di Ruggero Tumbiolo. A distanza di pochi giorni dall’udienza della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2012, nella quale è stata riconosciuta l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione, il TAR Lazio, con la sentenza della Sezione Terza Quater n. 8858 del 29 ottobre 2012, ha annullato il primo comma dell’art. 55 bis del codice deontologico forense, nella parte in cui stabilisce che l’avvocato, che svolga la funzione di mediatore, deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del codice deontologico forense.
Giova rammentare che l’art. 55 bis del codice deontologico forense stabilisce quanto segue:
«L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice.
I. L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza.
II. Non può assumere la funzione di mediatore l’avvocato:
a) che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti;
b) quando una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali.
In ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 815, primo comma, del codice di procedura civile.
III. L’avvocato che ha svolto l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti:
a) se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento;
b) se l’oggetto dell’attività non sia diverso da quello del procedimento stesso.
Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali.
IV. E’ fatto divieto all’avvocato consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione».
La disposizione in esame, introdotta nel codice deontologico forense con delibera del Consiglio Nazionale Forense del 5 luglio 2011, è stata oggetto di impugnativa da parte di alcuni avvocati.
I ricorrenti hanno, tra l’altro, censurato il primo comma del citato art. 55 bis, nella parte in cui stabilisce che l’avvocato, che svolga la funzione di mediatore, deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del codice deontologico forense.
Rispetto alla doglianza sollevata nei confronti del 1° comma del cit. art. 55 bis, il TAR Lazio si è così espresso:
«Nonostante la non felice formulazione della prescrizione, questa deve essere letta proprio nel senso prospettato da parte ricorrente, e cioè che “le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione” devono essere rispettate dall’avvocato che svolge funzione di mediatore “nei limiti in cui (id est, se e in quanto) dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice”. La lettura testuale della norma non può portare a diversa conclusione, con conseguente sua illegittimità. Ed invero, il codice deontologico – che nel sistema delle fonti è certamente di rango subordinato alla normativa primaria in materia di conciliazione – non ha la forza di prevalere sulle norme primarie con lo stesso contrastanti. Come chiarito dalla Corte di cassazione (sez. VI, 4 agosto 2011, n. 17004; s.u. 17 giugno 2010, n. 14617; id. 7 luglio 2009, n. 15852) le previsioni del codice deontologico hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi. Né rileva la circostanza che allo stato non sussiste alcun contrasto tra le norme primarie e quella impugnata perché nessuna disposizione normativa ha previsto che sono compatibili le attività precluse dall’art. 55 bis, essendo possibili interventi successivi che modifichino tali norme nel senso di contenere previsioni opposte a quelle del codice deontologico. Diversa sarebbe stata, invece, la conclusione se la disposizione impugnata avesse previsto l’obbligo dell’avvocato, tenuto all’osservanza delle regole del proprio codice deontologico, di rinunciare all’attività di mediazione ove, in relazione a questa, la normativa primaria avesse introdotto previsioni contrastanti con il codice».
Viceversa, sono state ritenute destituite di fondamento e, per l’effetto, rigettate le altre censure rivolte ai singoli canoni dell’art. 55 bis.
Al riguardo, il giudice amministrativo ha condiviso l’assunto del Consiglio Nazionale Forense, secondo cui la scelta del legislatore di consentire all’avvocato di esercitare anche l’attività di mediatore ha comportato l’insorgere di problematiche di assoluto rilievo, con conseguente dovere per gli organismi professionali competenti di provvedere affinché, sul piano dei comportamenti concreti, l’esercizio da parte dello stesso soggetto di professioni radicalmente differenti non dia luogo a condotte disciplinarmente sanzionabili.
Ritiene, quindi, il giudice che qualora a svolgere la professione di mediatore sia un avvocato è corretto e, anzi, doveroso che vengano poste delle regole, a salvaguardia della dignità, correttezza e trasparenza di comportamento, alle quali l’avvocato deve attendersi perché il cumulo delle due prestazioni professionali non finisca per influire negativamente sull’immagine che l’avvocato deve offrire di sé stesso e della funzione che è chiamato a svolgere.