  art.
666, comma 4, cod. proc. pen. 
    5.2.3.- Quanto, infine, al pregiudizio agli interessi del «Popolo
sovrano» che discenderebbe  dalla  disciplina  censurata,  a  far  da
sfondo alla doglianza del rimettente sembra essere l'idea secondo cui
la  pubblicita'   delle   udienze   rappresenterebbe   un   requisito
coessenziale      allo      stesso      paradigma      costituzionale
dell'amministrazione della giustizia penale. 
    Se cosi' fosse, tuttavia, lo  stesso  procedimento  ordinario  ex
art. 666 cod. proc. pen. - che tornerebbe  a  divenire,  secondo  gli
auspici del rimettente, la modalita' ordinaria di  trattazione  delle
richieste di riabilitazione  e  della  valutazione  dell'esito  della
messa  alla  prova  -  risulterebbe  esso  stesso  costituzionalmente
illegittimo, perche' svolto normalmente in  camera  di  consiglio,  a
meno che l'interessato non abbia fatto richiesta di trattazione nella
forma dell'udienza pubblica in forza della sentenza n. 97 del 2015 di
questa Corte. 
    In realta',  come  questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato,  la
pubblicita' delle udienze  e'  si'  «connaturata  ad  un  ordinamento
democratico fondato sulla sovranita'  popolare»,  ma  non  ha  valore
assoluto, potendo il legislatore introdurre deroghe al  principio  di
pubblicita'  in  presenza  di  particolari  ragioni   giustificative,
purche' obiettive e  razionali  (sentenze  n.  263  del  2017  e  ivi
ulteriori riferimenti, nonche' - da  ultimo  -  sentenza  n.  73  del
2022). E, rispetto a un procedimento come quello di cui all'art.  666
cod. proc. pen., il punto di  equilibrio  gia'  raggiunto  da  questa
Corte, con  la  menzionata  sentenza  n.  97  del  2015,  e'  appunto
rappresentato dalla possibilita' per l'interessato di  chiedere  egli
stesso lo  svolgimento  del  procedimento  nelle  forme  dell'udienza
pubblica, nulla ostando - altrimenti - a che esso possa svolgersi con
le forme semplificate  proprie  di  tutti  i  procedimenti  camerali,
contemplati peraltro in numerose  ipotesi  dal  codice  di  procedura
penale, anche ai fini della definizione del giudizio di cognizione. 
    Tale possibilita' e' conservata anche dalla disciplina in  questa
sede censurata, ben potendo  l'interessato  proporre  opposizione  al
provvedimento assunto de plano dal giudice, con contestuale richiesta
che il procedimento sia trattato nelle forme dell'udienza pubblica ai
sensi dell'art. 666,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  come  modificato
proprio dalla sentenza n. 97  del  2015.  Cio'  che  e'  di  per  se'
sufficiente a garantire la conformita' della disciplina ai  parametri
costituzionali e convenzionali in materia di giusto processo. 
    5.3.- Secondo il giudice a quo,  il  rito  semplificato  previsto
dalle  disposizioni  censurate  non  risulterebbe  in  linea  con  il
principio della funzione rieducativa della pena di cui  all'art.  27,
terzo comma, Cost., non assicurando il  ponderato  apprezzamento  del
giudice sull'effettivo raggiungimento  di  tale  obiettivo  nel  caso
concreto. 
    La censura, peraltro succintamente argomentata, appare in verita'
meramente  ancillare  rispetto   a   quelle   relative   all'allegata
violazione del diritto di difesa e dei principi del giusto  processo,
risolvendosi nella doglianza -  gia'  ritenuta  non  fondata  (supra,
punto 5.2.2.) - secondo cui il difetto di contraddittorio nella prima
fase del procedimento  non  consentirebbe  al  giudice  una  piena  e
accurata valutazione della personalita' del  condannato  e  dei  suoi
effettivi progressi verso l'obiettivo della riabilitazione sociale. 
    Di qui la non fondatezza anche di tale censura. 
    5.4.- Infine, nell'ordinanza iscritta al n. 79 del r.o.  2021  il
giudice a quo lamenta la violazione dell'art. 3  Cost.  in  relazione
all'irragionevolezza della differente  disciplina  processuale  della
valutazione dell'esito dell'affidamento in prova  rispetto  a  quella
applicabile, in  particolare,  in  materia  di  revoca  dello  stesso
affidamento,  ovvero  di  estinzione  del   reato   all'esito   della
sospensione   dell'esecuzione   della   pena   nei   confronti    del
tossicodipendente ex art. 93 t.u. stupefacenti. 
    Nemmeno tale censura e' fondata. 
    Il legislatore ha  infatti  riservato  il  rito  semplificato  in
parola a procedimenti  ritenuti  di  limitata  complessita'  e,  come
sottolineato in dottrina, caratterizzati da un'elevata percentuale di
decisioni favorevoli all'interessato,  come  quelli  che  vengono  in
considerazione nelle questioni ora sottoposte  a  questa  Corte.  Una
volta escluso che tali procedimenti comprimano  irragionevolmente  le
garanzie del diritto di difesa, del contraddittorio e in generale del
giusto processo, non puo'  considerarsi  imposta  dall'art.  3  Cost.
l'adozione di un unico modello di disciplina per tutti i procedimenti
di sorveglianza, ben potendo il legislatore regolarli diversamente in
ragione di una molteplicita' di fattori, la cui valutazione e il  cui
reciproco    bilanciamento    rientrano    nella    sua     esclusiva
discrezionalita',  censurabile  soltanto  laddove  la  differenza  di
trattamento risulti priva di ogni plausibile  ragione  giustificativa
in relazione alla sostanziale identita' della materia regolata. 
    Il che certamente non accade  rispetto  ai  tertia  comparationis
invocati dal rimettente. Da un lato,  i  procedimenti  relativi  alla
revoca di un affidamento in prova al servizio sociale in  corso  sono
suscettibili di determinare l'interruzione di un percorso  ancora  in
atto in relazione a specifiche inosservanze degli obblighi imposti al
condannato, mentre  la  valutazione  sull'esito  dell'affidamento  in
prova ha luogo quando tale percorso e' ormai concluso senza che siano
intervenute violazioni tanto significative da giustificare la  revoca
dell'affidamento stesso, e appare dunque ragionevole una prognosi  di
valutazione favorevole della  misura.  Dall'altro,  l'estinzione  del
reato commesso dal tossicodipendente ex art. 93 t.u. stupefacenti non
presuppone  -  a  differenza  di  quanto  accade  nella   valutazione
dell'esito dell'affidamento  in  prova  -  l'avvenuta  esecuzione  di
alcuna  misura  a  contenuto  sanzionatorio,   bensi'   comporta   la
sospensione tout court dell'esecuzione di  pene,  peraltro  anche  di
severita' piu' elevata di quelle suscettibili di essere eseguite  con
la modalita' dell'affidamento in prova al servizio sociale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
del combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma  1-bis,
del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli  artt.
3, 24, 27, 111 e 117 della Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo  (CEDU),
dal Tribunale di sorveglianza di Messina con le ordinanze indicate in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA