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SITI CONTAMINATI: la cura snellente del Governo Draghi.

 

Giovanni Savarese

Ogni governo che si rispetti è chiamato a introdurre misure di semplificazione. Il 1 giugno u.s. il Governo Draghi ha presentato il proprio biglietto da visita. Il decreto legge n. 77 in materia di governance e di accelerazione e snellimento delle procedure. Al centro c’è l’attuazione del Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza e poiché questo è fortemente indirizzato allo sviluppo della transizione ecologica, le procedure messe sotto la lente di ingrandimento dal Consiglio dei Ministri riguardano ampiamente quelle connesse ai rapporti infrastrutture–capitale naturale. Si tratta del procedimento ambientale e paesaggistico, delle procedure per le fonti rinnovabili, per l’efficientamento energetico e interventi in materia di promozione dell’economia circolare e contrasto al dissesto idrogeologico. Rientrano tra quelle utili alla promozione dell’economia circolare, le misure di semplificazione per la riconversione dei siti industriali previste all’art. 37. Con modifiche al Titolo V alla Parte IV del D.Lgs. 152/2008 in materia di caratterizzazione e bonifica dei siti contaminati.

Come spesso è accaduto, l’intervento del legislatore è piuttosto puntuale e circoscritto. Ci sono così disposizioni sull’applicazione del Decreto per le Aree Agricole, precisando che la nozione di “destinazione agricola” del sito è strettamente connessa non tanto alla classificazione urbanistica/regolatoria quanto al fattivo utilizzo a tal scopo ed indicando in 10 anni il tempo da considerare per emettere un giudizio in tal senso (ci era arrivata anche la giurisprudenza riconoscendo dal semplice “esame del decreto in questione” questa “natura concreta e funzionale” della definizione).

Ancora in tema di puntualità della norma rientra la previsione che “dimezza” i tempi per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico delle acque, funzionale ad interventi di messa in sicurezza d’emergenza e di previsione: si tratta di una questione annosa. Da un lato il soggetto interessato ha l’obbligo di attivarsi tempestivamente a tutela dell’ambiente, dall’altro è necessario operare con i comuni mezzi del procedimento amministrativo. Non deve essere facile, per chi ne ha la responsabilità, trovare un equilibrio. Considerato che tale disposizione, tanto semplice quanto rivoluzionaria, giunge trascorsi 15 anni dall’emanazione del Codice dell’Ambiente. E sempre senza mettere mano al portafoglio. Si passa poi ad interventi più incisivi.

In tema di certificazione di avvenuta bonifica, l’atto di approvazione degli interventi progettuali dovrà contenere maggiori dettagli su quali siano le attività necessarie e propedeutiche a verificarne la bontà; tra soppressioni, inserimenti ed aggiunte tutta la materia è ricompresa ora nell’art. 248. E qualora la Provincia non adempia alle proprie responsabilità, si sostituisce la Regione. Entra nell’art. 248 anche la possibilità di una certificazione distinta tra matrice insatura ed acque sotterranee (circostanza peraltro già raggiungibile in presenza di due distinti elaborati progettuali con altrettanto distinti atti approvativi). Si dovrà procedere con l’ennesimo bis, quello del comma 7 all’art. 242. Secondo disposizioni che poi riprendono (con sfumature per veri intenditori) quelle già introdotte neanche un anno fa dall’allora Governo Conte 2 (con il Decreto Semplificazioni, anche in quel caso in stagione di “prova costume”), ai sensi del 252 comma 4-quater che però si applicavano solo per i Siti di Interesse Nazionale. Ora valgono per tutti i siti contaminati, pertanto il quater è abrogato. Se i SIN da una parte perdono, dall’altra guadagno con una doppia “cura snellente” taylor made: il Piano di Caratterizzazione (uno dei pilastri del Titolo V) può essere svolto senza un passaggio in conferenza dei servizi, e gli occhi vigili del Sistema Nazionale della Protezione Ambientale avranno 60 giorni per individuare anomalie e formulare valutazioni (imperative) che garantiscano la qualità di quanto svolto. Con la premessa che siano rispettati i dettami dei decreti non regolamentari che tramite il Ministero della Transizione Ecologica verranno emanati.

Altro ostacolo che salta è a favore di applicazioni a scala pilota di tecnologie innovative. Via la preventiva autorizzazione del MiTE. Sempre che la scrupolosità del SNPA (con il contributo di ISS) non rilevi mancanze di garanzia sul piano del rischio sanitario e/o ambientale. È passato ai raggi X del Governo Draghi anche il neonato articolo 242-ter (del fu Governo Conte anch’esso): anche questo non certo un “parto prematuro” visto che tratta di realizzazione di opere nei siti contaminati, tema assai dibattuto tra chi se ne diletta proprio per l’assenza di precisi contorni normativi. Che evidentemente il ministro Costa non era riuscito a dare compiutamente visto che dal 1 giugno 2021 le procedure impattano anche per le opere che non prevedono scavi ma comportano “occupazione permanente si suolo”. Una puntualizzazione effettivamente doverosa, data la delicatezza del tema. Ma si applica solo a certe condizioni. E in caso di superamenti dei limiti di legge per cause naturali (i c.d. valori di fondo naturale) si applica il D.P.R. 120/2017.

Passando tramite tutta la programmazione della filiera di gestione del materiale scavato, la notifica formale agli enti competenti e l’esecuzione di un piano di indagini in contraddittorio con l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente si dovrebbero rendere immediatamente fruibili le aree interessate da questi fenomeni. Sempre che l’amministrazione regionale adotti gli atti che consentano la formale sostituzione delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione. E a proposito di opere, ovviamente via libera alla realizzazione dei progetti del PNRR. Questo ed altro è stato previsto per dare nuova vita ai siti industriali ed accelerare le procedure di bonifica.

Ad oggi in Italia, senza considerare i SIN (ai quali abbiamo concesso lo 0,5% del nostro territorio), contano in numero pari a circa 19.000 da fonte ISPRA. E di questi quasi la metà ha mosso solo i primi passi nella lunga (e tortuosa) strada verso la bonifica o la risoluzione del procedimento. Alcuni, un numero esiguo ma sicuramente evocativo, circa 300 sono rimasti ancorati alla normativa degli ultimi anni del secolo (e millennio) scorso. “Ricorda chi eravamo”, sembra sussurrare uno di loro. Il Decreto varato da questo Governo ha regalato al Titolo V del Codice dell’Ambiente il sesto intervento di modifica dal 2006. Sul piano normativo, gli sforzi fatti sin ora sembrerebbero non aver inciso abbastanza. Ma fortunatamente nel frattempo abbiamo costituito il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Ed è vedo poi che la materia richiede ampie vedute, per poter apprezzare significative svolte. Ai posteri l’ardua sentenza. Ma non prima della conversione in legge. E in ogni caso prossimo governo permettendo.

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