Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime di www.ambientediritto.it | Categoria:Diritto processuale penale, Diritto sanitario, Pubblica amministrazioneNumero: 54 | Data di udienza:DIRITTO PROCESSUALE PENALE – COVID-19 – Spostamenti in pieno lockdown e in zona rossa senza valido motivo – Falsa autocertificazione – Reato ex art. 483 c.p. – Esclusione – Falso innocuo – Adozioni di misure cautelari – Obbligo di permanenza domiciliare – Misura restrittiva della libertà personale – Emessa con atto amministrativo – Illegittimità – Giurisprudenza Costituzionale – Misure restrittive della libertà personale – Art. 13 Cost. – Doppia riserva di legge e di giurisdizione – Libertà di circolazione – Competenza del giudice ordinario – Rispetto del diritto di difesa – Atto motivato – Garanzie e ratio – Restrinzione della libertà con DPCM – Esclusione – TUTELA DELLA SALUTE – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DPCM 8 marzo 2020 – Violazione del principio di riserva di legge e giurisdizione di cui all’art. 13 Cost..
Provvedimento: SENTENZA
Sezione:
Regione: Emilia Romagna
Città: REGGIO EMILIA
Data di pubblicazione: 27 Gennaio 2021
Numero: 54
Data di udienza:
Presidente: De Luca
Estensore:
Premassima
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – COVID-19 – Spostamenti in pieno lockdown e in zona rossa senza valido motivo – Falsa autocertificazione – Reato ex art. 483 c.p. – Esclusione – Falso innocuo – Adozioni di misure cautelari – Obbligo di permanenza domiciliare – Misura restrittiva della libertà personale – Emessa con atto amministrativo – Illegittimità – Giurisprudenza Costituzionale – Misure restrittive della libertà personale – Art. 13 Cost. – Doppia riserva di legge e di giurisdizione – Libertà di circolazione – Competenza del giudice ordinario – Rispetto del diritto di difesa – Atto motivato – Garanzie e ratio – Restrinzione della libertà con DPCM – Esclusione – TUTELA DELLA SALUTE – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DPCM 8 marzo 2020 – Violazione del principio di riserva di legge e giurisdizione di cui all’art. 13 Cost..
Massima tratta da www.ambientediritto.it
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA 27/01/2021 Sentenza n. 54
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – COVID-19 – Spostamenti in pieno lockdown e in zona rossa senza valido motivo – Falsa autocertificazione – Reato ex art. 483 c.p. – Esclusione – Falso innocuo – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DPCM 8 marzo 2020 – Violazione del principio di riserva di legge e giurisdizione di cui all’art. 13 Cost..
Una volta riscontrata l’illegittimità del precetto contenuto nel DPCM recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 applicabili sull’intero territorio nazionale (così come in ogni altro atto amministrativo) per violazione dell’art. 13 Cost., il Giudice ordinario ha il dovere di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E. Di conseguenza, non è configurabile il delitto ex art. 483 c.p. nei confronti chi abbia dichiarato falsamente di trovarsi in una delle condizioni che consentivano gli spostamenti anche all’interno del Comune di residenza in base al DPCM 8 marzo 2020, in quanto la norma di cui all’art. 1 del predetto DPCM deve ritenersi contrastante con il principio di riserva di legge e giurisdizione di cui all’art. 13 Cost.. Dalla disapplicazione di tale norma deriva che la condotta di falso, materialmente comprovata in atti, non sia tuttavia punibile giacché nella specie le circostanze escludono l’antigiuridicità in concreto della condotta e, comunque, perché la condotta concreta, previa la doverosa disapplicazione della norma che imponeva illegittimamente l’autocertificazione, integra un falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in questione.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Adozioni di misure cautelari – Obbligo di permanenza domiciliare – Misura restrittiva della libertà personale – Emessa con atto amministrativo – Illegittimità – Giurisprudenza Costituzionale.
Nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa. In giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una restrizione della libertà personale delle situazioni ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come, ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996) ovvero l’obbligo di presentazione presso l’Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive, in caso di applicazione del DASPO, tanto da richiedere una convalida del Giudice in termini ristrettissimi.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – COVID-19 – Misure restrittive della libertà personale – Art. 13 Cost. – Doppia riserva di legge e di giurisdizione – Libertà di circolazione – Competenza del giudice ordinario – Rispetto del diritto di difesa – Atto motivato – Garanzie e ratio – Restrinzione della libertà con DPCM – Esclusione.
L’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su «…atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»; primo corollario di tale principio costituzionale, dunque, è che un DPCM (nella specie DPCM 8 marzo 2020 – COVID-19) non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge; secondo corollario dei medesimo principio costituzionale è quello secondo il quale neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’art. 13 Cost. postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto, in osservanza del dettato di cui al richiamato art. 13 Cost.. Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, il Giudice ordinario non deve rimettere la questione dì legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere, direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge (Costituzionale). Come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale.
Giudice dott. Dario De Luca
Allegato
Titolo Completo
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA 27/01/2021 Sentenza n. 54
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Sezione GIP-GUP
Il giudice, dott. Dario De Luca, provvedendo in Camera di Consiglio sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna avanzata, come in atti, dal Pubblico Ministero, ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA
nei confronti di: omissis, difeso … e imputato …, come da allegata copia della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, del delitto di cui all’art 483 cod. pen., a) del reato p. e p. dall’art 483 c.p., perché, compilando atto formale di autocertificazione per dare contezza del loro essere al di fuori dell’abitazione in contrasto con l’obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di Correggio: … di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; … di averla accompagnata. In Correggio il 13.03.2020.
MOTIVAZIONE
Procedendo penalmente contro ciascun imputato per il reato in rubrica rispettivamente ascritto, il PM richiede l’emissione di decreto penale di condanna alla pena determinata nella misura di cui in atti.
Ritiene il GIP che la richiesta di emissione di decreto di condanna non possa essere accolta e che debba trovare luogo una sentenza di proscioglimento, ex art. 129 CPP, per effetto delle brevi considerazioni che seguono.
Infatti:
– premesso che viene contestato a ciascun imputato il delitto di cui all’art. 483 cod. pen. «…perché, compilando atto formale di autocertificazione per dare contezza del loro essere al di fuori dell’abitazione in contrasto con l’obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di Correggio: … di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; … di averla accompagnata…», avendo il personale in forza al Comando Carabinieri di Correggio accertato che la donna quel giorno non aveva fatto alcun accesso presso l’Ospedale di Correggio;
– evidenziato che la violazione contestata trova quale suo presupposto – al fine di giustificare il proprio allontanamento dall’abitazione – l’obbligo di compilare l’autocertificazione imposto in via generale per effetto del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) citato nell’autocertificazione stessa;
– in via assorbente, deve rilevarsi la indiscutibile illegittimità del DPCM del 8.3.2020, evocato nell’autocertificazione sottoscritta da ciascun imputato – come pure di tutti quelli successivamente emanati dal Capo del Governo, ove prevede che “1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero territorio nazionale”, e del rinviato DPCM dei 8.3.2020, ove stabilisce che “Art. 1 Misure urgenti di contenimento del, contagio nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia.
– 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus” COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le seguenti misure:
– a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
– Tale disposizione, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa.
Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una restrizione della libertà personale delle situazioni ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come, ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996) ovvero l’obbligo di presentazione presso l’Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive, in caso di applicazione del DASPO, tanto da richiedere una convalida del Giudice in termini ristrettissimi.
Anche l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale, con conseguente dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura, controllo poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte Costituzionale; la disciplina sul trattamento sanitario obbligatorio, ugualmente, poiché impattante sulla libertà personale, prevede un controllo tempestivo del Giudice in merito alla sussistenza dei presupposti applicativi previsti tassativamente dalla legge: infatti, l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su «…atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»; primo corollario di tale principio costituzionale, dunque, è che un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge; secondo corollario dei medesimo principio costituzionale è quello secondo il quale neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’art. 13 Cost. postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto, in osservanza del dettato di cui al richiamato art. 13 Cost.
– Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, il Giudice ordinario non deve rimettere la questione dì legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere, direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge (Costituzionale).
– Infine, non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a Costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale.
– In conclusione, deve affermarsi la illegittimità del DPCM indicato per violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice ordinario di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
– Poiché, proprio in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato “costretto” a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima, deriva dalla disapplicazione di tale norma che la condotta di falso, materialmente comprovata come in atti, non sia tuttavia punibile giacché nella specie le esposte circostanze escludono l’antigiuridicità in concreto della condotta e, comunque, perché la condotta concreta, previa la doverosa disapplicazione della norma che imponeva illegittimamente l’autocertificazione, integra un falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in questione: al riguardo, è ampiamente condivisibile l’interpretazione giurisprudenziale, anche di legittimità, secondo la quale “Non integra il reato dì falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale l’allegazione alla domanda di rinnovo di un provvedimento concessorio di un falso documento che non abbia spiegato alcun effetto, in quanto privo di valenza probatoria, sull’esito della procedura amministrativa attivata. (Fattispecie relativa a rinnovo di una concessione mineraria)” [Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 11952 del 22/01/2010 (dep. 26/03/2010) Rv. 246548 – 01]: siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di decreto penale non può trovare accoglimento.
Alla luce di tutto quanto sin qui detto, deve pronunciarsi sentenza di proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non costituisce reato,
P.Q.M.
Visto Part. 129, 530, nonché 459 III cpp. dichiara non luogo a procedere nei confronti di … e … in ordine al reato loro rispettivamente ascritto perché il fatto non costituisce reato.
Reggio Emilia, 27.01.20211.
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria:Diritto processuale penale, Procedimento amministrativo, Pubblica amministrazioneNumero: 516 | Data di udienza: 15 Luglio 2020PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Limitazione di fondamentali diritti costituzionali con atti amministrativi – Ordinanze sindacali, regionali o DPCM – Illegittimità – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Lockdown dovuto al COVID-19 e relative sanzioni – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari personali – Obbligo di permanenza domiciliare – Sanzione penale restrittiva della libertà personale – Condizioni e limiti di adottabilità – Atto motivato dell’autorità giudiziaria – Necessità – Disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge – Differenza tra limitazioni della libertà di circolazione e della libertà personale – La sentenza della Corte Cost.n. 68/1964 – Garanzie individuali inviolabili – Fattispecie: Pandemia e atti coercitivi dovuti a CORONAVIRUS.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 29 Luglio 2020
Numero: 516
Data di udienza: 15 Luglio 2020
Presidente: Manganiello
Estensore: Manganiello
Premassima
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Limitazione di fondamentali diritti costituzionali con atti amministrativi – Ordinanze sindacali, regionali o DPCM – Illegittimità – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Lockdown dovuto al COVID-19 e relative sanzioni – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari personali – Obbligo di permanenza domiciliare – Sanzione penale restrittiva della libertà personale – Condizioni e limiti di adottabilità – Atto motivato dell’autorità giudiziaria – Necessità – Disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge – Differenza tra limitazioni della libertà di circolazione e della libertà personale – La sentenza della Corte Cost.n. 68/1964 – Garanzie individuali inviolabili – Fattispecie: Pandemia e atti coercitivi dovuti a CORONAVIRUS.
Massima
GIUDICE DI PACE DI FROSINONE, 29 luglio 2020 (Ud. 15/07/2020), Sentenza n. 516
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Limitazione di fondamentali diritti costituzionali con atti amministrativi – Ordinanze sindacali, regionali o DPCM – Illegittimità – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Lockdown dovuto al COVID-19 e relative sanzioni.
La previsione di norme generali e astratte, peraltro limitative di fondamentali diritti costituzionali, mediante Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sono contrari alla Costituzione. La funzione legislativa delegata è disciplinata dall’articolo 76 Cost., il quale, prevede che “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi” impedendo, anche alla legge di conversione di decreti legge la possibilità di delegare la funzione di porre norme generali astratte ad altri organi diversi dal Governo, inteso nella sua composizione collegiale, e quindi con divieto per il solo Presidente del Consiglio dei Ministri di emanare legittimamente norme equiparate a quelle emanate in atti aventi forza di legge. In tal guisa, solo un decreto legislativo, emanato in stretta osservanza di una legge delega, può contenere norme aventi forza di legge, ma giammai un atto amministrativo, come le Ordinanze sindacali o regionali od il DPCM, ancorché emanati sulla base di una delega concessa da un decreto-legge tempestivamente convertito in legge. Da ciò discende la illegittimità delle disposizioni del DPCM del 26.4.2020, in G.U del 27.4.2020, n. 108. Nella specie (lockdown dovuto al COVID-19 e relative sanzioni), non è stata accolta la tesi di chi invoca la legittimità di tali previsioni in virtù del rinvio a tali atti amministrativi, i DPCM, da parte di decreti-legge, che avendo natura di atti aventi forza di legge equiparerebbero alla fonte legislativa i DPCM evitandone così la loro nullità e la conseguente disapplicazione da parte del Giudice Ordinario.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari personali – Obbligo di permanenza domiciliare – Sanzione penale restrittiva della libertà personale – Condizioni e limiti di adottabilità – Atto motivato dell’autorità giudiziaria – Necessità – Disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge.
Nel nostro ordinamento giuridico penalistico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice per alcuni reati. Nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. Infatti, l’art. 13 Cost., stabilisce che le misure restrittive della personale possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Pertanto, neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo della permanenza domiciliare, direttamente irrogato a tutti i cittadini dal legislatore, anziché dall’autorità giudiziaria con atto motivato, senza violare il ricordato art. 13 Cost. Nella fattispecie, trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, il Giudice non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere al disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Differenza tra limitazioni della libertà di circolazione e della libertà personale – La sentenza della Corte Cost.n. 68/1964 – Garanzie individuali inviolabili.
La Corte Costituzionale ha chiarito con sentenza n. 68 del 1964, che la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare. In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale, perché, nell’ordinamento giuridico italiano, l’ordine di rimanere nella propria abitazione non può essere imposto dal legislatore, ma solo dall’Autorità giudiziaria con atto motivato. In conclusione deve affermarsi la illegittimità del DPCM invocato dal verbale qui opposto per violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice di pace, quale Giudice ordinario, di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
Allegato
Titolo Completo
GIUDICE DI PACE DI FROSINONE, 29/07/2020 (Ud. 15/07/2020), Sentenza n. 516
SENTENZA
GIUDICE DI PACE DI FROSINONE, – 29 luglio 2020, Sentenza n. 516
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE
DI FROSINONE
Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
Il Giudice di Pace Avv. Emilio Manganiello ha emesso la seguente
SENTENZA
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso tempestivamente depositato e successivamente notificato il ricorrente si opponeva all’atto di cui all’oggetto, con il quale ha ricevuto la contestazione della violazione del divieto di spostarsi in conseguenza della emergenza sanitaria ai sensi del DPCM non specificato.
L’Ente opposto non si costituiva e la causa veniva decisa come da separato dispositivo, letto in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
A) SULLA ILLEGITTIMITA’ DELLA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA PER VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 95 E 78 COST. E DEI CONSEGUENTI DPCM.
Con deliberazione del 31.1.2020 il Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, pubblicata in G.U. Serie generale n. 26 del 1.2.2020, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario derivante da agenti virali trasmissibili “ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c) e dell’articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, è dichiarato per sei mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili; 2) per l’attuazione degli interventi di cui all’articolo 25, comma 2, lettre a) e b) …”. Se si esamina la fattispecie richiamata dalla deliberazione sopra citata si potrà notare che non si rinviene alcun riferimento a situazioni di “rischio sanitario” da, addirittura, “agenti virali”.
Infatti, l’articolo 7, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 1/18 stabilisce che “gli eventi emergenziali di protezione civile si distinguono: … c) emergenze di rilievo nazionale connessi con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”.
Sono le calamità naturali, cioè terremoti; valanghe; alluvioni, incendi ed altri; oppure derivanti dall’attività dell’uomo, cioè sversamenti, attività umane inquinanti ed altri.
Ma nulla delle fattispecie di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 1/18 è riconducibile al “rischi sanitario”.
A ciò è doveroso aggiungere che i nostri Padri Costituenti hanno previsto nella Costituzione della Repubblica una sola ipotesi di fattispecie attributiva al Governo di poteri normativi peculiari ed è quella prevista e regolata dall’articolo 78 e dall’articolo 87 relativa alla dichiarazione dello stato di guerra.
Non vi è nella Costituzione italiana alcun riferimento ad ipotesi di dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario e come visto neppure nel D.Lgs. n. 1/18.
In conseguenza, la dichiarazione adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 è illegittima, perché emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto nessuna fonte costituzionale o avente forza di legge ordinaria attribuisce il potere al Consiglio dei Ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario.
Pertanto, poiché gli atti amministrativi, compresi quelli di Alta Amministrazione, come lo stato di emergenza sono soggetti al principio di legalità, la delibera del C.d.M. del 31.1.2020 è illegittima perché emessa in assenza dei relativi poteri da parte del C.d.M. in violazione degli 95 e 78 che non prevedono il potere del C.d.M. della Repubblica Italiana di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria.
Da ciò consegue la illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti, come il DPCM invocato dal verbale qui opposto, con conseguente dovere del Giudice di pace, quale Giudice ordinario, di disapplicare la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria ed il DPCM attuativo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
2. Inoltre, deve ritenersi condivisibile autorevole dottrina costituzionale (S. Cassese) secondo cui la previsione di norme generali e astratte, peraltro limitative di fondamentali diritti costituzionali, mediante Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sia contraria alla Costituzione.
In particolare, non appare meritevole di accoglimento la tesi di chi invoca la legittimità di tali previsioni in virtù del rinvio a tali atti amministrativi, i DPCM, da parte di decreti-legge, che avendo natura di atti aventi forza di legge equiparerebbero alla fonte legislativa i DPCM evitandone in tal guisa la loro nullità e la conseguente disapplicazione da parte del Giudice Ordinario.
Ed in effetti, l’ultimo DPCM emanato il 26.4.2020, deriverebbe la sua efficacia dal Decreto-legge n. 19, del 25.3.2020, così come gli atti amministrativi della Regione Lazio.
Tale tesi, peraltro, è inapplicabile al DPCM oggetto del caso qui giudicato, essendo antecedente al 26.4.2020.
In ogni caso, la funzione legislativa delegata è disciplinata dall’articolo 76 Cost., il quale, nel prevedere “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi ” impedisce, anche alla legge di conversione di decreti legge la possibilità di delegare la funzione di porre norme generali astratte ad altri organi diversi dal Governo, inteso nella sua composizione collegiale, e quindi con divieto per il solo Presidente del Consiglio dei Ministri di emanare legittimamente norme equiparate a quelle emanate in atti aventi forza di legge.
In conclusione, solo un decreto legislativo, emanato in stretta osservanza di una legge delega, può contenere norme aventi forza di legge, ma giammai un atto amministrativo, come le Ordinanze sindacali o regionali od il DPCM, ancorché emanati sulla base di una delega concessa da un decreto-legge tempestivamente convertito in legge. Da ciò discende la illegittimità delle disposizioni del DPCM del 26.4.2020, in G.U del 27.4.2020, n. 108.
B) SULLA ILLEGITTIMITA’ DEL DPCM PER VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 COST.
In ogni caso, in via assorbente, deve rilevarsi la indiscutibile illegittimità del DPCM del 9.3.2020, invocato dal verbale opposto, ove prevede che “1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero territorio nazionale”, e del rinviato DPCM del 8.3.2020, ove stabilisce che “Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia.
1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus” COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le seguenti misure:
a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
Tale disposizione, stabilendo un divieto generale ed assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare.
Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico penalistico, l’obbligo di permanenza domiciliare è già noto e consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice di pace penale per alcuni reati.
Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale.
Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una misura restrittiva della libertà personale ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996). Anche l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale e dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte costituzionale.
Infatti, l’art. 13 Cost., stabilisce che le misure restrittive della personale possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Pertanto, neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo della permanenza domiciliare, direttamente irrogato a tutti i cittadini dal legislatore, anziché dall’autorità giudiziaria con atto motivato, senza violare il ricordato art. 13 Cost. Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, questo Giudice non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere al disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge.
Infine, non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale.
Infatti, come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964).
In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come limitazione della libertà personale.
Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale, perché, nell’ordinamento giuridico italiano, l’ordine di rimanere nella propria abitazione non può essere imposto dal legislatore, ma solo dall’Autorità giudiziaria con atto motivato.
Del resto, tali illegittime misure di sanità pubblica sono state recepite dal DPCM sul modello di quelle adottate in Stati non democratici, come la Cina, che hanno un ordinamento costituzionale autoritario giuridicamente incompatibile con il nostro ordinamento costituzionale, fondate” su garanzie individuali inviolabili, ignote agli ordinamenti autoritari ed agli esperti sanitari di quei paese e del nostro, in quanto non competenti in diritto costituzionale.
In conclusione deve affermarsi la illegittimità del DPCM invocato dal verbale qui opposto per violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice di pace, quale Giudice ordinario, di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
La novità della controversia e la mancata costituzione dell’Ente opposto giustificano la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Giudice di pace,
visto l’art. 23 della L. 689/1981, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione reietta, disattesa o assorbita, così provvede:
accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto opposto con compensazione delle spese.
Così deciso in Frosinone lì 29/07/2020
Il Giudice di Pace
Avv. Emilio Manganiello
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria:Diritto sanitarioNumero: 120 | Data di udienza: 13 Gennaio 2021DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID-19 – Contesto emergenziale – Adozione di ordinanza sindacali contingibili e urgenti – Limiti – Sovrapposizione ai campi già regolati della normazione emergenziale dello Stato – Preclusione – Istruzione scolastica – Bilanciamento a livello nazionale dei vari interessi coinvolti (salute, istruzione, svolgimento della personalità dei minori) – Sospensione, con ordinanza sindacale, dell’attività didattica in presenza nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado – Illegittimità.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Calabria
Città: Catanzaro
Data di pubblicazione: 21 Gennaio 2021
Numero: 120
Data di udienza: 13 Gennaio 2021
Presidente: Pennetti
Estensore: Gaglioti
Premassima
DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID-19 – Contesto emergenziale – Adozione di ordinanza sindacali contingibili e urgenti – Limiti – Sovrapposizione ai campi già regolati della normazione emergenziale dello Stato – Preclusione – Istruzione scolastica – Bilanciamento a livello nazionale dei vari interessi coinvolti (salute, istruzione, svolgimento della personalità dei minori) – Sospensione, con ordinanza sindacale, dell’attività didattica in presenza nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado – Illegittimità.
Massima
TAR CALABRIA, Catanzaro, Sez. 1^ – 21 gennaio 2021, n. 120
DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID-19 – Contesto emergenziale – Adozione di ordinanza sindacali contingibili e urgenti – Limiti – Sovrapposizione ai campi già regolati della normazione emergenziale dello Stato – Preclusione – Istruzione scolastica – Bilanciamento a livello nazionale dei vari interessi coinvolti (salute, istruzione, svolgimento della personalità dei minori) – Sospensione, con ordinanza sindacale, dell’attività didattica in presenza nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado – Illegittimità.
Il fondamento normativo del potere sindacale di ordinanza, in caso di emergenza sanitaria, è da individuare nell’art. 32, comma 3, l. 23 dicembre 1978, n. 833, e nell’art. 50 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. In via generale, il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente è ammissibile unicamente al fine di fronteggiare con immediatezza sia una situazione di natura eccezionale ed imprevedibile, sia una condizione di pericolo imminente al momento dell’adozione dell’ordinanza. Nel contesto dell’epidemia in corso, dove è stato già messo in atto un articolato sistema di risposta all’emergenza, con l’adozione di misure di mitigazione del rischio epidemico via via più restrittive a seconda della concreta situazione del territorio regionale, il potere di ordinanza sindacale è quindi limitato ai casi in cui sia necessaria una risposta urgente – che vada al di là delle misure adottate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai Ministri competenti ed, eventualmente, dalle singole Regioni – a specifiche situazioni che interessino il territorio comunale. In altre parole, il Sindaco non può sostituire il proprio apprezzamento, per quanto prudente e ponderato, alla valutazione epidemiologica e al bilanciamento degli interessi operato dall’Autorità governativa e, eventualmente, dalle singole Regioni. Innanzitutto perché, contrariamente opinando, la naturale pluralità di misure adottate dai sindaci minerebbe la risposta unitaria e organica a una crisi sanitaria di carattere planetaria; ma soprattutto perché, sul piano strettamente normativo, non sussistono quegli ambiti di “vuoto ordinamentale” nel contesto del quale è ammissibile l’esercizio di poteri contingibili e urgenti. Invero, nell’odierno contesto emergenziale, una volta intervenuti i decreti governativi, non è preclusa l’adozione di ordinanze sindacali, ma il potere di ordinanza non può sovrapporsi ai campi già regolati dalla normazione emergenziale dello Stato, restando libero di intervenire solo in quelli lasciati scoperti (ancorché con il limite del necessario rispetto del bilanciamento tra principi e diritti costituzionali diversi operato in sede centrale) e in presenza di specifiche esigenze locali. In sintesi, nel contesto dell’emergenza derivante dall’epidemia di Covid-19, l’ordinanza contingibile e urgente è adottabile dal sindaco a fronte di situazione proprie del territorio comunale, che, per la loro specificità o per la loro improvvisa manifestazione non sono state considerate in sede di adozione delle misure a carattere nazionale o regionale. Ciò è ancor più vero con riferimento alle modalità di istruzione scolastica, laddove vi è a monte la decisione, contenuta del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di continuare a consentire lo svolgimento in presenza della scuola dell’infanzia, della scuola primaria, dei servizi educativi per l’infanzia, del primo anno di frequenza della scuola secondaria di primo grado, anche nelle Regioni con il più alto rischio epidemiologico. E laddove vi è una puntigliosa regolamentazione delle modalità di svolgimento delle lezioni, intesa a minimizzare il rischio di contagi. In questa materia, dunque, i vari interessi coinvolti, quello alla salute, quello all’istruzione, quello allo svolgimento della personalità dei minori e degli adolescenti in un contesto di socialità, sono stati bilanciati e ricomposti a livello nazionale, peraltro con modalità tali da garantire una flessibile risposta ai diversi gradi di emergenza epidemiologica. Se è innegabile che il diritto alla salute è al vertice dei diritti sociali, perché consente all’individuo di godere delle libertà e degli altri diritti che la Repubblica riconosce, nondimeno il diritto all’istruzione si colloca poco dietro. Esso è il principale strumento con cui lo Stato provvede, ai sensi dell’art. 3, comma 2, a rimuovere, specie nei territori più svantaggiati, gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Attraverso l’istruzione, inoltre, si hanno più ampie prospettive di accesso al lavoro su cui la Repubblica è fondata. Dunque, il bilanciamento tra i due diritti in un contesto di epidemia non può essere demandato all’intervento, per sua natura episodico e frammentario, dei Sindaci, i quali avranno potere di emettere ordinanza contingibile e urgente negli scarsi “spazi liberi” lasciati dalla regolamentazione nazionale e con i limiti già sottolineati. Peraltro, non si può omettere di ricordare che il principio di precauzione, cui va riconosciuto un rilievo primario, non può essere invocato oltre ogni limite, ma secondo il principio di proporzionalità: dunque, la doverosa necessità di tutelare la salute non può risolversi in una tirrania di questo diritto rispetto alle altre libertà e agli altri diritti fondamentali, dovendosi ricordare che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri.
Pres. Pennetti, Est. Gaglioti – omissis (avv.ti Perrone e Cassano) c. Comune di Paola (avv. Florita)
Allegato
Titolo Completo
TAR CALABRIA, Catanzaro, Sez. 1^ – 21 gennaio 2021, n. 120
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1441 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Paolo Perrone, Nicola Cassano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Paola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Florita, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
con contestuale istanza di sospensiva cautelare dell’ordinanza contingibile ed urgente del -OMISSIS- reg. ord., del Sindaco del Comune di Paola, prot. n. -OMISSIS-; dell’ordinanza di proroga del -OMISSIS- n. -OMISSIS-, del Sindaco del Comune di Paola, di proroga della precitata ordinanza contingibile ed urgente del -OMISSIS- reg. ord., del Sindaco del Comune di Paola, prot. n. -OMISSIS-; di ogni altro atto comunque connesso e/o consequenziale, ancorché non noto, nei cui confronti si fa riserva, sin d’ora, di motivi aggiunti,
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Paola;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020 convertito in legge n. 167 del 2020, il dott. Domenico Gaglioti;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1-Con l’epigrafato ricorso, notificato il 30.11.2020 e depositato in pari data, gli odierni ricorrenti, nelle rispettive qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sui loro figli, hanno impugnato l’ordinanza contingibile e urgente del -OMISSIS- reg. ord., del Sindaco del Comune di Paola, prot. n. -OMISSIS- nonché dell’ordinanza di proroga del -OMISSIS- n. -OMISSIS-, del Sindaco del Comune di Paola di proroga della primigenia ordinanza n. -OMISSIS- del 2020, chiedendone l’annullamento e il risarcimento dei danni.
2-Con la prima ordinanza il Sindaco ha disposto che – ai fini del contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 sul territorio comunale, ferme restando le misure statali e regionali di contenimento del rischio di diffusione del virus già vigenti – dal 25.11.2020 fino a tutto il 28.11.2020 le attività didattiche delle scuole dell’infanzia, delle primarie e delle secondarie di primo grado, sia pubbliche che private ricadenti nel territorio del Comune di Paola si svolgano esclusivamente – ove possibile e con organizzazione integralmente demandata all’autonomia delle istituzioni scolastiche – con modalità a distanza.
2.1-A tal fine il Sindaco – dopo aver richiamato la precedente sua ordinanza n.-OMISSIS- del 9.11.2020, di analogo tenore e sospensiva dell’attività scolastica in presenza dal 10.11.2020 al 21.11.2020, a sua volta impugnata presso questo Tribunale e sospesa interinalmente con decreto cautelare monocratico n.-OMISSIS- del 14.11.2020 – ha considerato e valutato:
– che, per come rilevato dai dati epidemiologici divulgati con cadenza giornaliera sia a livello nazionale che a livello regionale, l’andamento del contagio continui a registrare un costante aumento di casi di positività;
– che, pur essendosi osservato negli ultimi giorni un rallentamento dell’incremento della curva, il cui picco sarebbe previsto per la fine del mese di novembre, lo stesso derivi dalle misure di contenimento adottate dal Governo Centrale, dalle Regioni e, non da ultimo, dalle singole amministrazioni locali con provvedimenti assunti dai sindaci nella veste di autorità sanitaria locale, aventi carattere preventivo e prudenziale diretti alla tutela del diritto alla salute pubblica, garantito costituzionalmente al pari del diritto all’istruzione;
– la situazione epidemiologica in essere nel territorio di Paola, dalla quale emerge un aumento dei casi di positività e discende la considerazione che senza l’adozione delle misure contenimento adottate – comprese quelle rivolte al mondo della scuola – l’incremento sarebbe stato di sicuro esponenziale;
– che la sospensione della attività didattiche in presenza, stabilita con ordinanza sindacale n.-OMISSIS- del 09.11.2020, impedendo a bambini i cui genitori sono risultati positivi in ritardo a causa delle lentezze derivanti sistema di processazione dei tamponi, è stata di sicuro misura di contenimento efficace;
– che moltissimi sindaci in Calabria hanno assunto, motivatamente, la decisione di sospendere le attività didattiche in presenza;
– la proposta di tutti i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Provinciali calabresi al Direttore del Dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria di sospendere le attività didattiche in presenza nelle rispettive province in considerazione “dell’incremento significativo di nuovi casi di infezione del 12 ottobre ad oggi” e del fatto che “tale incremento è più sensibile nell’ambito scolastico e che comporta, conseguentemente, la necessità di effettuare screening nuovi a docenti, alunni e personale ATA.”;
– la nota del Presidente della Provincia di Cosenza, nella quale egli, rappresentando la drammaticità del momento, ha invitato tutti i sindaci della provincia di Cosenza a valutare l’ipotesi di sospensione della didattica in presenza per 15 gg. pur essendo “fortemente convinto che la didattica in presenza sia un importante baluardo sociale soprattutto per gli studenti più giovani”;
– le lungaggini imputabili alla congestione nell’attività di processazione dei tamponi molecolari eseguiti dal dipartimento di prevenzione presso l’ASP di Cosenza con conseguente sottostima nella rilevazione – all’attualità – del dato epidemiologico su base provinciale;
– l’oggettiva conseguente difficoltà dell’ASP territorialmente competente di segnalare tempestivamente il caso di positività ai fini della sottoposizione a quarantena obbligatoria con correlati processi di sorveglianza attiva;
– ha considerato la derivante impossibilità di emettere tempestivamente provvedimenti restrittivi della libertà personale;
– il grave rischio per la popolazione residente in quanto, in molti casi, soggetti risultati contagiati con positività rilevate dai c.d. test rapidi (strumenti di rilevazione di antigeni nucleoproteici virali sarscov-2) non vengono sottoposti alle previste misure cautelative, con conseguente potenziale incremento della diffusione del contagio;
– l’impossibilità di avere un quadro chiaro ed attualizzato in ordine alla presenza di eventuali contagi all’interno degli istituti scolastici cittadini, non agevolmente rilevabile neanche a livello presuntivo avuto riguardo all’alto tasso di soggetti c.d. positivi asintomatici, derivante in gran parte dalle richiamate lungaggini nell’effettuazione delle indagini epidemiologiche riguardanti i c.d. “contatti stretti”;
– la fragilità dell’organizzazione sanitaria regionale, come evidenziata a diversi livelli istituzionali, non adeguata a fronteggiare un eccessivo diffondersi dell’epidemia;
– il fatto che i bambini, in quanto molto spesso asintomatici, sono un grande veicolo del virus per come rilevato da autorevoli esponenti della comunità scientifica;
– subordinatamente, che la ripresa delle attività in presenza (che l’ordinanza regionale – a tale data sospesa – aveva previsto per il 30.11.2020) richiede tempi necessari per la pulizia e l’eventuale sanificazione degli ambienti rimasti chiusi per diversi giorni e che, pertanto, si rende ulteriormente necessario, per questo motivo, disporre per un ulteriore periodo la sospensione delle attività in
presenza fino al 28 novembre 2020.
3- Con la successiva ordinanza n. -OMISSIS- del 2020 il Sindaco ha disposto la proroga dell’ordinanza n.-OMISSIS-.
3.1- A tal fine il Sindaco:
-ha preso atto che il Ministro della Salute, con ordinanza del 27.11.2020, ha disposto per la Calabria l’applicazione delle misure di contenimento dello scenario 2 caratterizzato da una elevata gravità e da un livello di rischio alto, degradando la Calabria da zona rossa a zona arancione per la quale valgono le misure stabilite dall’art. 2 del DPCM del 3 novembre 2020, tra le quali, in particolare, con riferimento alle scuole, la previsione della didattica in presenza per le scuole dell’infanzia, per le primarie e per le secondarie di primo grado;
-ha considerato, tuttavia, che il DPCM del 3 novembre è in scadenza e che è allo studio da parte del Governo una nuova bozza di DPCM, preso atto della necessità di continuare a contenere il dilagare del virus che è ancora in crescita, nonostante un progressivo rallentamento dovuto alle misure in atto dallo scorso 03 novembre;
-ha ritenuto opportuno, nell’attesa che il Governo emani nuovo DPCM continuare a mantenere sospesa la didattica in presenza per le scuole dell’infanzia, le scuole primarie e le scuole secondarie di primo grado;
-ha considerato che i rischi di contagio sono ancora molto elevati e tali da richiedere un’allerta alta ed il mantenimento delle misure di contenimento più rigide come quelle finora adottate con riferimento al mondo della scuola;
-ha altresì considerato che, senza l’adozione delle misure contenimento adottate, l’incremento dei casi di positività sarebbe stato di sicuro esponenziale;
-ha considerato la lettera inviata a tutti i Sindaci della Provincia di Cosenza dai pediatri di famiglia con la quale, in considerazione di tutta una serie di elementi di valutazione, che qui si intendono integralmente trascritti, di carattere medico e non solo, si auspica il permanere della didattica a distanza per tutto il mese di dicembre;
-ha preso atto della fragilità dell’organizzazione sanitaria regionale, come evidenziata a diversi livelli istituzionali, non adeguata a fronteggiare un eccessivo diffondersi dell’epidemia;
-ha dato atto che i bambini, in quanto molto spesso asintomatici, sono un grande veicolo del virus per come rilevato da autorevoli esponenti della comunità scientifica.
4- I citati provvedimenti vengono impugnati per i seguenti motivi di diritto:
1. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO COSTITUZIONALE DI PIENEZZA ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE. VIOLAZIONE ED ELUSIONE DI STATUIZIONI DEL DECRETO CAUTELARE N.-OMISSIS- DEL 14.11.2020. VIOLAZIONE D.M. N. 39 DEL 26.06.2020 DI APPROVAZIONE DEL PIANO SCUOLA 2020/21 E CD. PROTOCOLLO COVID. VIOLAZIONE COMMA 16-BIS DELL’ART. 1 DEL D.L. N. 33/2020, CONVERTITO DALLA L. N. 74/2020, INSERITO DALL’ART. 30 DEL D.L. 9.11.2020, N. 149. CARENZA DEI PRESUPPOSTI. SVIAMENTO DI POTERE.
2. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 1 E 2 DEL DECRETO LEGGE N. 19/2020, CONVERTITO, CON MODIFICAZIONI, DALLA LEGGE N. 35/2020 E DEL DECRETO-LEGGE 16 MAGGIO 2020, N. 33, CONVERTITO, CON MODIFICAZIONI, DALLA LEGGE 14 LUGLIO 2020, N. 74/2020. VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE ART. 34 COST.. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E PER LA GENERICITA’ DELLA MOTIVAZIONE, DEL TUTTO APODITTICA E SOLTANTO APPARENTE. VIOLAZIONE ART. 3 LEGGE N. 241/1990. ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DEI PRESUPPOSTI, PERPLESSITA’, ABNORMITA’ SPROPORZIONALITÀ, TRAVISAMENTO DEI FATTI. VIOLAZIONE DEL MINISTRO DELLA SALUTE DEL 27 NOVEMBRE 2020.
4.1- In sintesi, rilevano i ricorrenti che, a seguito del D.P.C.M. del 3.11.2020 (con cui sono state istituite tre fasce di rischio su base regionale con misure progressivamente più stringenti in base alla gravità della situazione epidemiologica del singolo territorio) con ordinanza del 27.11.2020 il Ministro della Salute ha trasferito la Calabria dalla zona rossa, ove era collocata, alla zona arancione, alla luce della rimodulazione dello stato di rischio epidemiologico in melius, circostanza che comporterebbe, in base al D.P.C.M. del 3.11.2020, l’estensione dell’attività didattica in presenza a tutte le scuole dell’infanzia, primarie ed alle scuole secondare fino alla terza media. Le impugnate ordinanze contingibili e urgenti si porrebbero dunque in netto contrasto con la disciplina di coordinamento nazionale contenuta nel predetto D.P.C.M. del 3.11.2020.
In secondo luogo, rilevano i ricorrenti che, all’inizio dell’anno scolastico. il Ministero dell’Istruzione aveva emanato una circolare (“Protocollo COVID”), ove venivano previste le ipotesi di contenimento del contagio all’interno degli istituti scolastici, nessuna delle quali prevede la sospensione indiscriminata dell’intera attività didattica nel caso in cui venga accertato uno o più positivi in una classe e/o in un istituto, ragion per cui la chiusura di altri istituti estranei alle frequentazioni di un soggetto positivo non sarebbe, quindi, una misura ritenuta idonea dal Ministero dell’Istruzione, sentito il parere del Comitato Tecnico Scientifico, ai fini del contenimento del contagio da nuovo coronavirus.
Ancora più in generale, le ordinanze impugnate sarebbero viziate da carenza dei presupposti richiesti dalla legge per l’attivazione di tale istituto e, in particolare ma non esclusivamente, di insufficiente istruttoria tecnico-scientifica, oltre che di un’errata prospettazione della realtà e dei relativi presupposti, anche in termini di nesso causale tra frequenza scolastica e diffusione del virus.
5- Con decreto monocratico n. -OMISSIS-, pubblicato il 3.2.2020, veniva accolta l’istanza di misure cautelari monocratiche provvisorie con sospensione dell’ordinanza sindacale n.-OMISSIS- del 29.11.2020 (essendo l’ordinanza n. -OMISSIS-/2020 spirata per decorso del termine), ritenendo sussistere il fumus boni iuris relativamente ai presupposti del provvedimento impugnato nonché alle carenze istruttorie e motivazionali, con fissazione della camera di consiglio del 13.1.2021 per la trattazione collegiale dell’istanza cautelare.
6- Con memoria depositata il 5.12.2020 i ricorrenti hanno rappresentato l’interesse tuttora ad una pronuncia nel merito, anche ai sensi dell’art. 60 c.p.a.. pur essendo spirato il termine di efficacia delle ordinanze sindacali impugnate.
7- Con atto depositato il 7.1.2021 si è costituita l’Amministrazione Comunale di Paola chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso inammissibile o, in ogni caso, respingerlo perché infondato.
7.1- In particolare, l’amministrazione comunale:
-eccepisce la carenza di interesse dei ricorrenti, rilevando che, non avendo l’ordinanza impugnata disposto la chiusura delle scuole bensì lo svolgimento della D.A.D., i ricorrenti non hanno quanto meno allegato che i loro figli, in concreto e non solo in ipotesi, non fossero stati posti nella possibilità di fruire della didattica digitale a distanza disposta dalle ordinanze in questione, nel limitato arco temporale di loro efficacia, da parte degli istituti scolastici di appartenenza.
-contesta la fondatezza del ricorso alla luce del fatto che la scelta di chiudere i plessi scolastici per sottoporli ad operazioni di natura materiale (pulizia e sanificazione) finalizzate alla migliore e più sicura accoglienza degli alunni, dopo un periodo di sospensione della frequenza in presenza e in una situazione di innegabile emergenza sanitaria, costituisce espressione di discrezionalità tecnica, quanto alla chiusura per la prevista sanificazione sarebbe incensurabile nel merito, salvi eventuali profili di erroneità, di illogicità, ovvero sviamento di potere, ritenuti insussistenti;
-allega il fatto che gli impugnati provvedimenti sono stati adottati nel rispetto del principio di precauzione (principio riconosciuto idoneo, anche in sede giurisprudenziale, a giustificare provvedimenti di caratura analoga a quelli impugnati), tenendo conto dell’andamento epidemico nella città e la situazione nell’ambito scolastico, nonché del ritardo nella comunicazione del rilevamento dei nuovi casi di positività (che non consentirebbe al Comune di avere conoscenza tempestiva dell’evoluzione dell’epidemia) e del ritardo nella processazione dei tamponi.
8- Alla Camera di consiglio del 13.1.2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
DIRITTO
9- Preliminarmente va esaminata l’eccezione di carenza di interesse dei ricorrenti, formulata dall’Amministrazione Comunale.
9.1- L’eccezione è infondata.
9.2- I ricorrenti hanno allegato il fatto che i loro figli siano tutti studenti degli Istituti scolastici ricadenti nel territorio del Comune di Paola e l’amministrazione resistente non ha contestato tale qualità.
9.2- Tanto basta, ad avviso del Collegio, per radicare un loro interesse a ricorrere, in termini di differenziazione e qualificazione della loro posizione. Né può dubitarsi seriamente dell’esistenza di un bene della vita, cui essi aspirano e leso dal provvedimento impugnato, atteso che questi censurano la legittimità dei provvedimenti sindacali che, inibendo, sia pure temporaneamente, l’attività didattica “in presenza”, ossia all’interno dei locali scolastici, hanno conseguenzialmente limitato il pieno ed integrale sviluppo psico-fisico, tanto in termini di apprendimento quanto in termini di relazioni interpersonali, aspetti particolarmente sensibili viepiù in età scolare e non surrogabili in termini equipollenti dalla didattica “da remoto”.
10- Tanto chiarito, rileva il Collegio che i ricorrenti insistono perché, non essendo più utile una decisione cautelare, il Tribunale si pronunci con sentenza breve accogliendo il loro ricorso, per il quale sussisterebbe ancora interesse benché il provvedimento impugnato fosse destinato a produrre effetti per un arco temporale già trascorso al momento della trattazione del ricorso in camera di consiglio e sia stato comunque revocato dopo l’emanazione del decreto cautelare monocratico del Presidente di questo Tribunale.
10.1- Il Tribunale si riporta, sul punto, a quanto già osservato nella pronuncia all’esito del giudizio avverso la precitata ordinanza n.-OMISSIS- del 2020 (sentenza n. -OMISSIS- del 18.12.2020) ritenendo, da un lato, che sussista tuttora l’interesse dei ricorrente a una pronuncia nel merito, per come sarà ultra illustrato e, dall’altro lato, osservando che anche nella presente controversia sia opportuno rendere sin d’ora sentenza ai sensi dell’art. 60 c.p.a., tenuto conto che la possibilità che il giudice amministrativo chiuda il processo con sentenza immediata presuppone solo la proposizione dell’istanza cautelare, ma non anche la permanenza dell’interesse della parte (o delle parti) alla decisione di tale domanda (cfr., tra le tantissime, Cons. Stato, Sez. V, 28 luglio 2015, n. 3718; TAR Calabria – Reggio Calabria, 2 ottobre 2018, n. 589; TAR Veneto, Sez. III, 23 luglio 2018, n. 799; TAR Puglia – Bari, Sez. III, 13 gennaio 2012, n. 178)
10.2 – Quanto alla persistenza dell’interesse alla decisione del ricorso, osserva il Collegio che, se è vero che di regola l’interesse al ricorso viene meno allorché l’atto impugnato abbia esaurito i suoi effetti, ciò non toglie che la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante alla decisione del ricorso debba essere apprezzata caso per caso.
Come osservato anche in una recente pronuncia (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 24.9.2020, n. -OMISSIS-), il Tribunale ha ritenuto che i ricorrenti avessero mantenuto l’interesse ad affermare la sua illegittimità, anche allo scopo di orientare per il futuro l’operato dell’amministrazione regionale (cfr. anche T.A.R. Toscana, Sez. II, 20.6.2020, n. 848). Non si tratta, è stato precisato, di svolgere un inammissibile sindacato giurisdizionale su poteri non ancora esercitati dall’amministrazione, in quanto è evidente che il Tribunale può solo sindacare la legittimità del provvedimento impugnato; piuttosto, si tratta di riscontrare l’eventuale sussistenza di profili di illegittimità lamentati, di modo che l’amministrazione ne possa tenere conto, nel futuro, nell’esercizio del potere pubblico.
10.3. – Tale conclusione, in effetti, si pone in armonia con la giurisprudenza che si è venuta a formare a proposito dell’impugnativa di atti suscettibili di essere reiterati nel tempo.
Infatti, si è detto che in tali casi l’effetto della sentenza del giudice amministrativo non si esaurisce nel solo annullamento dell’atto riscontrato illegittimo, ma contiene anche la regola alla quale l’amministrazione deve attenersi nel futuro (cfr. tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 19.10.1993, n. 891; Cons. Stato, Sez. IV, 1.2.2001, n. 398).
10.4 – Peraltro, proprio nella pronuncia di questo Tribunale sul calendario venatorio (la già citata sentenza n. -OMISSIS- del 2020), si è osservato che, “tenuto conto dei fisiologici tempi del processo e della limitata efficacia temporale dei calendari venatori, ritenere che venga meno l’interesse al ricorso una volta che questi ultimi abbiano cessato di produrre effetti significherebbe rendere claudicante, in una materia sensibile quale quella della tutela dell’ambiente, il diritto a ottenere una decisione sul merito del ricorso, diritto che verrebbe condizionato al dato contingente del carico sul ruolo del Tribunale Amministrativo Regionale competente e all’eventuale scelta, tuttavia non sempre possibile o auspicabile, da parte del giudice di decidere il ricorso con sentenza breve ai sensi dell’art. 60 c.p.a.”.
10.5- Le riflessioni svolte in quella sede valgono a maggior ragione nella presente vicenda, in cui la limitata efficacia temporale dei provvedimenti impugnati, incidente sul diritto costituzionalmente tutelato all’istruzione, ha addirittura impedito che il ricorso fosse trattato collegialmente prima che il provvedimento cessasse di produrre i suoi effetti.
È evidente che solo una pronuncia, sia pure postuma, sul merito del ricorso possa soddisfare il diritto alla difesa avverso gli atti della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 24 e 113 Cost.
11. Venendo al contenuto dell’odierna controversia, come già osservato nel proprio precedente costituito dalla succitata sentenza n. -OMISSIS- del 2020, sul piano normativo il ruolo centrale è assunto dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, conv. con mod. con l. 22 maggio 2020, n. 35, per come risultante dai successivi interventi modificativi e interpolativi prodotti dal d.l. maggio 2020, n. 33, conv. con mod. con l. 14 luglio 2020, n. 74, dal d.l. 30 luglio 2020, n. 83, conv. con mod. con l. 25 settembre 2020, n. 124, e dal d.l. 7 ottobre 2020, n. 125.
L’art. 1 prevede, per quel che in questa sede rileva, che, allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate una o più misure che, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, possono prevedere, tra l’altro, la sospensione dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del d.lgs. 13 aprile 2017, n. 65, e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado.
Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di emanare, con d.P.C.M., tali misure sentiti, come precisato dall’art. 1, comma 5 d.l. n. 83 del 2020, i presidenti delle Regioni interessate nel caso in cui le misure ivi previste riguardino esclusivamente una Regione o alcune Regioni, ovvero il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale.
L’art. 3, comma 1 del d.l. n. 19 del 2020, letto in combinazione con l’art. 1, comma 16 d.l. n. 33 del 2020, consente alle Regioni di adottare misure di efficacia locale “nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”. Ciò è attualmente possibile, in relazione all’andamento della situazione epidemiologica sul territorio, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui si è detto, informando contestualmente il Ministro della Salute. Le misure possono derogare in senso restrittivo rispetto a quelle disposte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, oppure, nei soli casi e nel rispetto dei criteri previsti dai citati decreti e d’intesa con il Ministro della Salute, anche ampliative.
Il comma 3 dell’art. 3, infine, precisa che “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”.
11.1 – Questo Tribunale Amministrativo Regionale ha avuto modo di chiarire (cfr. TAR Calabria – Catanzaro, 9 maggio 2020, n. 841) che la legislazione in questione trova giustificazione nella competenza legislativa attribuita in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, comma 2, lett. q) Cost. in materia di “profilassi internazionale”.
Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di “tutela della salute” e “protezione civile”, letto in connessione con l’art. 118, comma 1 Cost.
Il principio di sussidiarietà posto da tale ultima norma impone che, trattandosi di emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia operata al livello amministrativo unitario, con attrazione in capo allo Stato anche della competenza legislativa.
È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla sentenza dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta teorizzato la c.d. chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto, Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278).
11.2 – Al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, le misure di contrasto all’epidemia erano quelle assunte con d.P.C.M. 3.11.2020.
Con l’art. 1 di tale decreto sono state individuate alcune misure valide su tutto il territorio nazionale, precisando comunque, all’art. 1, comma 7, lett. s), che l’attività didattica ed educativa per la scuola dell’infanzia, il primo ciclo di istruzione e per i servizi educativi per l’infanzia continua a svolgersi in presenza, con uso obbligatorio di dispositivi di protezione delle vie respiratorie salvo che per i bambini di età inferiore ai sei anni e per i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina.
Con i successivi artt. 2 e 3 sono state individuate misure più restrittive rispettivamente per le Regioni che, dal punto di vista epidemiologico, si collocano rispettivamente in uno “scenario di tipo 3” e con un livello di rischio “alto” (c.d. Regioni arancioni) e per quelle che si collocano in un “scenario di tipo 4” e con un livello di rischio “alto” (c.d. Regioni rosse).
Persino in quest’ultima ipotesi rimane fermo lo svolgimento in presenza della scuola dell’infanzia, della scuola primaria, dei servizi educativi per l’infanzia e del primo anno di frequenza della scuola secondaria di primo grado (art. 2 art. 3, comma 4, lett. f))
11.3 – E in effetti, con specifico riferimento al sistema scolastico, sono stati elaborati plurimi atti e documenti indirizzati al contrasto e al contenimento della diffusione del Covid-19 nelle scuole del sistema nazionale di istruzione.
Si tratta, in particolare:
a) del Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione per l’anno scolastico 2020/2021, adottato dal Ministro in data 26 giugno 2020;
b) del precedente Documento tecnico approvato in data 28 maggio 2020 dal Comitato Tecnico Scientifico insediato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per la gestione dell’emergenza epidemica, cui fa rinvio il c.d. piano scuola 2020/2021 per ciò che concerne le misure contenitive e organizzative e di prevenzione e protezione da attuare nelle singole istituzioni scolastiche per la ripartenza;
c) delle Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia, elaborato dall’Istituto Superiore della Sanità in data 28 agosto 2020 all’esito dei lavori del gruppo di lavoro con Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Emilia-Romagna, Regione Veneto.
d) del protocollo di intesa stipulato con le organizzazioni sindacali in data 6 agosto 2020.
12. – Così ricostruita il sistema istituzionale di risposta all’emergenza epidemiologica in atto, si delineano in negativo e per sottrazione gli spazi entro i quali è possibile l’uso, da parte dei sindaci, del potere di ordinanza contingibile e urgente.
12.1 – Va premesso che il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con mod. con l. 11 settembre 2020, n. 120, ha abrogato il comma 2 dell’art. 3 d.l. n. 19 del 2020, il quale stabiliva che i Sindaci “non potessero adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza” che si ponessero “in contrasto con le misure statali” ovvero eccedessero i limiti delineati anche per i provvedimenti del Presidente della Regione.
Ma tale abrogazione non comporta che il potere di ordinanza contingibile e urgente dei Sindaci possa essere utilizzato ad libitum, quanto piuttosto che i presupposti, le finalità e i limiti del potere di decretazione d’urgenza rimangono quelli ordinari.
12.2. – Invero, il fondamento normativo del potere sindacale di ordinanza, in caso di emergenza sanitaria, è da individuare nell’art. 32, comma 3, l. 23 dicembre 1978, n. 833, e nell’art. 50 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
In via generale, il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente è stato ritenuto dalla giurisprudenza (cfr. da ultimo e tra le molte, Cons. Stato, Sez. II, 11 luglio 2020, n. 4474) ammissibile unicamente al fine di fronteggiare con immediatezza sia una situazione di natura eccezionale ed imprevedibile, sia una condizione di pericolo imminente al momento dell’adozione dell’ordinanza.
12.3. – Nel contesto dell’epidemia in corso, dove è stato già messo in atto un articolato sistema di risposta all’emergenza, con l’adozione di misure di mitigazione del rischio epidemico via via più restrittive a seconda della concreta situazione del territorio regionale, il potere di ordinanza sindacale è quindi limitato ai casi in cui sia necessaria una risposta urgente – che vada al di là delle misure adottate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai Ministri competenti ed, eventualmente, dalle singole Regioni – a specifiche situazioni che interessino il territorio comunale.
12.4. – In altre parole, il Sindaco non può sostituire il proprio apprezzamento, per quanto prudente e ponderato, alla valutazione epidemiologica e al bilanciamento degli interessi operato dall’Autorità governativa e, eventualmente, dalle singole Regioni.
Innanzitutto perché, contrariamente opinando, la naturale pluralità di misure adottate dai sindaci minerebbe la risposta unitaria e organica a una crisi sanitaria di carattere planetaria; non a caso, proprio con riferimento all’emergenza sanitaria attualmente in atto, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che “in presenza di emergenze di carattere nazionale (…), pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali” (Cons. Stato, Sez. I, parere 7 aprile 2020, n. 735). Ma soprattutto perché, sul piano strettamente normativo, non sussistono quegli ambiti di “vuoto ordinamentale” nel contesto del quale è ammissibile l’esercizio di poteri contingibili e urgenti.
Invero, come è stato acutamente osservato dalla dottrina costituzionalistica, nell’odierno contesto emergenziale, una volta intervenuti i decreti governativi, non è preclusa l’adozione di ordinanze sindacali, ma il potere di ordinanza non può sovrapporsi ai campi già regolati dalla normazione emergenziale dello Stato, restando libero di intervenire solo in quelli lasciati scoperti (ancorché con il limite del necessario rispetto del bilanciamento tra principi e diritti costituzionali diversi operato in sede centrale) e in presenza di specifiche esigenze locali
12.5. – In sintesi, nel contesto dell’emergenza derivante dall’epidemia di Covid-19, l’ordinanza contingibile e urgente è adottabile dal sindaco a fronte di situazione proprie del territorio comunale, che, per la loro specificità o per la loro improvvisa manifestazione non sono state considerate in sede di adozione delle misure a carattere nazionale o regionale.
Va da sé che a monte dell’adozione di tale provvedimento extra ordinem vi deve essere un’istruttoria adeguata, basata su dati oggettivi e scientificamente attendibili, e una motivazione congrua (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29 maggio 2019, n. 3580).
12.6. – Ciò è ancor più vero con riferimento alle modalità di istruzione scolastica, laddove vi è a monte la decisione, contenuta del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di continuare a consentire lo svolgimento in presenza della scuola dell’infanzia, della scuola primaria, dei servizi educativi per l’infanzia, del primo anno di frequenza della scuola secondaria di primo grado, anche nelle Regioni con il più alto rischio epidemiologico.
E laddove vi è una puntigliosa regolamentazione delle modalità di svolgimento delle lezioni, intesa a minimizzare il rischio di contagi.
In questa materia, dunque, i vari interessi coinvolti, quello alla salute, quello all’istruzione, quello allo svolgimento della personalità dei minori e degli adolescenti in un contesto di socialità, sono stati bilanciati e ricomposti a livello nazionale, peraltro con modalità tali da garantire una flessibile risposta ai diversi gradi di emergenza epidemiologica.
12.7. – In proposto, il Tribunale deve ricordare che, se è innegabile che il diritto alla salute è al vertice dei diritti sociali, perché consente all’individuo di godere delle libertà e degli altri diritti che la Repubblica riconosce, nondimeno il diritto all’istruzione si colloca poco dietro.
Esso è il principale strumento con cui lo Stato provvede, ai sensi dell’art. 3, comma 2, a rimuovere, specie nei territori più svantaggiati, gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Attraverso l’istruzione, inoltre, si hanno più ampie prospettive di accesso al lavoro su cui la Repubblica è fondata.
12.8. – Dunque, il bilanciamento tra i due diritti in un contesto di epidemia non può essere demandato all’intervento, per sua natura episodico e frammentario, dei Sindaci, i quali avranno potere di emettere ordinanza contingibile e urgente negli scarsi “spazi liberi” la sciati dalla regolamentazione nazionale e con i limiti già sottolineati.
12.9. – Peraltro, non si può omettere di ricordare che il principio di precauzione, cui pure questo Tribunale ha riconosciuto un rilievo primario (cfr. la già citata sentenza del maggio 2020, n. 841), non può essere invocato oltre ogni limite, ma secondo il principio di proporzionalità, come ricordato tanto dall’insegnamento, nelle materie di competenza dell’Unione europea, dalla Corte di Giustizia (cfr. CGUE, Sez. I, 9 giugno 2016, in causa C-78/2016, Pesce), tanto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85, sul bilanciamento tra valori dell’ambiente e della salute da un lato e della libertà di iniziativa economica e del diritto al lavoro dall’altro) quanto dalla giurisprudenza amministrativa, che puntualizza come il principio di precauzione sia da leggere tuttavia in uno con quello di proporzionalità (T.A.R. Lazio, Sez. 3-quater, 5.10.2020, n. 10081).
Dunque, la doverosa necessità di tutelare la salute non può risolversi in una tirrania di questo diritto rispetto alle altre libertà e agli altri diritti fondamentali, dovendosi ricordare che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri (ancora Corte cost. n. 85 del 2013).
13. – Venendo al caso di specie, l’ordinanza oggetto di impugnativa, per come denunciato dai ricorrenti, si pone al di fuori dei limiti delineati ai §§ che precedono.
13.1. – Come già sottolineato in sede di decreto monocratico, il provvedimento contingibile e urgente non tiene conto delle disposizioni di cui al D.P.C.M. del 3.11.2020 che scontano la possibilità di effettuare attività didattiche “in presenza” nella scuola materna, in quella elementare e nella prima media perfino in zona rossa nonché di quelle del Ministero dell’Istruzione, queste ultime (vedi cd. protocollo COVID e D.M. n.39 del 26/6/20 di approvazione del Piano Scuola 2020/21) configuranti modalità di gestione dell’impatto epidemico, sia a livello di prevenzione del rischio e sia in relazione ad eventuali casi di contagio riscontrati in ambito scolastico, volte a contemperare l’emergenza con l’ordinaria attività didattica in presenza per gli alunni in questione proprio al fine di prevenire qualsiasi blocco delle attività didattiche in presenza a carico addirittura di interi istituti.
13.2- Anche sul versante istruttorio (che, come è stato osservato, dovrebbe essere basata su dati oggettivi e scientificamente attendibili e pregnanti) sono rinvenibili significative carenze.
È infatti inidoneo, a tal fine, il riferimento alla lettera inviata ai sindaci della provincia di Cosenza da parte di non meglio individuati pediatri di famiglia (auspicanti il permanere della didattica a distanza per tutto il mese di dicembre) perché, a prescindere da ogni altra considerazione, non vengono inseriti nel corpo motivazionale né si mettono in altro modo a disposizione gli “elementi di valutazione” nella stessa asseritamente riportati cui si fa invece solo rinvio.
D’altronde, anche nella ordinanza sindacale n.-OMISSIS- del 24/11/2020, pure impugnata e richiamata nella successiva ordinanza n. -OMISSIS-/2020, si ammette di non avere un quadro chiaro e attualizzato in ordine alla presenza di “eventuali contagi” nelle scuole cittadine, neppure “a livello presuntivo” ponendosi tuttavia rimedio a tali dubbi col blocco generale e indiscriminato delle lezioni in presenza.
L’assenza di dati precisi, scientificamente attendibili, che evidenzino la presenza, nel territorio comunale, di una situazione così peculiare e grave, in termini di specificità o di improvvisa manifestazione, da non essere stata considerata in sede di adozione delle misure a carattere nazionale o regionale e, quindi, del tutto incompatibile con il quadro elaborato a tale livello, rende censurabile l’esercizio del potere di ordinanza da parte del Sindaco.
D’altro canto, non può l’assenza di tali dati essere equiparata, come invece auspica l’amministrazione in sede di scritti difensivi, ad un’acquisizione istruttoria positiva (nel senso della possibilità che una parte rilevante dei tamponi in corso di processazione potesse risultare positiva, con l’ulteriore possibile conseguenza che la curva di crescita, ritenuta già preoccupante, possa aggravarsi ulteriormente), restandosi invece, in difetto di elementi oggettivi, nell’ambito delle mere congetture, inidonee come tali a “stressare” il principio di precauzione fin quasi ad assolutizzarlo.
13.3- Le carenze istruttorie si riverberano, a loro volta, anche sul profilo motivazionale, anch’esso debole e, conseguenzialmente, censurabile.
D’altronde, come già osservato in sede di tutela monocratica, depone in tal senso anzitutto lo stesso preambolo della motivazione, la quale, a fronte di una situazione costituita dal “progressivo rallentamento [della curva epidemica n.d.r.] dovuto alle misure in atto dallo scorso 3 novembre”, trend di cui si dà atto, e della circostanza del recente inserimento (dal 29.11.2020) della Calabria in “zona arancione”, sopravvenienza che consente la ripresa delle lezioni in presenza anche degli alunni di seconda e terza media, descrive – in termini vaghi ed indimostrati – l’andamento epidemiologico sul territorio di Paola e dunque non rende conto di evidenti situazioni sopravenute o non considerate dal D.P.C.M. o specificità locali tenute presenti dal Sindaco di Paola per giustificare il ricorso al potere di ordinanza contingibile e urgente.
In secondo luogo, non vengono inseriti nel corpo motivazionale, né si mettono in altro modo a disposizione gli “elementi di valutazione” nella stessa asseritamente riportati, cui l’ordinanza fa solo rinvio e che, si soggiunge, non vengono rappresentati – sia pure nei limiti comunque compatibili con il divieto di motivazione postuma – neanche in sede giudiziaria.
Si soggiunge, peraltro, che il provvedimento impugnato -trascurando il fenomeno, presente soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, del cd. divario digitale- non verifica la effettiva possibilità per tutti gli alunni di accedere pienamente a modalità didattiche “a distanza” sostitutive della presenza in aula, come del resto si evince dal dispositivo che sospende le attività didattiche in presenza prescindendo dalla garanzia della realizzabilità di dette modalità sostitutive.
13.4- Le conclusioni ora rassegnate non risultano scalfibili dalle argomentazioni dell’amministrazione resistente in merito al ritardo nel rilevamento e della comunicazione dei nuovi casi di positività, comunicato dai competenti organi della locale azienda sanitaria, o nell’accertato ritardo nella processazione dei tamponi che, comportando, l’impossibilità del tracciamento dei contatti di un nuovo positivo, in tempi rapidi e tempestivi per circoscrivere la catena del contagio, avrebbe suggerito, proprio nell’ottica della prevenzione, di attivare lo strumento contingibile e urgente.
Come parimenti osservato nella citata pronuncia n. -OMISSIS- del 2020, la debolezza del sistema sanitario regionale, le difficoltà del tracciamento, l’eventuale (ma allo stato notoriamente oggetto di discussione nella comunità scientifica, come si argomenta da ambo le parti) ruolo degli studenti nella diffusione del virus, d’altro canto, sono elementi che in parte sono comuni all’intera comunità nazionale, e che, in quanto specificamente accentuati nella Regione Calabria, sono stati presi in considerazione allorché al territorio regionale sono state applicate le misure di contenimento dell’epidemia mediante il collocamento nelle rispettive zone in base all’andamento epidemiologico.
13.5- Non appare, infine, un fuor d’opera ribadire che, in controversia distinta dalla presente ma attinente provvedimenti urgenti di chiusura delle scuole a livello regionale, anche il Consiglio di Stato, sia pure con l’interinalità propria della tutela cautelare monocratica, ha avuto modo di osservare che la rilevanza costituzionalmente garantita del diritto alla istruzione e la rilevanza del contesto di socialità specialmente per gli alunni più giovani implica che i provvedimenti di chiusura delle scuole debbano essere motivati con dati scientifici evidenzianti il collegamento tra focolai attivi sul territorio e impatto dell’attività scolastica in presenza (Cons. Stato, Sez. III, decreto n. 18/2021 pubblicato l’11.1.2021).
13.6- Per quanto finora esposto, il ricorso deve essere accolto, con annullamento dei provvedimenti impugnati.
14- Quanto alla domanda risarcitoria, ritiene il collegio doverla rigettare.
14.1- Osserva la giurisprudenza che “Il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo effettivamente si collega e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa dell’Amministrazione, quanto all’elemento soggettivo, da ultimo citato, l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’Amministrazione, sicché la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento e per la complessità della situazione di fatto” (ex plurimis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 14/10/2020, n.4513, Cons. St., sez. III, 18 giugno 2020 n. 3903).
È stato altresì osservato che “il “danno da provvedimento illegittimo” è soggetto ad un puntuale onere probatorio in capo al soggetto che ne richieda il risarcimento, non costituendo una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo illegittimo. (…) infatti, non soccorre il metodo acquisitivo; né l’esistenza del danno stesso potrebbe essere presunta quale conseguenza dell’illegittimità provvedimentale in cui l’Amministrazione sia incorsa” (Cons. giust. amm. Sicilia , sez. giurisd. , 15/10/2020 , n. 914).
14.2- Nel caso controverso, parte ricorrente fonda precipuamente la domanda sull’illegittimità del provvedimento impugnato senza adeguato corredo, in termini di allegazione e di prova, in ordine alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del danno risarcibile, come lumeggiati dalla succitata giurisprudenza.
Peraltro, l’intervenuta sospensione mediante provvedimento monocratico adottato a brevissima distanza dal provvedimento impugnato determina l’assenza di un pregiudizio da ritenersi significativamente apprezzabile.
15- Le spese di lite sono regolate vanno poste a carico dell’amministrazione resistente secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– accoglie la domanda di annullamento e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;
-rigetta la domanda di risarcimento danni.
Condanna il Comune di Paola in persona del Sindaco in carica, alla rifusione, in favore dei ricorrenti, delle spese e competenze di lite, che liquida nella misura di € 1.500,00, comprensive del contributo unificato, oltre alle spese generali nella misura del 15%, nonché oltre a IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Pennetti, Presidente
Francesco Tallaro, Primo Referendario
Domenico Gaglioti, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Domenico Gaglioti
IL PRESIDENTE
Giancarlo Pennetti
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto sanitario Numero: 4 | Data di udienza: 14 Gennaio 2021DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID-19 – Pandemia – Materia della profilassi internazionale – Competenza esclusiva dello Stato – L.r. Valle d’Aosta n. 11/2020 – Misure di contenimento della diffusione del virus – Sospensione dell’efficacia.
Provvedimento: Ordinanza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Gennaio 2021
Numero: 4
Data di udienza: 14 Gennaio 2021
Presidente: Coraggio
Estensore: Barbera
Premassima
DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID-19 – Pandemia – Materia della profilassi internazionale – Competenza esclusiva dello Stato – L.r. Valle d’Aosta n. 11/2020 – Misure di contenimento della diffusione del virus – Sospensione dell’efficacia.
Massima
CORTE COSTITUZIONALE – 14 gennaio 2021, ordinanza n. 4
DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID-19 – Pandemia – Materia della profilassi internazionale – Competenza esclusiva dello Stato – L.r. Valle d’Aosta n. 11/2020 – Misure di contenimento della diffusione del virus – Sospensione dell’efficacia.
La pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost. Sussistendo il rischio di un grave e irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia (peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione) nonché il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per la salute delle persone (art. 35 della legge n. 87 del 1953), va pertanto sospesa l’efficacia della Regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11(Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza).
Pres. Coraggio, Est. Barbera – Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
Allegato
Titolo Completo
CORTE COSTITUZIONALE – 14 gennaio 2021, ordinanza n. 4
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sull’istanza di sospensione dell’intera legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza), nonché, in particolare, degli artt. 2, commi 4, 6, 7, 9, da 11 a 15, 18 e da 20 a 25, e 3, comma 1, lettera a), nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 21 dicembre 2020, depositato in cancelleria il 21 dicembre 2020, iscritto al n. 101 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2021 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati dello Stato Sergio Fiorentino e Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;
deliberato nella camera di consiglio del 14 gennaio 2021.
Ritenuto che, con ricorso notificato a mezzo pec e depositato il 21 dicembre 2020 (reg. ric. n. 101 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’intera legge della Regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza), in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 117, secondo comma, lettere m), q), h), e terzo comma, nonché 118 e 120 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione;
che la legge regionale impugnata disciplina la gestione regionale dell’emergenza epidemiologica indotta dalla diffusione del virus Covid-19;
che, a parere del ricorrente, l’intera legge regionale impugnata eccede le competenze statutarie;
che la materia da essa trattata sarebbe da ricondurre alla competenza esclusiva statale in tema di profilassi internazionale (art. 117, secondo comma, lettera q, Cost.), e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), oltre che a principi fondamentali della materia tutela della salute, tali da imporsi anche all’autonomia speciale;
che l’intera legge regionale impugnata avrebbe, invece, dato luogo ad un meccanismo autonomo ed alternativo di gestione dell’emergenza sanitaria, «cristallizzando con legge» una situazione che la normativa statale consente alle Regioni di gestire «esclusivamente in via amministrativa»;
che tale assetto corrisponderebbe alla necessità di una gestione unitaria della crisi, di carattere internazionale, anche in ragione della allocazione delle funzioni amministrative, da parte del legislatore statale, secondo il principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.), e a seguito di una «parziale attrazione allo Stato»;
che tale allocazione sarebbe stata rispettosa del principio di leale collaborazione, poiché i d.P.C.m. sono adottati, sentito il Presidente della Regione interessata o il Presidente della Conferenza delle Regioni, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale (art. 2, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19»);
che in tal modo le autonomie regionali sarebbero state vincolate all’osservanza dei d.P.C.m. quali “atti necessitati”, deputati a garantire uniformità anche sul piano della erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
che, dunque, il legislatore statale avrebbe anche determinato un principio fondamentale in materia di «tutela della salute», dal quale la legge impugnata si sarebbe discostata, in violazione per di più del principio di leale collaborazione;
che, infatti, secondo il ricorrente, le Regioni devono «esercitare i propri poteri in materia sanitaria in modo da non contraddire il contenuto delle misure statali, se del caso specificandolo a livello operativo»;
che, in particolare, e ferma l’impugnativa dell’intera legge regionale, il ricorrente censura alcune sue specifiche disposizioni;
che l’Avvocatura generale, alla luce del grave rischio per la salute pubblica comportato dalla adozione di misure meno rigorose di quelle statali, sollecita la sospensione della legge impugnata, ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);
che questa Corte costituzionale è stata convocata in camera di consiglio per pronunciarsi su tale ultimo profilo;
che, con atto depositato il 7 gennaio 2021 si è costituita la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato e che, comunque, sia rigettata l’istanza cautelare;
che la Regione ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, «stante la non chiarezza e contraddittorietà del petitum»; il ricorrente non avrebbe specificato in che rapporto si ponga l’impugnativa dell’intera legge regionale rispetto alle censure relative a specifiche disposizioni di essa;
che la competenza in tema di profilassi internazionale non sarebbe pertinente, perché le norme impugnate non costituiscono attuazione «di misure di profilassi dettate a livello internazionale»; lo stesso dovrebbe affermarsi quanto alla competenza in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, posto che la normativa statale non avrebbe approntato alcuna misura recante prestazioni a favore delle persone; il principio di leale collaborazione non sarebbe stato violato, perché esso non si applica al procedimento legislativo;
che sarebbe altresì erroneo il rinvio all’art. 118 Cost. e al principio di sussidiarietà, poiché non sarebbero state avocate, previa intesa, funzioni amministrative, ma piuttosto attività normative «ultra vires»; infatti, i d.P.C.m. adottati e richiamati dal ricorrente avrebbero natura di regolamenti, in quanto fonti del diritto generali e astratte, soggette a pubblicità e con efficacia erga omnes, che incidono su diritti di libertà presidiati dalla riserva di legge;
che il Governo non potrebbe quindi «delegare, neppure con atto di rango normativo quale il decreto-legge, la gestione normativa dell’emergenza sanitaria a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri»; tali d.P.C.m. dovrebbero perciò reputarsi inapplicabili alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, le cui competenze legislative non sarebbero comprimibili dalla fonte regolamentare; tale inapplicabilità sarebbe stata sancita anche dall’art. 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), secondo il quale le disposizioni che esso reca sono applicabili alle autonomie speciali solo se compatibili con i relativi statuti e le relative norme di attuazione. Una diversa interpretazione circa la natura dei d.P.C.m. e la loro applicabilità alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dovrebbe indurre questa Corte ad auto-rimettersi la questione di legittimità costituzionale dei decreti legge che hanno disciplinato i d.P.C.m. che si sono succeduti per affrontare l’emergenza sanitaria da Covid-19. Diversamente, sarebbero lese anche le competenze statutarie primarie assegnate dall’art. 2, comma 1, lettera d), «agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna»; lettera h), «trasporti su funivie e linee automobilistiche locali»; lettera p), «artigianato»; lettera q), «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio»; lettera r), «istruzione tecnico-professionale»; lettera s), «biblioteche e musei di enti locali»; lettera t), «fiere e mercati»; lettera u), «ordinamento delle guide, scuole di sci e dei portatori alpini», della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta);
che, inoltre, sarebbero violate le competenze attuative-integrative previste dal seguente art. 3, comma 1, lettera a), «industria e commercio»; lettera g), «istruzione materna, elementare e media»; lettera l), «igiene sanità, assistenza ospedaliera e profilattica» e lettera m), «antichità e belle arti»; nonché le competenze concorrenti in tema di tutela della salute, istruzione, ordinamento sportivo, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione delle attività culturali, e quelle residuali in tema di commercio e trasporto pubblico locale;
che, nell’esercizio di tali competenze, la legge regionale impugnata si sarebbe prefissa di contemperare gli interessi economici e sociali che fanno capo alla Regione con la necessità di contrastare la pandemia da Covid-19, attraverso misure che tenessero in conto le peculiari condizioni geografiche e abitative della Valle d’Aosta;
che, al fine di conciliare le misure applicabili sul territorio regionale con quelle statali, soccorrerebbero le ordinanze del Presidente della Giunta regionale, disciplinate dall’art. 4 impugnato;
che, alla luce di esse e nel quadro di un’interpretazione costituzionalmente orientata della legge regionale impugnata, le misure concretamente adottate sarebbero «pienamente compatibili con quelle dettate dal legislatore statale, prevedendo, nelle materie di propria competenza, un adattamento alla specificità del territorio regionale», coerente con «il decentramento delle competenze sanitarie»;
che, anche in base a quanto da ultimo previsto dall’ordinanza del Presidente della Giunta regionale 23 dicembre 2020, n. 580, la Regione afferma, per ciascuna delle misure e delle previsioni recate dall’art. 2 impugnato, la conformità alla normativa statale applicabile in base alla classificazione del rischio proprio della fascia cosiddetta gialla, nella quale la Regione sarebbe transitata;
che la censura concernente l’art. 3, comma 1, lettera a), impugnato sarebbe inammissibile, perché contraddittoriamente cita a fondamento sia la Costituzione, sia lo statuto di autonomia, e sarebbe in ogni caso infondata perché l’unità di supporto avrebbe il mero compito di coadiuvare il Presidente della Giunta regionale;
che, con riferimento alla istanza cautelare, essa sarebbe «estremamente generica»;
che non sussisterebbe alcun periculum in mora, posto che la Valle d’Aosta è attualmente tra le Regioni in “fascia cosiddetta gialla”;
che ogni pregiudizio sarebbe comunque eliminato dall’indicata ordinanza del Presidente della Giunta regionale n. 580 del 2020;
che, infine, la eventuale sospensione della legge impugnata, se l’istanza cautelare fosse accolta, non potrebbe comportare quella delle ordinanze del Presidente della Giunta regionale, sicché si genererebbe «un inaccettabile disorientamento dei cittadini»;
che l’Avvocatura generale dello Stato l’8 gennaio 2021 ha depositato memoria;
che la difesa statale controbatte alle eccezioni di inammissibilità del ricorso, osservando che è ben possibile individuare un vizio comune all’intera legge regionale impugnata, per poi subordinatamente contestare la legittimità di singole disposizioni;
che, pur dando atto che le ordinanze del Presidente della Giunta regionale costituiscono «segno di un apprezzabile self restraint delle autorità regionali», l’Avvocatura sottolinea che persistono divergenze di regolazione, anche alla luce del sopravvenuto decreto-legge 5 gennaio 2021, n. 1 (Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19);
che ciò comproverebbe il vizio radicale insito nel meccanismo della legge impugnata, che è tale da rendere applicabili misure aventi capacità di “resistenza” rispetto alla legge statale;
che l’Avvocatura replica alle ulteriori deduzioni difensive della resistente, affermando anche che non sono i d.P.C.m., ma la legge statale, a sovrapporsi del tutto legittimamente alla autonomia regionale;
che, quindi, sarebbe la legge statale a definire i principi fondamentali della materia «tutela della salute», affidando ai d.P.C.m. la specificazione di quali misure di contenimento adottare di volta in volta.
Considerato che viene in esame l’istanza di sospensione proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri ricorrente, ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e dell’art. 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
che tale istanza sollecita la sospensione dell’intera legge della Regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza);
che con tale legge regionale la Regione ha, tra l’altro, selezionato attività sociali ed economiche il cui svolgimento è consentito, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, anche in deroga a quanto contrariamente stabilito dalla normativa statale, recante misure di contrasto alla pandemia da Covid-19;
che in primo luogo va riconosciuta la sussistenza del fumus boni iuris (ordinanza n. 107 del 2010);
che infatti la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost.;
che sussiste altresì «il rischio di un grave e irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico» nonché «il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini» (art. 35 della legge n. 87 del 1953);
che difatti la legge regionale impugnata, sovrapponendosi alla normativa statale, dettata nell’esercizio della predetta competenza esclusiva, espone di per sé stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità, per il fatto di consentire misure che possono caratterizzarsi per minor rigore; il che prescinde dal contenuto delle ordinanze in concreto adottate;
che le modalità di diffusione del virus Covid-19 rendono qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione;
che i limiti propri dell’esame che è possibile condurre in questa fase cautelare impediscono una verifica analitica delle singole disposizioni contenute dalla legge regionale impugnata;
che, pertanto, l’efficacia dell’intera legge reg. Valle D’Aosta n. 11 del 2020 va sospesa nelle more della decisione delle questioni promosse, la cui trattazione è già fissata per l’udienza pubblica del 23 febbraio 2021.
Visti gli artt. 35 e 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e l’art. 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
sospende l’efficacia della legge della Regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza), impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2021.