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DIRITTO SANITARIO

 

Condotta negligente del medico – Omessa considerazione degli effetti collaterali del farmaco somministrato – Assenza di monitoraggio prima e dopo del periodo di trattamento – RISARCIMENTO DEL DANNO – Risarcimento danni per errata somministrargli di terapia farmacologica – Protocollo medico.

 

 

Si riportano stralci dell’interessante Ordinanza lavorata e pubblicata per esteso su AmbienteDiritto.it sul “consenso informato”.

L’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente ( v. Cass., 13/2/2015, n. 2854. Cfr. altresì Cass., 16/05/2013, n. 11950, che ha ritenuto preclusa ex art. 345 c.p.c. la proposizione nel giudizio di appello, per la prima volta, della domanda risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico nell’esecuzione di un intervento, in quanto costituente domanda nuova rispetto a quella proposta in primo grado- basata sulla mancata prestazione del consenso informato, differente essendo il rispettivo fondamento).

Trattasi di due distinti diritti.

  • Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico ( cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438 ), e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge ( anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, 2°co., Cost.).
  • Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, co., Cost.) (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830).

L’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone pertanto l’autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell’acquisizione del consenso informato (cfr. Cass., 27/11/2015, n. 24220), dovendo al riguardo invero accertarsi se le conseguenze dannose successivamente verificatesi siano, avuto riguardo al criterio del più probabile che non (cfr. Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060), da considerarsi ad essa causalmente astratte.

Con l’ulteriore avvertenza che, trattandosi di condotta attiva, e non già passiva, non vi è nella specie luogo a giudizio controfattuale (cfr. Cass., 6/6/2014, n. 12830).

In mancanza di consenso informato l’intervento del medico è (al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge è obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità) sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791 ), l’obbligo del consenso informato costituendo legittimazione e fondamento del trattamento sanitario (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).

Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi.

A tale stregua, l’informazione deve in particolare attenere al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638), dei rischi di un esito negativo dell’intervento (v. Cass., 12/7/1999, n. 7345) e di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente (v. Cass., 14/3/2006, n. 5444), ma anche di un possibile esito di mera “inalterazione” delle medesime (e cioè del mancato miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medicospecialista è tenuto, e che il paziente può legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della convenuta prestazione professionale), e pertanto della relativa sostanziale inutilità, con tutte le conseguenze di carattere fisico e psicologico (spese, sofferenze patite, conseguenze psicologiche dovute alla persistenza della patologia e alla prospettiva di subire una nuova operazione, ecc.) che ne derivano per il paziente (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826).

La struttura e il medico hanno dunque il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, a suoi rischi, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni verificabili, esprimendosi in termini adatti al livello culturale del paziente interlocutore, adottando un linguaggio a lui comprensibile, secondo il relativo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 19/0/2019, n. 23328; Cass., 4/2/2016, n. 2177; Cass., 13/2/2015, n. 2854). Al riguardo questa Corte ha avuto modo di precisare che il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell’evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo il suo accadimento, poiché la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni (v. Cass., 19/9/2014, n. 19731).

Ai sensi dell’art. 32, 2 °co., Cost. (in base al quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), dell’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica) e dell’art. 33 L. n. 833 del 1978 (che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.), tale obbligo è a carico della struttura e del sanitario (da ultimo v. Cass., 23/10/2018, n. 26728), il quale, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.

Il consenso libero e informato, che è volto a garantire la libertà di autodeterminazione terapeutica dell’individuo (v. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438, e, da ultimo, Cass., Sez. un., 11/11/2019, n., 28985, ove si pone in rilievo che l’obbligo informativo è ora legislativamente previsto agli artt. 1, commi 3-6, 3, commi 1-5, e 5 L. n. 219 del 2019, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”), e costituisce un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico (cfr., da ultimo, Cass., 19/7/2018, n. 19199; Cass., 28/06/2018, n. 17022) o anche di rifiutare (in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748), salvo che ricorra uno stato di necessità, non può mai essere presunto o tacito ma deve essere sempre espressamente fornito, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita, laddove presuntiva può essere invece la prova che un consenso informato sia stato dato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sulla struttura e sul medico (v. Cass., 27/11/2012, n. 20984; Cass., 11/12/2013, n. 27751, e, da ultimo, Cass., Sez. un., 11/11/2019, n., 28985).

A tale stregua, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente è onere della struttura e del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (v. Cass., 9/2/2010, n. 2847), senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve -va ribadito- sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello cultur8ale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 20/8/2013, n. 19920).

Deve al riguardo ulteriormente porsi in rilievo come la struttura e il medico vengano in effetti meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omettono del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando acquisiscano con modalità improprie il consenso dal paziente (v. Cass., 21/4/2016, n. 8035).

Si è ritenuto ad esempio inidoneo un consenso ottenuto mediante la sottoposizione alla sottoscrizione del paziente di un modulo del tutto generico (v., da ultimo, Cass., 19/9/2019, n. 23328; Cass., 4/2/2016, n. 2177), non essendo a tale stregua possibile desumere con certezza che il medesimo abbia ricevuto le informazioni del caso in modo esaustivo (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791) ovvero oralmente (v. Cass., 29/9/2015, n. 19212, ove si è negato che -in relazione ad un intervento chirurgico effettuato sulla gamba destra di un paziente, privo di conoscenza della lingua italiana e sotto narcosi potesse considerarsi valida modalità di acquisizione del consenso informato all’esecuzione di un intervento anche sulla gamba sinistra, l’assenso prestato dall’interessato verbalmente nel corso del trattamento).

 

Vedi provvedimento per esteso: CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 3^ 25 giugno 2021 (Ud. 13/10/2020)

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